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LUIGI BRANCO - Memorie di S. Maria di Orsoleo
 

IX°  CESSIONE A PRIVATI

Il grande, glorioso convento di S. Maria di Orsoleo, già sede provinciale dei Frati dell'Osservanza Francescana, centro di studi filosofici e teologici, antichissimo santuario mariano per le genti della valle dell'Agri, fu umiliato, nell'orribile gergo notarile, a "immobile rustico, denominato Tenuta di Orsoleo sito in agro di Sant'Arcangelo" e venduto, per 200000 (duecentomila) lire, dal Banco di Napoli, con atto del notaio Domenico La Sala, di Potenza, il giorno 19 dicembre del 1940, ai Signori Pace Giuseppe e Pace Rocco di Angelo Vito, nati ad Avigliano, e Galotta Antonio Maria fu Teodosio, nato a Pietragalla; il Comitato direttivo del Banco di Napoli aveva autorizzato la vendita il 5 dicembre 1940. Nell'azione di vendita il Banco era rappresentato dai Signori: Cav. Rag. Zaccaria Castrocane fu Antonio, nato a Villa S. Maria prov. di Chieti e Rag. Luigi della Calce fu Michele, nato a Napoli, "nelle rispettive qualità di Direttore e Capo Ufficio della Filiale del Banco di Napoli in Potenza; e quindi di legali rappresentanti della Sezione di Credito Agrario del Banco di Napoli in Potenza" 1.
Con un successivo atto, stipulato dallo stesso notaio La Sala, il 18 marzo 1942 in Potenza nei locali del Banco di Napoli, presenti gli stessi personaggi nominati nel primo documento, il Banco stesso si premurava di specificare esplicitamente che della "tenuta di Orsoleo" faceva parte "un fabbricato adibito ad uso di culto (oratorio privato) 2 riportato in catasto al Folio 30 di mappa, particella A, fabbricato che non venne specificato nel contratto di compra-vendita di tale tenuta e che perciò non è stato volturato in testa agli acquirenti.
Poiché il Banco di Napoli col detto atto del 19 dicembre 1940 intese vendere l'intera tenuta Orsoleo così come era pervenuta dalla cessata Cassa Provinciale di Credito Agrario per la Basilicata, niente escluso ed eccettuato, le costituite parti stipulano e convengono quanto appresso: 1° la narrativa che precede forma parte integrante e sostanziale dell'atto.
2° I costituiti Signori Cav. Rag. Zaccaria Castrocane e Rag. Luigi Della Calce in rappresentanza della Sezione del Credito Agrario del Banco di Napoli, succursale di Potenza, dichiarano che la vendita di cui al detto .... atto del 19 dicembre 1940 deve intendersi comprensiva della superficie di are 4 e centiare 4 (Are 4,04) su cui è costruito il Fabbricato per il Culto riportato nel catasto al Folio 30 di mappa part. A con la denominazione "Frabricato per il Culto" "Oratorio Privato" intendendosi trasferito anche tale fabbricato nello stato in cui si trova, il cui valore era compreso nel prezzo di lire duecentomila (£ 200000) (3) pagato dai Signori Pace e Galotta" (4).
In seguito, con atto del notaio Nicola di Maggio, di Potenza, la proprietà di Pace Giuseppe fu acquistata, il 12 gennaio 1962, da Galotta Teodosio Michele, che, il 25 settembre 1972, comprerà anche la quota di Pace Rocco, con atto, stipulato in Potenza, del notaio Sebastiano Pelosa. Cosi il vecchio convento passava nella piena proprietà prima dei Signori Pace e Galotta, e, in seguito, dei soli Signori Antonio e Teodosio Galotta.
Per quanto riguarda, in particolare, la legittimità del possesso della chiesa, che, come si è visto, nell'atto notarile del 18 marzo 1942 era esplicitamente citata come inclusa nei beni venduti dal Banco di Napoli, c'è da notare che la questione fu ripresa alcuni anni dopo, e sarà ripresa, sotto varie forme, più volte.
In una lettera del 16 febbraio 1965, spedita dal Prefetto di Potenza (Maddalena) ai nuovi proprietari di Orsoleo, si faceva notare che la chiesa non poteva considerarsi di loro proprietà, perché, per la sua natura, era stata messa in vendita illecitamente, in quanto, per l'art. 18 della legge 7 luglio 1866, non poteva essere incamerata dal Demanio dello Stato, ma era proprietà del Fondo per il Culto; perciò nè era passata alla Cassa Provinciale di Credito Agrario, nè, ovviamente, era pervenuta al Banco di Napoli, che, dunque, aveva venduto una cosa che non era sua. Si pregavano, perciò, i Signori Proprietari della tenuta di Orsoleo di voler consegnare "in via provvisoria la chiave dell'edificio al Segretario Comunale di S. Arcangelo per poter provvedere alla consegna definitiva al Fondo per il Culto" (5). A questa notifica si farà spesso ricorso, anche dopo che un altro prefetto di Potenza, Lamorgese, in una lettera spedita il 14 aprile 1970 all'Amministrazione di Sant'Arcangelo, dichiarava che, pur essendo stato il contratto d'acquisto, relativamente alla chiesa, stipulato "a non domino" (6), la chiesa in parola doveva ritenersi acquisita dagli attuali proprietari per usucapione traslativa". Così si chiudeva ogni discussione: il complesso di Orsoleo, nella sua totalità era proprietà di privati.
Il convento fu ridotto a masseria; il chiostro grande divenne un recinto per animali, i locali affrescati, che una volta erano stati biblioteca, refettorio, sala capitolare, divennero depositi di derrate o, comunque, locali usati per i lavori della fattoria (8).
S'era cominciato con il taglio del bosco, per allargare i terreni seminativi. In pochi anni caddero querce secolari, elci, cerri, olmi, lentischi; il verde cupo dell'antica "foresta" si mutò nell'arido colore delle colline argillose. C'erano legnaiuoli e carbonai, e i grandi fuochi si vedevano ogni giorno da lontano e rattristavano l'animo di chi vedeva scomparire per sempre un patrimonio ricco di bellezza, di leggende, di ricordi. I carbonai alloggiavano, per lo più, negli antichi locali del convento posti a pianterreno; furono, così, rovinati per sempre, anneriti o bruciati dal fumo, gli affreschi della sola capitolare e quelli dell'angolo di nord-ovest del bellissimo chiostro interno. Ma la chiesa era, ancora, quasi intatta; e l'otto di settembre, ogni anno, ritornava lieta di canti e calda di preghiere, ricolma di gente festosa, santuario di fede e di amore.

