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Guerrieri Gaetano


     
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’U ijuoco ’cu prevete*


-La messa è finita andate in pace – disse Don Antonio alla fine della messa domenicale delle diciotto e trenta e tutti i fedeli, in silenzio, uscirono dalla chiesa dalla porta principale.
Il prete allora, come suo solito, raggiunse la sacrestia, situata a destra nella navata principale proprio di fianco della statua di Sant’Antonio, dove “‘Ndunuzz ’apparecchia”, ’u sacrestano, l’aspettava per aiutarlo a spogliarsi dei paramenti.
La chiesa rimase completamente vuota tranne ’Ndunetta Brucella detta ‘a gliogliera a causa della sua ben conosciuta e assai biasimata propensione a facili rapporti sociali.
La donna com’era solito fare da una quindicina di giorni, dopo la funzione religiosa rimase inginocchiata e assorta in preghiera davanti la statua di San Valentino, suo santo preferito e protettore del piccolo paesino di montagna.
Antonietta era una bella mora di trentacinque anni con gli occhi neri e grandi come una notte buia di mezzo dicembre. Vedova da un anno e sei mesi, a causa della prematura scomparsa del ricco marito causata da uno stupido incidente stradale, non era mai stata femmina assai divota. Le labbra, rosse e corpose, due fianchi, larghi e statuari, un viso, lungo e ben delineato e, soprattutto, ‘u pietto pronunciato, sodo e alto, facevano di ‘Ndunetta una donna più che desiderabile. E nonostante lei, dal giorno che era scomparso il marito, andasse tutta vestita di nero e attraversasse le strade sempre con gli occhi chini, gli uommini del paese, ogni volta che la vedevano passare, la guardavano con intinzioni piccaminose senza darsi pace.
Si chiedevano perché lei vivesse tutta da sola senza un maschio a gestirla e a goderne le beltà tanto evidenti.
Circolava anche voce che la donna fittivamente (1) così sola poi non fosse. Pare che se la facesse con almeno due uommini fortunati: Vicienzo Bonadonna l’ufficiale postale, vidovo pure lui e padre di tre figli, e Michele Tricarico, aitante ventenne nulla facente e nulla tenente, figlio di Nicola, putuaro (2).
’Ndunetta aspettò che il sacrestano uscisse dalla sacrestia e dalla chiesa e, dopo essersi fatta il segno della croce con devozione, s’alzò lentamente, si guardò intorno per essere sicura d’essere sola e che nisciuno la uardasse e s’infilò nella piccola porta laterale.
Nella sacrestia non c’era anima crijata (3) così s’avviò per la piccola scala a chiocciola che portava nell’abitazione ru prevete, posta al piano superiore, direttamente nella cammara da mangiare .
- Don Antò, don Anto’, ’ndò site? - disse appena raggiunse il piano superiore e, non ricevendo alcuna risposta, s’avviò per la porta che purtava nella cammara ra lietto.
La stanza sembrava vuota tanto che la donna fece per ritornare indietro quando si sentì acchiappare per la vita e, senza rendersene conto, si ritrovò sopra u lietto ‘a panza sotto.
’Ndunetta, ‘ca ru scherzo s’era pigliata nu scanto, non riuscì a dire manco ’nna parola ma quanno s’accorse che ’na mano, sotto a vesta, circava d’abbasciarle i mutande capì l’intenzione ru prevete ‘ca cull’ata mano la teneva ferma in quella posiziona assai periculosa (4).
Nunn’era femmena da sopportare viulenza e reagì grirranno - No, accussì no! - e quasi contemporaneamente sferrò nu cavicio ’a cicata e cu tacco ra scarpa colpì l’aggressore proprio d’inta a parte chiu’ debbula tanto che u pover’ommeno lasciò la presa e lei si putette girà (5).
L’aggressore era cum’essa aveva immaginato proprio Don Antonio che, in seguito al colpo ricevuto a tradimento, era rumasto ngiunucchiato senza fiato a mantenerse ch’immane la parte colpita .
