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Franco Zaccagnino

          
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Arte Arundiana 2

 

 
 

 
 

 
Cattedrale di MateraCattedrale di TricaricoCattedrale di tursi
 
 

 
 

 
 

 
CrocifissioneNinfa dei cannetiItaca
 
 

 
 

 
 

 
Gli scogli delle sireneRegina della valle dei greci.Turandot

 

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io e l'arte arundian

Sant'Ilario d'Atella: un microcosmo estremamente periferico del territorio lucano; una borgata rurale, al centro della plaga vulturina, dove costumi di vita e attività umane parlano di quella "Nazione Aviglianese" sparsa su una vasta area della provincia potentina e non solo.
In questo luogo dove tutto gli parla delle sue radici (per lui che è nato a Lagopesole, a qualche chilometro da qui), vive ed opera Franco Zaccagnino: un'artista "particolare"; una sorta di homo faber, dalle grandi capacità manuali che - in un ambiente dove tutto gli è familiare - trova gli stimoli migliori per la sua creatività, legata a poetiche ancestrali e sostenuta da un polivalente bagaglio di conoscenze tecniche e culturali.
Quel che ne contraddistingue l'operare è la propensione per i linguaggi della plastica che pratica ricorrendo alla canna quale medium fondamentale, per molti versi esclusivo, ma anche simbolo di una condizione esistenziale. Quella condizione che Zaccagnino ama richiamare facendo ricorso al pensiero di Blaise Pascal, fisico e filosofo francese del Seicento per il quale "l'uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma una canna pensante".
Ed eccoci così, anche in questo caso, ad un operare che ha al centro un interesse specifico per la condizione umana, fatta di miserie e di grandezze per restare sempre alle teorie di Pascal. Una condizione di ambivalenza, quindi, che può essere superata solo attraverso l'esperienza interiore e la Fede.
Sono presupposti filosofici ai quali è da ritenere si rifaccia con convinzione questo propugnatore dell' "Arte Arundiana" (così la definisce richiamando il nome latino della canna) che dà vita di frequente alla rappresentazione di figure antropomorfe, esseri caduchi o appartenenti a una vita "altra" come quella del mito o anche della favola.
Per giungere alle attuali forme, che nella loro essenzialità esaltano le naturali doti espressive di un arbusto flessuoso, così largamente diffuso sul territorio lucano, Zaccagnino ha fatto ricorso inizialmente a una creatività fortemente influenzata dall'abilità artigiana che è nel suo DNA aviglianese.
Esempi di questo momento, che possiamo considerare figurativo in senso tradizionale, si trovano in larga misura nel ciclo delle Cattedrali e di altre composizioni raffiguranti complessi monumentali di vario tipo che - sulla scorta di un impianto disegnativo di assoluto rigore - l'artista fa nascere assemblando, con la tecnica del mosaico, le tante tessere ricavate dalla canna. Sono particelle che, al di là dell'aspetto monocromatico di fondo, si portano dietro le sfumature del tono su tono, legate al ciclo biologico e all'alternarsi delle stagioni.
Da questo fare nascono opere di facile lettura, decorative, che colpiscono anche per la preziosità e la precisione calligrafica del lavoro manuale su cui sono costruite e che è indice, ripetiamo, di un'abilità artigianale di fondo.
Ma, sul piano più propriamente artistico, a convincere sicuramente di più sono le altre opere attraverso le quali Zaccagnino trae il meglio dal suo rapporto panico con la natura, dando vita ad una figurazione fatta di capacità di sintesi e sobrietà di linguaggio, che viene esaltata dagli elementi aggiuntivi a quelli della canna; elementi materici e, in misura contenuta, anche pittorici. Da considerare, a questo proposito, taluni supporti lignei, sagomati, aggiunti come cornici sui pannelli che ospitano il "racconto arundiano":
L'esito finale è quello della nascita di composizioni di avvincente presa, come il "Grande Maestro", suggestiva crocifissione che fa parte di una serie di creazioni a soggetto religioso ma anche profano: lavori contraddistinti da titoli a metà strada fra la metafora e l'espressività allusiva legata a fatti di attualità o ad altre vicende riferite al mito, a fenomeni sociali, alla storia del costume o al dispiegarsi della vita quotidiana a livello di singoli e di collettività. Titoli, vogliamo dire, come "Siringa" e "Nascita di Venere", "Genesi" e "Totem", "Top Model" e "Turandot", "Selene" e "Balla coi lupi", "Regina di cuori" e "Samurai': Siamo ad un operare essenzialmente in campo tridimensionale o bidimensionale, con interventi che sfruttano la duttilità della canna, le cui radici e le foglie sono chiamate spesso a completare l'insieme compositivo. Il che accade anche per le limitate presenze di colore che - con il ricorso agli smalti - sono in certa misura espressione di quella "pittura di macchia" (il tachismo o tachisme alla francese del linguaggio della critica) che rientra nei linguaggi dell'informale: gli stessi ai quali Zaccagnino sembra voler affidare, seguendo i percorsi dell'astrazione, la sua voglia di ricorrere anche alla pittura per completarsi e rendere ancora più convincente il suo percorso di artista.

Franco Zaccagnino




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