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È morto il congiuntivo

È morto il congiuntivo, l’incubo degli scolari, l’idolo dei professori pedanti, il re dell’epistolografia amorosa.

E’ morto dopo una lunga e dolorosa malattia, senza lasciare eredi ed è stato tumulato nel cimitero comunale, all’ombra di una gigantesca sequoia, tra una poesia senz’anima e una brutta storia con finale grottesco.

Il congiuntivo è morto: pace alla sua anima e l’eterno riposo gli doni il Signore, splende adesso l’anarchia completa, com’era in principio e come sarà sempre, nei secoli dei secoli, Amen!



Ho sempre tremato al solo pensiero d’approfondire le desinenze d’un congiuntivo; sbagliarle mi sembrava una gaffe imperdonabile: per fare la solita figura di merda ero convinto che sarebbe stato preferibile e potesse bastare indossare scarpe marroni con lo smoking.



“Vorrei che tu ti impegni di più” era solita dirmi mia madre nonostante fossi tra i più bravi della classe.

“ Vorresti che mi impegnassi… Ancora di più?” rispondevo.

“Si, mi faresti felice” concludeva sorridendomi.

Per contro – S’accomodasse - erano soliti dire i miei compaesani quando qualcuno li andava a trovare per scambiare qualche chiacchiera e ciò scatenava sempre la mia ilarità.



Passarono gli anni ma la gente non migliorava.

“Mi piacerebbe che tu mi dica la verità” mi diceva una ragazza di cui ero tanto innamorato alle scuole medie superiori.

“E’ inutile che insisti, te l’ho già detta - rispondevo per non doverle spiegare il grossolano errore ma non lei non capiva e replicava “Non vorrei che tu mi prendi in giro… “.



“Venghino lor signori” diceva all’ingresso del circo la maschera e “Vadi pure” aggiungevano una volta staccato il biglietto.



Non lo nego e, oggi, me ne vergogno solo un poco: ho avuto un passato d’intransigente purista ma, in seguito, con l’avanzare degli anni e il diminuire della pratica, spesso ho profanato la sintassi con grande indignazione e meraviglia di benpensanti e illustri letterati e, questo cambiamento, ha radicalmente mutato la mia opinione.

Oggi è morto il congiuntivo, finalmente; è morto per mano dei mezzi di comunicazione e, guariti dalla congiuntivite ottocentesca, si privilegia l’indicativo.

Era ora; il congiuntivo, in fondo, era solo un difficile e complicato sentiero per esprimere dubbi, possibilità, irrealtà ed esortazioni, la sfera di opinioni soggettive e delle azioni non certe.

L’indicativo, invece, rappresenta la strada maestra della realtà oggettiva e delle azioni certe.

Le vecchie e superate grammatiche hanno inoltre dato spazio a nuova tendenza e alle semplificazioni anche in seno all’indicativo.



Tra le vittime il trapassato remoto (che ha senza dubbio un suono troppo melodrammatico) e il passato remoto ai quali è preferito il passato prossimo che è più di moda perché in buona sostanza è un quasi presente, un passato ancora caldo di ieri mattina.

Anche il futuro anteriore, già lungamente ammalato e sofferente, è stato quasi definitivamente collocato in soffitta tra le cose che non si usano giornalmente.
A chi verrebbe oggi in mente di dire - Quando sarò arrivato ti telefonerò-?

Credo a nessuno, più semplice e sbrigativo
- Quando arrivo ti telefono- azione che, in pratica, sposta al presente due azioni future.



Se questa nuova tendenza ha, in parte, reso le cose più semplici di contro ha però un po’ depauperato la capacità espressiva del verbo togliendogli la profondità prospettica.

In sostanza l’uso sovrano è stato superato dalle imprescindibili ragioni tecniche, dalla brevità grafica e dalle deformazioni professionali e l’ansia di catturare e archiviare il futuro ha determinato un livellamento verbale inarrestabile.

Molte delle vecchie regole che governavano i rapporti tra preposizione reggente e dipendente, proprie della sintassi, sono andate perse e la scrittura e la parola hanno acquisito nuove abitudini diventando uso comune; e l’uso, si sa, è sovrano e regola e, come tutti i re e come tutte le regole, non è responsabile di quello che fa.

Ragione di stato o, più semplicemente, di budget; lo spot pubblicitario deve essere immediato, dare risultati reali e creare certezze.



Anche l’amore predilige il presente (amo) e il futuro semplice (amerò), tiene sulle palle il passato prossimo (ho amato) e ancora di più il futuro anteriore (avrò amato) per non parlare del congiuntivo (che io ami, che io abbia amato) e il presente del condizionale (amerei).

Ancora più odioso l’imperfetto (amavo), il passato e il trapassato prossimo (ho amato, avevo amato) e da rottura per sempre il passato e il trapassato remoto (amai, ebbi amato).

Reale, anche se da evitare in ogni caso, il passato del condizionale (avrei amato) che oltre che ferire l’altro crea anche confusione e incertezze sulle esperienze vissute.

Tempi principali e storici che segnano la vita e costruiscono il periodo secondo la natura della reggente ed esprimono certezza o incertezza, possibilità e opinioni.



Quando scrivo qualcosa continuo a ripetermi che la reggente deve esprimere una certezza ma ogni volta mi chiedo se la scrittura debba essere assimilata alla vita e, di conseguenza, escludere ogni certezza se non l’incertezza più sovrana a parte la morte.

“Sono sicuro che partirò” l’ho detto migliaia di volte ma poi ci sono stati sempre mille ragioni e mille impedimenti e l’espressione è diventata
“Ero certo che sarei partito”,

Con l’esperienza ho imparato a esprimere possibilità, opinioni e irrealtà con la reggente e adesso scrivo o dico - Spero di partire, spero che partirò…-.

Scrivere o parlare in realtà non sono che periodi ipotetici, l’unione di due preposizioni, una reggente e una dipendente, la prima contenente un’ipotesi o una condizione e la seconda una conseguenza.

Pròtasi e apodosi (premessa ed esposizione) la vita con le sue realtà, le sue possibilità e le sue irrealtà; realtà indubitabili, le difficoltà di vivere e la certezza di morire, possibilità quelle eventualità che possono o meno realizzarsi e le irrealtà quelle speranze e quelle aspettative che mai si realizzeranno.

"Se tu fossi nei miei panni non parleresti così!"

" Mi piacerebbe essere nei tuoi panni, almeno per qualche ora".



"Se dormissi di più vivrei meglio!"

"Se non guardassi la televisione sino a tardi m’addormenterei di sicuro!



"Se vincessi al totocalcio mi comprassi una macchina!"

"Se avrei giocato la schedina avessi avuto qualche possibilità di vincere!"


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