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Guerrieri Gaetano


           
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Due anime un corpo - 01 -




I
Se ne stava vicino alla finestra completamente nudo con lo sguardo sulla strada, a valle.
Sulle labbra, come disegnato da una sottile matita, un leggero sorriso gli dava un’espressione particolare mentre osservava il vetro appannarsi al suo alitare.
Con l’indice della mano destra disegnò velocemente sul vetro un piccolo cuore, lo colorò pulendolo all’interno e lo trafisse con una freccia. Lo cancellò quasi immediatamente poi si voltò verso lei e disse: “ti amo, sono felice, è tutto meraviglioso”.
Lei non se ne accorse nemmeno.
Rimase distesa sul letto a fumare, nuda, con lo sguardo perso sul soffitto e i pensieri chissà dove. La sua mente era libera e serena mentre assaporava e godeva di quella felicità fatta di una dolce e vaga tenerezza.
I suoi lunghi e lisci capelli neri, appena imbiancati dall’età, erano sparsi sulle bianche lenzuola stropicciate e il suo corpo, ancora rotondo e sodo, appariva del tutto rilassato. Teneva la sigaretta tra l’indice e il medio della mano destra e appena poggiata sul posacenere di lucido metallo. Ogni tanto la portava alla bocca, aspirava una boccata di fumo e lo soffiava lentamente verso l’alto. Nel farlo chiudeva per qualche secondo gli occhi per poi riaprirli quando ritornava con la sigaretta al posacenere.
Sorrise ancora notando sul suo viso quella serenità che non poteva nascondere e ritornò con lo sguardo alla strada.

Aveva smesso di piovere da poco e l’asfalto era tutto bagnato e più nero. Il rumore dei clacson delle auto impazienti nella strada giungeva sino alle sue orecchie nonostante la stanza fosse situata al terzo piano dell’immobile e l’infisso dotato di doppi vetri.
Il cielo era tutto grigio con leggere striature nere tra nuvole cupe,anch’esse grigie, d’una tonalità più cupa. Sull’asfalto le luci gialle dei lampioni creavano uno strano effetto cambiando di colore ed allungandosi, a tratti, nelle piccole pozzanghere anch’esse buie e fosche.

Strana stagione quell’autunno, i giorni s’erano di colpo accorciati ed il cielo era sempre più triste e grigio. Pioveva ogni giorno e la pioggia, ora scrosciante e rumorosa, ora più fitta ma silenziosa, era in quel periodo dell’anno e della loro vita, il fatto più interessante e fastidioso di cui si parlava nei telegiornali e nei rapidi e monotoni scambi di opinione tra gente che s’incontra per caso dal salumiere o in ascensore. Certi giorni alla pioggia s’accompagnava un forte e fastidiosissimo vento ma non c’era mai troppo freddo. La temperatura si manteneva sopportabile e se non fosse stato per le notizie, le insistenti piogge e il vento il clima e la temperatura sarebbero sembrate addirittura ottimali per quel periodo e per quella stagione dell’anno.
In diverse parti della nazione, nella parte nord della penisola, parecchi fiumi avevano raggiunto gli argini e minacciavano quanto gli stava intorno, alcuni li avevano già superati e avevano invaso i terreni limitrofi.
Si temeva potesse ripetersi il dramma accaduto l’anno precedente quando la pioggia torrenziale e senza fine aveva causato alluvioni, morti e disastri in alcuni paesi.
Nella città dove vivevano i due protagonisti di questa breve vicenda il pericolo era rappresentato solo dalle frane e dagli smottamenti a cui era soggetto un territorio notevolmente indebolito dall’azione dall’uomo che aveva modificato la natura ed edificato senza le dovute cautele, talvolta in spregio anche delle norme e delle leggi.
Del pericolo rappresentato dalle piogge e anche di questo selvaggio utilizzo si discuteva in quei giorni negli interminabili e noiosissimi dibattiti televisivi ma, come sempre, alle parole non sarebbero seguiti fatti e tutto sarebbe continuato ad andare nella stessa maniera.
I disboscamenti non sarebbero cessati e si sarebbe continuato a costruire dappertutto in spregio ai pericoli e alle calamità.
Ben presto tutti avrebbero dimenticato la pioggia, la paura e quella tediosa stagione come tutte le altre misere cose. Tutto passa, scappa via, si perde e non resta che il ricordo; solo e soltanto il tempo e le vaghe impressioni dell’esistenza sono i veri protagonisti d’ogni evento.

Sia per lui che per lei quel periodo era stato tranquillo; erano settimane che i fatti e le vicende della loro vita s’alternavano compatte e monotone e il tempo che trascorrevano lontano dall’altro veniva vissuto solo come una lunga e interminabile attesa per quelle poche ore che riuscivano a vivere insieme, lontane e distanti dalle realtà e dalle monotonie della vita normale.
Quelle brevi e intense ore rendevano sopportabile tutto il resto.

