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Potenza - Milano (andata e ritorno) - 03 - Il biglietto magico

Quando aspetto, e non ho di meglio da fare, mi capita di fare strani pensieri. Il bigliettaio con i suoi ragionamenti mi ha turbato e, probabilmente, proprio a causa sua mi vengono in mente pensieri bizzarri e, ancora più, strampalati ragionamenti.
I bigliettai delle stazioni sono strane persone, d’altronde, proprio come tutti quegli altri che lavorano, per un motivo o per un altro, in ferrovia.
Lo so perché ho un cugino che ha lavorato in ferrovia; uno di quelli che non ha mai fatto una mazza per tutta la vita e che, ciò nonostante, è riuscito ad andare in pensione con meno di cinquant’anni, un’ottima buonuscita e con quasi duemila euro mensili.
Roba d’altri tempi, certo. Io col cazzo che avrò lo stesso trattamento, quando ci andrò! Buonuscita… Pensione… Bah, speriamo che almeno ci arrivo, alla pensione.
Sono nato in un’epoca, e in un periodo, bastardo. E con Prugnetta peggiorerà, ne sono certo.

L’edicola sta aprendo, e devo andare ad aspettare il treno al binario tronco. Stazione di merda, questa, come la città, chi viaggia nella direzione opposta a quella che devo fare io stanotte conosce il binario 13 tronco sud che, da Foggia, porta a Potenza.
Praticamente un residuato bellico della guerra 15-18.

- Mi dia Repubblica, il Manifesto, Alan Ford e Topolino

Beh, il viaggio è lungo e io odio dormire, specie quando viaggio in una carrozza di seconda classe in un treno delle Ferrovie dello Stato. Avrei fatto meglio a portarmi il walkman, ma non avevo le pile. Tutto sommato è stato meglio, né al bar e né all’edicola ce l’avevano, le pile.
Raggiungo il binario tronco e vuoto e, per ingannare il tempo, riprendo a pensare; accendo una sigaretta e mi metto anche a camminare.

I ferrovieri, i filo tranvieri, i frontalieri e tutti questi che hanno a che fare con dei binari, o delle rotaie, è gente strana e fortunata, quasi quanto gli insegnanti; quelli che dovrebbero insegnare qualcosa a qualcuno in una scuola, ma che, al giorno d’oggi, fanno tutt’altra cosa da qualche altra parte e che, guarda caso, riescono ad andare in pensione anche prima e meglio di altri.
Meglio e prima di me, per esempio.
Certo che noi impiegati siamo proprio una gran categoria. In compenso lavoriamo meno degli altri ma certamente più di molti professori e di certi insegnanti che non fanno niente e che hanno anche tre mesi di ferie l’anno, oltre a quelle normali.
Felicetto, per esempio, un maestro (e solo chiamandolo così bisognerebbe chiedere scusa a tutti i maestri d’ogni ordine e grado per averli, seppure lontanamente, paragonati a codesto spregevole, vile e deplorevole figuro) che non ha, per fortuna, mai insegnato niente a nessuno (perché non ne aveva voglia e non aveva, soprattutto, niente da insegnare) e che, durante il periodo del suo insegnamento, ha fatto, per fortuna degli alunni (e dei genitori) ai quali avrebbe dovuto insegnare, sempre tutt’altro.
Felicetto è uno che potrebbe essere portato d’esempio per tutta un’intera generazione. Meglio di no, sosterrebbero alcuni e io posso capirli. In effetti ho citato uno che al solo chiamarlo maestro, o insegnante, dovrebbero arrestare tutti quelli (bidelli compresi) che lo hanno conosciuto, anche solo visto, e non hanno fatto niente per evitare che diventasse un maestro, più che d’elementari, elementare.
Se penso a lui ancora oggi odio la scuola, i bidelli, gli insegnanti, i maestri e tutto quello che, in qualche maniera, può ricordarlo.
Per sua fortuna è ancora vivo, e vegeto. Più che altro vegeta perché credo, anzi sono sicuro, che una persona come Felicetto, più che vivere possa solo vegetare. Forse anche vegetare è troppo.

Inizia ad arrivare qualche altro passeggero, due uomini, sembrano l’articolo il. Il primo alto e magro, sorridente e l’altro, basso e tarchiato, porta con una grande valigia… Pesantissima a giudicare dalla faccia.
Si fermano, quello alto s’accende una sigaretta e parla all’altro che con un fazzoletto si deterge il sudore dalla fronte.

Mi giro e ritorno coi pensieri alla categoria dei fortunati che, in Italia, è lunga e inflazionata…
Vi sono i politici, i calciatori, i giornalisti, le veline e tantissimi altri… Ma, parlando solo di quelli che lavorano, o che dovrebbero farlo, dovrò escluderli. Politici, calciatori, giornaliste e veline non hanno mai fatto una mazza e non sanno neanche cosa sia il lavoro… D’altronde se c’è qualcuno che pensa o ha, anche una sola volta pensato, che questi qui lavorino o abbino lavorato, anche solo una volta, sono o scemi e, di conseguenza, vanno compatiti o in malafede. E credo che la seconda ipotesi possa risultare vera.

Arriva il treno con due carrozze e, appena ci salgo, lo trovo sporco e puzzolente. Scelgo di stare nella prima carrozza, seduto nei sedili sistemati in mezzo, di finta pelle nera.
Apro il finestrino e migliora il mio umore.
Lo scompartimento è completamente vuoto, l’articolo il si è sistemato nell’altra carrozza. Metto lo zaino sul portapacchi, mi siedo e ritorno a pensare ai fortunati e ai culi rotti.

I poliziotti, per esempio, appartengono a una categoria privilegiata anche se, poverini, per entrarci devono dimostrare servilismo e devozione, oltre che rischiare la pelle.
Per i carabinieri evito di esprimere qualsiasi pensiero e ogni considerazione. Inveire sui casi umani mi ha sempre causato qualche problema di coscienza.

Salgono sul treno una vecchina accompagnata da una signora più giovane e vengono a sedersi di fronte.
- Và a Matera, stu treno giovinotto?
- Si, và a Matera, così almeno mi hanno detto
- Picchè vije n’un’gi ijate a Matera?
- Si, ci vado, forse…
La più giovane storce il muso e dice a quella più anziana di andare a sedersi più avanti. Meno male, starò più largo, potrò leggere il giornale e pensare senza dover rispondere a strane e stupide domande.
Apro la Repubblica e provo a leggere i titoli ma non ho nessuna voglia così lo ripiego e, con i pensieri, ritorno ai bigliettai e a quello che ho conosciuto oggi “pirsonalmente di persona” nella stazione di Potenza inferiore (e qui ci vorrebbe un intero capitolo per spiegare come, giustamente, questa stazione, l’unica di questa città, sia “onestamente” definita inferiore).

Il treno parte. Mi volto verso i binari. Li perdo e rivedo il volto e i baffi del bigliettaio.
Si, quel bigliettaio, prolisso e spiritoso, che m’aveva fatto un biglietto, uno strano biglietto, dopo avermi fatto stranissime domande. Strane e singolarissime.

- Va a Milano per ferie?” mi aveva chiesto senza nessuna logica.
“E a lei cosa gliene frega?” gli avrei voluto rispondere ma, come al solito, la mia ottima educazione me l’aveva impedito così m’ero limitato a dirgli – No, magari, per questioni di famiglia mentendo, tra l’altro, sia nelle intenzioni che nei contenuti.
“Certa gente non ha il minimo riguardo della privacy” avevo pensato. “Beh, come darg


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