TITO
La storia. Le notizie più certe sul paese risalgono al XII sec,
periodo in cui fu feudo di Matteo da Tito. Appartenne alla contea di
Satriano e poi agli Sforza. Prima di allora, fonti sparse fanno ritenere la
presenza di un nucleo originario, fondato all'inizio del 1000 a.C., in
località oggi detta Tito Vecchio, nei pressi della stazione,poi distrutto
nell’800 a.C. Il nome risalirebbe con tutta probabilità al console romano
Tito Sempronio Gracco, ucciso a tradimento in queste terre dai soldati di
Annibale, nel 212 a.C. Nel V-VI sec d.C. molti dei suoi abitanti si
trasferirono nella vicina Satrianum per sfuggire alle continue invasioni dei
Goti.
Anche Tito ebbe i suoi eroi nei moti repubblicani per la Repubblica
Partenopea del 1799, e partecipò ai moti carbonari del 1820-21 e del 1848.
Cosa vedere. Il centro del paese si snoda lungo il corso principale,
che è anche strada rotabile, sulla quale i giovani titesi si dedicano al
quotidiano “struscio”. Al centro dell’abitato si trova la piazza del Seggio,
ove èstato eretto il monumento ai Caduti e sistemata una bella fontana.
Dell’omonimo Palazzo del Sedile è di rilievo un imponente arco
durazzesco.
Numerose le chiese e cappelle meta di culto da parte della popolazione
locale. In via Giostra si incontra la Chiesa della Madonna delle Grazie, del
XIX secolo. Di epoca incerta, più volte restaurata, è la Chiesetta del
Calvario, in cui sono collocati due altari in pietrame. Nella parte alta del
paese si erge l’ex convento francescano di S. Antonio, risalente al 1514,
che conserva, alle pareti e alle volte del portico, interessanti affreschi
del Pietrafesa del 1606.
Attigua la Chiesa Madre, con portale del 1848 e due campanili a tre piani;
nell’interno a tre navate è possibile ammirare una tela e un pulpito ligneo
del XVII secolo.
Le escursioni. La collina di Satriano-Percorrendo la Statale 95, che
da Tito porta a Brienza, e oltrepassato, al Km 23,3 il varco di Pietrafesa,
a mt 855, si scende tortuosamente nel bacino del Melandro che qui offre
scorci suggestivi. Rasentando le pendici della Serra di S. Vito, in alto a
sinistra si scorge la torre di Satriano che, da un’altezza di 956 metri,
visibile per vari chilometri da più punti, domina tutto il territorio. Il
sito, raggiungibile in macchina fino ad un certo punto, e poi a piedi,
presenta i resti della torre quadrata edificata dai Normanni nel XII secolo,
ruderi di mura e di un’ antica basilica dedicata a S. Stefano protomartire.
E’ ciò che resta dell’antica Satrianum, roccaforte longobarda sorta su un
sito dalla complessa storiografia, successivamente contea normanna e sede
vescovile, rasa al suolo definitivamente nel 1420 circa ad opera di Giovanna
II.
La collina di Satriano è uno dei luoghi simbolo della storia della Lucania
antica, poiché presenta un’articolata stratificazione archeologica che va
dall’età del ferro al Medio Evo. Gli scavi hanno portato alla luce reperti
che attestano l’esistenza di influenze elleniche, come ceramiche a tre
colori e suppellettili verniciate in nero. Individuate, inoltre, una
Acropoli e varie necropoli, nonché, lungo il pendio sud-occidentale della
collina, in un’area ricca di acque sorgive, i resti di un’imponente
fortificazione e di un santuario (databile tra il IV e il III sec. a.C.)
dedicato ad una divinità maschile guerriera.
Il Santuario presenta un’architettura molto complessa: un muro a
delimitazione dello spazio sacro, in cui si trovava il tempietto a pianta
quadrangolare della divinità, una sala da banchetto, uno spazio per il
culto, un portico.
Molti dei reperti ritrovati nelle varie campagne di scavo si possono
ammirare nel Museo Archeologico “Satriano le Origini”, a Satriano, in Via De
Gregorio.
