28 Il cantico
Il cantico che non ho scritto mai
su un solo muro da togliere allo sguardo
di quest'ultimo decennio piangendo fulmini
inscenando retoriche sassate contro la borghesia
che l'infanzia prigioniera nel ventre delle mani
anche il cervello è un rudere il santuario e sono stufo
di essere bello sulla propaganda e sui colori
forse la vertigine dei tigli dietro le case nude
coi polpacci bianchi delle lavandaie che cavalcano
sedie sulla strada indifesa dei frutteti:
nelle leggende norvegesi era lunga l'estate
delle fiere e delle processioni:
le serpi salivano dai tubi
i topi affogavano nel secchio colmo le campane
battevano nel petto dei chioschi illuminati:
persino il calduccio dei nidi il guscio delle lumache
il vento soffiava rimpicciolendo i mulini
distanti un decimetro dal cielo:
(1982)
|
|