’Ndunetta n’approfittò per alzarsi e aggiustarsi la vesta e le mutande che u prevt era arriuscito a calare pe ‘nmezza chiappa e, leggermente ’ngazzata aggiunse: - No, accussì no, uss’apiti ca accussì n’un mi piace! Ma poi, vedendo l’uomo che era ancora doluruso ’nterra non si potette trattenere da una piccola arrisata ri femmena.
Don Antonio che era ancora in preda al dolore alla risata della femmina sentì ’ngnanarsi u sangh ’a capa e s’avzò (6). Cercò di darsi un contegno e, alludendo agli amanti della donna, disse: - Ma che mi vieni a contare, uss’accio ca ti raija già ra fa cu ill’avti…(7) –
- Ma quisti so sigreti ri cunfessione… Ca vuije nunni putiti contare a nisciuno… E manco vuije avissave sapè… So segreti ri confessionale e là hanna restà…(8)-
- E ijo a nisciuno ’ngiu dicitti… E manco io li conosco… Ma non mi contare ca l’ammore n’un ti piace…(9)-
- Errore fu, ‘u diavolo mi tentò e io cidetti ma Dio mi ha appirdunata… Ho detto venti Ave Maria e trenta Padri nostri come vossia m’accummandò
- Vabbuò ’Ndunè, ma perché si vinuta qua?
- V’aggia parlà
- E parla!
- Qua no, iaminenne nell’avta stanza- e, senza aggiungere altro, si avviò, si sedette alla seggia e il prete, che l’aveva seguita, le sedette di fronte.
Don Antonio, che nel frattempo si era completamente ripreso, era un uomo sulla cinquantina, basso di statura e robusto di corporatura. S’era fatto prete più per un caso che per vocazione e non disdegnava la vita e le gioie che questa poteva offrirgli come mangiare, dormire e, più di ogni altra cosa, le donne e i rinari.
In paese le debolezze di Don Antonio erano note tanto che si mormorava che i rapporti che lo legavano alle molte donne che frequentavano la chiesa andavano ben oltre alla cura dell’anima. Non era certo un prete esemplare, qualche piccato lo commetteva pure lui ma non era un cattivo.
Come tutti aveva qualche debbulezza e, secondo il giudizio di molti, era anche un buon prete. Teneva alla sua chiesa difatti, alla quale dedicava moltissimo tempo e una parte delle elemosine dei fedeli. Non passava anno che non accattava qualcosa per la chiesa; un anno le seggie, l’anno dopo le panche, ogni tre anni la faceva pittare chiamando imbianchini specializzati e, in quell’occasione, provvedeva anche a rinnovare tutte le lampadine.
Ultimamente aveva anche acquistato e fatto installare un nuovo impianto di amplificazione che consentiva a tutti i fedeli di ascoltare forte e chiara la funzione. Di questa miglioria ne parlava in ogni predica ricordando di fare offerte generose perché c’erano le cambiali da pagare, per non parlare delle spese per l’energia elettrica e, soprattutto, del riscaldamento. In realtà la chiesa non era molto illuminata, fatta cizzione (10) per cinque o sei piccole lampadine che rimanevano quasi sempre appicciate (11), il riscaldamento era insufficiente o non veniva affatto acceso in quanto faceva quasi sempre freddo, fatta cizzione nel mese di luglio e agosto, e le cambiali per l’impianto di amplificazione non erano mai state firmate perché il buon parroco aveva pagato in contanti ma questo era irrilevante perché, si sa, in una chiesa non ci sono rinari che abbastano specie se il prete è pirzona che ha necessità pirzonali che vanno ben oltre a quelle strettamente necessarie.
E Don Antonio di altre necessità ne aveva. Prima di tutto non si faceva mai ammancare il cibo e il vino rosso, che si faceva arrivare dal paese d’origine, e poi c’era un quartino di duecento metri quadrati da ristrutturare che aveva acquistato in città tre anni prima e che aveva intestato al suo unico nipote figlio dell’unica sorella maritata. Poi c’erano gl’interessi che l’acchiappavano; interessi che tenevano sempre due menne, capilli luonghi e labbra rosse e ai quali Don Antonio non sapìja (12) proprio fare a meno e che, qualche volta, custavano dinari o regalie.
