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POESIE di Salvatore Fittipaldi


     
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L'UOMO IN VESTAGLIA (secondo mia figlia Irene)

Risulta complesso definirne il pensiero, l’idea che si mostra, fin dal suo primo apparire, refrattaria ad ogni comprensione, sfuggente ad ogni preteso irrigidimento in categorie, strutture che acquietino lacoscienza, senza farla vacillare, scuoterla dinanzi a ciò che invece può sorgere in ogni istante ponendola in discussione.
Risulta non solo complesso, ma anche vano –nel duplice senso di inutile e infondato –tentare di accostarsi al pensiero di papà, autore che ha ruminato di tutto e di più.
Scrivere dei suoi testi, tentare di ricostruire alcuni dei suoi temi fondamentali significa prendere in considerazione diverse direzioni con la consapevolezza di non dover tracciare una linea di confine tra di esse, ma di farle incrociare, di mostrarle nel loro intreccio così come lo sono state nella sua vita, con la consapevolezza che egli è un autore la cui opera elude una semplice categorizzazione
Ciò significa anche confrontarsi con uno scritto in continuo movimento, eclettico e questo nella misura in cui i suoi interessi ,le sue passioni, toccano e, per certi versi, scuotono il solito letterario, agendo come un corrosivo , percorrendo la strada del dubbio e del sospetto, diffidando dell’acquietamento, affidandosi all’inquietudine, alla fatica del pensare che si interroga senza lena e senza trovare delle risposte, ma non per questo abbandona la strada, consapevole del rischio, ogni volta in agguato, di una mancanza di risposta:
inquietudine di un pensare che per vivere, per essere coniugato in vita, deve per forza di cose porsi costantemente in discussione, essere in cammino. Un pensiero che ha subìto mutamenti, anche grazie alle letture più svariate ma sempre orientate verso quelle in cui veniva alla luce una discontinuità, una frammentarietà, una contraddizione, indice del percorso stesso del ragionamento.
Indubbiamente, resta la sensazione di un’ambiguità di fondo o, se si preferisce, di una enigmaticità che ha offerto la possibilità di utilizzare la parola per proprie “esigenze tematiche”, utilizzazione che non si è mai trasformata in reale appropriazione proprio perché la sua riflessione è sfuggita e sfugge tutt’ora ad ogni tentativo di serrarlo in una definizione.

In L’UOMO IN VESTAGLIA, protagonista e testimone (di sé stesso, della sua stessa vita) insieme organizzano i fatti nel tempo, con uno sguardo alla storia personale e uno alla storia del mondo.
Qui coesistono e coincidono narratore e fruitore, ambedue impegnati nella costruzione cronologica del racconto e alla costruzione linguistica del testo.
Coesistono la coscienza del protagonista e il suggeritore delle epifanie della memoria.
Sono, anche, monologhi, spesso interiori, condivisi con l’io oggettivo che vivificano presente e passato con i tempi e i modi della composizione.
E’nelle duali figure, nell’aspetto eterologico che si uniscono e si spezzano le connessioni di immanenza, dove viene superata una unità che è irruzione trascendentale; è nelle duali figure che si trova l’ispirazione originaria; figure che vogliono riconquistare l’orizzonte della storicità, che pretendono di riconquistare e ritornare al tempo naturale della propria condizione.
Il passato non schiaccia più la vena poetica e questa si rimette a quello.
IRENE FITTIPALDI


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