Nota a margine a L'UOMO IN VESTAGLIA di Vladimir D'Amora
Chi pretende di scrivere filosofia senza porsi – non importa se esplicitamente o implicitamente – il problema poetico della sua forma non è un filosofo.
Il linguaggio può comunicare l’immediatezza del mondo soltanto attraverso l’immediatezza della propria medialità.
Il pensiero occulta ma non-ha-occultato ciò che avrà-voluto-mostrare.
Poiché né l’involucro, né l’oggetto velato è il bello, ma l’oggetto nel suo involucro. Disvelato, esso si rivelerebbe infinitamente inappariscente. su ciò si fonda l’antichissima idea che nel disvelamento il velato si trasforma, che esso rimarrà eguale a se stesso solo sotto l’involucro, così, di fronte a tutto ciò che è bello, l’idea del disvelamento diventa quella della sua indisvelabilità. Essa è l’idea della critica. La critica non deve sollevare il velo, quanto piuttosto – attraverso l’esatta conoscenza di esso come velo – sollevarsi, solo così, alla vera intuizione del bello.
Il critico cerca la verità la cui fiamma vivente continua ad ardere sui ceppi pesanti del passato e sulla cenere lieve del vissuto.
Il filosofo occupa il punto elevato intermedio fra lo scienziato e l’artista... La comprensione della concezione platonica del rapporto tra verità e bellezza è uno sforzo insostituibile per determinare il concetto stesso di verità.
E' nelle figure dell’altro, nel momento eterologico, in ciò che spezza la connessione d’immanenza, che si trova il sogno dell’unità originaria che antecede la polarità del medesimo e dell’altro, di immanenza e trascendenza, una unità che è prefigurata appunto dall’irruzione della trascendenza.
Solo nel riconquistato orizzonte di una storicità, per così dire, archeologica o naturale, in cui il tempo della cultura e della storia non abbiano più la pretesa di estirpare il tempo naturale dell’uomo e la caducità non sia più trasfigurata idealisticamente, il passato non schiaccia più il pensiero e questo si rimette liberamente a quello.
Per gli anarchici l’uomo è decisamente buono. (C. Schmitt)
Il collezionista, con anche il bambino e il cenciaiolo, si trasferisce idealmente, non solo in un mondo remoto nello spazio o nel tempo, ma anche in un mondo migliore, dove gli uomini, è vero, sono altrettanto poco provvisti del necessario che in quello di tutti giorni, ma dove le cose sono libere dalla schiavitù di essere utili: in un movimento inverso rispetto a quell’appropriazione senza residui dell’essere, implicita nel movimento della prassi lavorativa e del consumo, suo corollario.
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