- Ce l’ho detto ’ca l’atto completo ’n’un lo voglio fare - disse ’Ndunetta - soffiandosi il naso.
- E vabbuò - disse don Antonio sbuffando - ’a solita storia?- concluse avvicinandosi alla donna.
Era quella una storia che si ripeteva ogni domenica sera, ’Ndunetta, dopo la messa, lo raggiungeva a casa e quando il prete cercava di commettere ’u piccato lei, come ‘na furia, s’arribbellava. Don Antonio la calmava e gli regalava qualcosa e, solo allora, si dimostrava disponibile e gli concedeva qualcosa che era direttamente proporzionale al valore del regalo ricevuto. ‘Nu piatto di procillana ‘bbuona valeva na tucculiata ’nmiezz ’i cosce, ‘nu bicchiero di vitro suffiato di capodimonte per vedere una menna, due bicchieri per tuccarla, trentamila lire per un bacio con la lingua e cinquantamila lire per farsi maniare ’a uciella (13).
‘Ndunetta non lo faceva per soldi o per i rigali, la morte del marito l’aveva resa benestante e poteva permettersi tutto quello che le piaceva; il suo era un gioco, un’avventura che la intrigava e la eccitava, una sorta di sfida che lanciava e vinceva ogni volta con quel prete che da sempre l’aveva corteggiata e desiderata. E Don Antonio, pur non essendo particolarmente brutto, non era il suo tipo di uomo; era vecchio, bascio (62) e tarchiato mentre a lei piacevano quelli giovani, alti e magri ma era ‘nu prevt e era rattuso (14) assai e questo l’attizzava come solo una cosa proibita e un poco sporca può fare.
- Quanto vuoi pè fare ’u sirvizio cumpleto? - chiese u prevto arrapato (15) senza ‘chiù cuntegno e frini nibitori.
- U sapiti ca nunn’è ’cose don Antò, u sirvizio cumplet v’avita scurdà… - rispose la donna guardando un vaso cinese che stava sopra la credenza - quant’è bello quillu vaso…. - aggiunse.
- E’ ‘nu rialo (16) ri mia sorella ca l’ha accattato ‘na vota ca è ijuta (17) in Cina c’abbonanima (18) ro marito …Ti piace?
- Si, è bell assai …- rispose ‘Ndunetta caccianno na dicina di centimetri ri lenga rossa e sapurita.
In quel momento don Antonio capì che avrebbe perso il vaso ma che avrebbe anche pazziato ‘nnu poco con la femmina.
- Se ti piace te lo arrigalo – disse u prevt - però… - aggiunse- prima ijucamo ‘nu poco?- e, alzandosi, scomparve nella cucina da dove ritornò, poco dopo, con un maciniello (19) fra le mani.
‘U maciniello è un vecchio attrezzo oggi non più in uso perché soppiantato dai macinacaffè elettrici e, successivamente, dalle più comode confezioni di caffè macinato e conservato sottovuoto. Don Antonio faceva parte di quelle persone che acquistano il caffè in grani e amano macinarlo fresco per tradizione perché ritengono che un buon caffè richiede questa particolare e faticosa lavorazione.
- E ch’emma fa ’cu maciniello? - chiese ironica la donna.
-Ti spiego - fece il prete – tu ti spogli sino all’ombellico, t’assietti e ti metti a macinare il caffè che c’è nel maciniello e io… Non ti faccio niente,non ti preoccupare, metto sulo na cosa ‘nmiezzio ‘a scilla ‘ca aggira ‘a manovella…
- Nun’aggio capito…(20) - rispose ‘Ndunetta…
- N’un ti preoccupà, è facile, eija solo girà…(21)
‘Ndunetta si spogliò restando con le menne da fuori e s’assittò curiosa, prese il grosso macinacaffè e iniziò a girare la manovella.
