7 - CHE NERO GIORNO
Nella linda stanzetta d’ospedale
giace mio padre;
non sa, non può saper qual’è quel male
col quale lotta
il suo cuore squassato e generoso,
mite e gentile
che il morbo travolge come un maroso.
La pioggia batte
violenta e cupa contro la vetrata,
con insistenza
rimbalza, scende sempre più ostinata.
Quale tristezza!
Discreto un armadietto guarda il letto,
anche le sedie
annoiate gli stanno dirimpetto,
e una Madonna
con un’aria soave e rassegnata
guarda il paziente,
io guardo Lei, ché sono sconfortata.
Vorrei gridare
ma i pugni stringo e taccio senza fiato,
pronta a lottare
con la morte che intravedo in agguato.
Sento un sospiro
a un tratto ed incontro un sorriso buono,
quel suo sorriso
che ha sempre accompagnato
il suo perdono.
Non m’è compagna
oggi la speranza, meco è il dolore,
muto, pensoso,
spietato e duro in tutto il suo livore.
Ed in me piango,
ché morte leggo in un breve futuro
ed il mio sguardo
allucinato e stanco, erra sul muro.
Ma a sé mi chiama
e calmo, ignaro, il babbo mi traduce
un suo pensiero,
che effimera dolcezza al cuor conduce:
“Sto quasi bene”
dice “son guarito, per un errore
certo giaccio qui,
d’ignoranza di medici ho sentore.”
25 MARZO 1957
7 - CHE NERO GIORNO
Ancora versi dedicati al padre. Qui lui è morente in un letto d’ospedale. Carmen osserva il luogo con la morte nel cuore, che già presagisce un più definitivo addio. La fede vacilla. Anche la Madonna, che osserva la scena, appare rassegnata all’inevitabile. Bellissima l’immagine della pioggia che cade sulle finestre, specchio del suo animo tormentato, e delle “sedie stanche”, che in quel luogo albergano assistendo ad una scena già tante volte vista, al punto da provocare, in quegli oggetti inanimati, solo sentimenti di noia. Che per Carmen non esiste. C’è solo la lieve dolcezza, che l'infondata speranza del padre le trasmette.
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