Avevano avuto la fortuna e la sfortuna d’incontrarsi quando la loro vita e il loro destino era già stata stato segnato e deciso e avevano commesso l’impudenza e l’imprudenza di non aver saputo rinunciare a quell’esperienza che l’avrebbe segnati per sempre.
Ciò aveva radicalmente mutato la loro vita e stravolto ogni interesse. S’erano ritrovati legati mani e piedi a quegli impegni precedentemente presi ma coscienti e consapevoli di non poter rinunciare a quell’amore che era diventato il loro unico interesse e la sola fonte di gioia.

In quel momento lei lo raggiunse alla finestra.
Ancora nuda si poggiò col petto alla sua schiena e lui, al contatto avvertì un brivido di freddo e sorrise. Difficile, se non impossibile, riassumere la dolcezza e la tenerezza che avvertì in quel momento.
Era accaduto altre volte ed era certo che sarebbe ancora successo, almeno ci sperava; di certo sentiva che non sarebbe più riuscito a farne a meno.
Se la felicità è fatta di brevi ma intensi istanti quello era uno di quelli che lasciano il segno e si ricordano per tutta la vita; uno di quei momenti coscienti e palpabili che s’avvertono all’unisono quando si è sulla stessa lunghezza d’onda e tutto sembra funzionare alla perfezione in una storia d’amore. Ed entrambi ne erano coscienti e ben intenzionati ad assaporarne ogni palpito.
Vivendo la propria vita ciascuno riesce a proprio modo ad avvertirne l’essenza; non importa quante e quali gioie viviamo ma come, quanto e se siamo capaci di coglierle.
La felicità è un secondo che dura un’eternità e loro avevano col tempo acquisito questa capacità. Cosa straordinaria e, al tempo stesso, inconsueta per due persone che da tempo avevano quasi completamente smesso di sperare e di crederci.
A loro succedeva ogni volta ch’erano insieme.
La vita si misura in gioie e dispiaceri e se le prime sono vissute e afferrate le seconde possono essere perdonate e sopportate. E’ una questione di pesi e misure, bilanciare il dolore con la gioia è fondamentale per non ritrovarsi schiacciato o con le spalle al muro.
Lei lo abbracciò chiudendo le mani al suo petto e lui carezzò lungamente la mano poi si voltò e le sorrise.
Una piccola lacrima lasciò allora le sue palpebre e si perse sul viso tra le pieghe d’una pelle prossima alle rughe.
Una lacrima di gioia, intensa e corposa che possiamo solo sperare d’assaporare tutti, almeno una volta durante la vita. Se ne rese conto anche lei e rispose al sorriso poi insieme si misero a guardare la strada.
Fuori continuava a piovere anche se l’intensità era un poco diminuita; non c’era più nessuno per strada e l’unico movimento percepibile era quello dei rami degli alti alberi, mossi dal vento. Restarono così per lunghi minuti, erano felici e a vederli chiunque ne sarebbe rimasto contagiato.
La felicità non è solo un fatto personale, a volte anche solo vederla può causare dolcezza. Se l’amore regala felicità a chi lo vive in prima persona chi ne è testimone può condividerne l’emozioni o, almeno, la tenerezza che emana.
Io che sto cercando di narrarvelo è come se lo vivessi in prima persona.
- Che stai pensando amore? – gli chiede lei
- A tutto, a niente…A noi, amore – rispose
Chiusero gli occhi e si strinsero forte.
Trascorsero lunghissimi e intensissimi istanti durante i quali entrambi ebbero voglia di piangere e ridere ma non riuscirono a far altro che a sorridere.
La tristezza stava penetrando nei corpi, lo sconforto e la malinconia di chi sa che quel miracolo è destinato a terminare e a lasciare la cruda realtà della vita e delle cose di sempre.
- E’ tardi? – chiese lei all’improvviso
- Si, tardissimo, il tempo con te vola – disse lui
- Banale e scontata… - continuò lei
- Si, più che altro vera – concluse lui
- La verità è quasi sempre scontata e banale...
- Come l’amore?
- Forse di più…
- Si, no… L’amore non è mai banale
- Forse ma ingiusto, quello si, per davvero
- Perché?
- Perché è quasi sempre in ritardo, sbaglia tempi e luoghi, persino personaggi….
- No, non credo… L’amore non sbaglia, siamo noi che non lo comprendiamo, siamo noi che lo facciamo sbagliare…
- Ti amo – disse lei guardandolo, sincera, negli occhi
- Anch’io….
- Chissà, forse è soltanto un altro miraggio..
- Si, è sempre stato così…
- Già, è sempre stato così
- Secula seculorum!
- Amen?
- Così sia…
Tacquero per lunghissimi minuti. Lei si concentrò sull’armadio stile Roccocò che tante altre volte aveva già osservato e pensò “…certamente scelto da lui… Nessuna donna non sceglierebbe mai così male…” e lui sulla strada e su quel piovoso pomeriggio di pioggia.

Quando quei vaghi pensieri scemarono lui ritornò a quella situazione voltando lo sguardo al letto disfatto e ai vestiti, qua e là, buttati a caso.
L’orologio alla parete segnava le diciotto e venti.
Erano insieme dalle quindici ma sembrava fossero passati soltanto pochi minuti. Ogni volta che stavano insieme era così; ogni mercoledì si ritrovavano in quella stanza da letto matrimoniale che non era la loro ma di un amico di lui, un certo Giuseppe.


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