- Vaij ‘affort…(22) - disse
- Non ti preoccupare, è meglio – rispose il prete che, nel frattempo s’era abbisciato u cavzon e si era posto alle spalle della donna all’altezza del braccio sotto il quale infilò ‘a uciella .
E u ijoco nuovo iniziò con grande sorpresa della femmina. E pinzari che ’Ndunetta quella cosa n’un laveva mai neanchi immaginata.




Note

1. fittivamente – effettivamente
2. putuaro - bottegaio, commerciante
3. annima crijata - anima per bene (solo che in questo caso deve intendersi come nessuno)
4. ’Ndunetta ‘ca ru scherzo s’era pigliata nu scanto non riuscì a dire manco ’nna parola ma quanno s’accorse che ’na mano sotto a vesta circava d’abbasciarle i mutande capì l’intenzione ru prevete ‘ca cull’ata mano la teneva ferma in quella posiziona assai pericolosa.
Antonietta che dallo scherzo si era presa un grande spavento non riuscì a dire nemmeno una parola ma quando s’accorse che una mano sotto la sua gonna stava cercando di abbassarle le mutande capì l’intenzione del prete che con l’altra mano la teneva ferma in quella posizione assai pericolosa
5. Nunn’era femmena da sopportare viulenza e reagì grirranno - No, accussì no! - e quasi contemporaneamente sferrò nu cavicio ’a cicata e cu tacco ra scarpa colpì l’aggressore proprio d’inta a parte chiu’ debbula tanto che u pover’ommeno lasciò la presa e lei si putette girà
Non era donna da sopportare una violenza e reagì gridando – No, così no! – e quasi contemporaneamente sferrò un calcio alla cieca e col tacco della scarpa colpì l’aggressore nella parte più debole tanto che il pover’uomo fu costretto a lasciare la presa e lei si potè girare
6. ’ngnanarsi u sangh ’a capa e s’avzò - salire il sangue alla testa e si alzò (in segno di ira)
7. uss’accio ca ti raija già ra fa cu ill’avti - lo so che ti dai da fare con altri…
8. Ma quisti so sigreti ri cunfessione… Ca vuije nunni putiti contare a nisciuno… E manco vuije avissave sapè… So segreti ri confessionale e là hanna restà… -
Ma questi sono segreti detti in confessione… E voi non potete rivelarli a nessuno… E nemmeno utilizzarli a vostro piacimento… Sono segreti svelati nel confessionale e là devono restare…
9. E ijo a nisciuno ’ngiu dicitti… E manco io li conosco… Ma non mi contare ca l’ammore n’un ti piace – Ed io non li ho svelati a nessuno… E nemmeno io come persona li conosco… Ma non dire che non ti piace fare l’amore…
10. cizzione – eccezione
11. appicciate – accese
12. sapìja – sapeva
13. ‘Nu piatto di procillana ‘bbuona valeva na tucculiata ’nmiezz ’i cosce, ‘nu bicchiero di vitro suffiato di capodimonte per vedere una menna, due bicchieri per tuccarla, trentamila lire per un bacio con la lingua e cinquantamila lire per farsi maniare ’a uccella
Un piatto di porcellana buona e Antonietta acconsentiva a farsi toccare le cosce, un bicchiere di vetro soffiato di Capodimonte per fare vedere un seno, due bicchieri per farselo toccare, trentamila lire per un bacio con la lingua e cinquantamila lire per farsi fare una sega
14. rattuso – uomo che pensa solo al sesso, porco
15. arrapato - in preda ai bollori dei sensi
16. rialo – regalo
17. ijuta – andata
18. c’abbonanima – con l’anima buona (dicasi di chi è deceduto)
19. maciniello – macinacaffè a manovella
20. Nun’aggio capito – non ho capito
21. eija solo girà… - devi solo girare
22. Vaij ‘affort – ci vuole forza per girare la manovella

* Il gioco col prete - Liberamente ispirato alla storia di Camilleri “La mossa del cavallo”




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