Della Satrianum dell’età del ferro sappiamo che fu una città fiorente,
grazie alla sua posizione strategica. Posta su una delle vette nord-sud più
alte di questa parte del Meridione, si presenta come crocevia tra la costa
tirrenica e il Golfo di Taranto: ad Ovest, infatti, il valico verso Brienza
la collega al Vallo di Diano; la valle del Melandro favorisce le relazioni
con la Campania e, infine, facili collegamenti con Potenza l’avvicinano alla
valle del Basento e, quindi, alla costa ionica. Per questo motivo alcuni
hanno avvicinato l’antica Satrianum all’altra, sola, comunità italiana
dell’età del ferro la cui storia ci è stata dettagliatamente tramandata,
Roma. Entrambe, infatti, nascono come stazioni di vitale importanza su vie
di comunicazione. Distrutta nel 330 a.C. da Alessandro il Molosso, zio di
Alessandro Magno, che sull’acropolis fece in seguito costruire una fortezza,
Satrianum fu espugnata dai Romani nel 30 sec. a.C. Risulta essere
sede vescovile già nell’878: qui si conservavano le reliquie di S. Laverio,
ucciso durante le persecuzioni di Diocleziano. La sua definitiva rovina
avviene nel 1420, quando è rasa al suolo per volere di Giovanna II, e mai
più ricostruita. I suoi abitanti si dispersero nei paesi vicini di
Pietrafixa (oggi Satriano) e Tito, e del suo glorioso passato non rimasero
che il nome, i resti che ancor oggi possiamo visitare e i racconti a metà
tra la realtà e la fantasia circa la sua distruzione
La storia e la leggenda. Sulla definitiva distruzione dell’antica
Satrianum la ricostruzione storica vuole che nel 1421, al tempo della
crudele regina Giovanna II di Napoli, due prefetti della milizia reale,
accompagnassero da Terlizzi una “bella nobile e leggiadra donzella”,
destinata al servizio della regina. Fermatisi a Satriano per trascorrervi la
notte, la donzella fu rapita da alcuni giovani del paese che abusarono di
lei. I due giovani prefetti, non avendo altre armi, riuscirono con le
preghiere a liberarla, ma giunti a Campagna assoldarono tre compagnie di
avventurieri e tornarono verso il paese per ridurlo a ferro e fuoco, non
risparmiando il popolo inerme né le mura della cattedrale in cui questo
aveva trovato rifugio. Giovanna II, compiaciuta perché l’offesa alla corona
era stata lavata col sangue, premiò i due giovani capitani.
Ma la leggenda, alimentata dai racconti dei pastori, racconta di una bella
regina che, trovandosi in un castello poco distante da Satriano, e saputo
che lì viveva un bel baronetto, vi si recò con tutta la sua corte al
seguito, con gran tripudio di fanfare e campane a festa. Ma i tentativi di
conquistare il giovane vennero ben presto vanificati da una donzella dello
stesso seguito reale, la nobile Sieal, per la quale il baronetto fu preso da
folle amore. Pazza di gelosia, la regina la fece rinchiudere ai confini del
regno. Tuttavia l’uomo, animato dalla passione, riuscì con i suoi guerrieri
a liberarla e condurla con sé alla torre: fu la fine per Satriano. La regina
ordinò di mettere a ferro e fuoco la città, mentre, sotto le macerie del
castello, caddero i due infelici amanti. Ancor oggi i mandriani raccontano
che a mezzanotte, quando canta il gallo e il cielo è scosso dall’uragano, si
odono gli zoccoli di cavalli al galoppo, quelli del baronetto e della bella
Sieal.
Eventi e manifestazioni. Come in molti altri centri della Basilicata,
grandi festeggiamenti sono riservati alla Vergine.
A Tito molto sentita è la festa in onore della Madonna del Carmine, la prima
domenica di maggio, quando la statua viene portata, dalla Chiesa Madre del
paese, alla Chiesa della Madonna del Monte. Qui viene periodicamente
celebrata la Messa e si effettuano pellegrinaggi, fino all’8 settembre, data
in cui i titesi, in processione, riportano la statua della Madonna in paese,
lasciandola però all’ingresso dell’abitato, a raccogliere le preghiere dei
fedeli. Sempre in onore della Madonna del Carmine, si svolgono
festeggiamenti la prima domenica di luglio, nel caratteristico borgo detto
“ai piedi della Terra”, dove si ritiene sia sorto il primo nucleo di Tito, e
dove si trova una piccola cappella aperta solo in occasione della festa.
Altre manifestazioni sentite tra la popolazione sono quelle in occasione
della Pasqua: la Via Crucis vivente il Venerdì Santo e la processione
dell’Addolorata in costume il Sabato Santo. È da segnalare, inoltre, il
cerimoniale in onore di S. Giuseppe che si tiene il 18 marzo: in
quest’occasione si svolge una gara tra gli abitanti di Tito per la raccolta
di fascine, che poi verranno accese nei vari rioni del paese, in
competizione tra loro per il falò più grande.
da: "Le valli del Melandro"
Assessorato al Turismo 1998
di: Comunità Montana del Melandro |