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La guerra non portò danni particolari in questi luoghi lontani dai grandi centri abitati, senza strade, senza importanza alcuna nelle grandi vicende della storia del mondo. E subito dopo la guerra, negli anni bui dell'incertezza, della miseria e della fame, si ebbe quasi l'impressione (incredibile a dirsi, dati i tempi e le pene) che qualcosa stesse mutando, che un barlume di vita nuova riprendesse a palpitare lì dove c'era già stato tanto fervore di cultura e di studi e dove, ormai, sotto questo aspetto, tutto era deserto e silenzio e morte. Ma non fu una cosa veramente importante, nè, forse, era possibile che lo fosse, dati i tempi e l'ambiente. Nel 1945, dunque, ad Orsoleo nacque una scuola: si chiamò "Vittorio Alfieri"; era, in quel primo anno scolastico (1945-1946) una scuola "autorizzata"; fu poi legalmente riconosciuta con D. M. 17 giugno 1947, con decorrenza dall'anno scolastico 1946-1947, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della P. I. n. 23 del 1/12/1947.
Era una scuola media, ma ci si frequentava anche un corso, non riconosciuto ufficialmente, di studi ginnasiali. Era l'unica scuola, allora, da Potenza a Lagonegro; perciò fu subito frequentata non solo da giovani dei paesi vicini, ma anche da ragazzi provenienti da zone abbastanza lontane. Ma funzionava come poteva; e non è difficile immaginarlo, solo che si pensi alla condizione in cui si trovava il vecchio edificio, anche se, con lavori frettolosi, si era cercato di riadattarlo, in qualche modo, alla nuova funzione, di scuola e di collegio. I ragazzi, data la lontananza dei paesi di origine e la mancanza di strade, mangiavano e dormivano in sede, andando a casa (chi poteva) solo una volta alla settimana, per il cambio della biancheria. Si viveva nella solitudine della campagna: non c'era un'abitazione nelle vicinanze, non un negozio, non c'era strada carrozzabile, non c'era energia elettrica, non c'era riscaldamento, non c'era acqua corrente nell'interno dell'edificio, e, quindi, non c'erano servizi igienici che fossero veramente tali.
I ragazzi pagavano la pensione non in denaro, ma in natura: olio, fagioli, ceci, farina.. La sera si studiava alla luce delle lampade ad acetilene; la mattina si faceva la fila per potersi lavare all'unica fontana (quella esterna con l'abbeveratoio per gli animali) posta sulla via che costeggia l'edificio dalla parte rivolta a settentrione; e nelle mattine d'inverno, spesso, racconta qualche ragazzo di allora, era necessario rompere il ghiaccio della vasca per poter attingere l'acqua senza attendere il turno all'unico rubinetto della fontana.
Solo la tristezza dei tempi rendeva sopportabile a tanti ragazzi una vita altrimenti impossibile, in locali vecchi e fatiscenti, senza alcuna comodità, e privi, nella maniera più assoluta, di tutto ciò che sembra oggi necessario per una qualsiasi forma di vita in comune. Eppure molti giovani valenti studiarono a Orsoleo in quegli anni; e molti affermati professionisti ricordano ancora quei giorni lontani tanto difficili e duri.
Ma la cosa non poteva durare a lungo; e, infatti, finì, per un fatto tragico, nel 1950. In quell'anno, il 9 giugno, un ragazzo scomparve, senza che alcuno se ne avvedesse, e, dopo ricerche durate vari giorni, fu trovato, cadavere, in un pozzo all'interno del vecchio convento, nell'antico orto dei frati detto la "Murata" .
La scuola, che era rimasta a Orsoleo cinque anni, si trasferì a Sant'Arcangelo, ove durò ancora dieci anni: nel 1960, per volontaria chiusura, finì la sua attività; ma ormai si aprivano da per tutto le nuove scuole statali.
Dopo di che, nuovamente abbandonato, il vecchio convento continuò, con più celerità, a decadere e a deperire, tanto che nel 1968, pochi giorni prima della festa, il 4 settembre, il Sindaco di Sant'Arcangelo ordinava la chiusura della chiesa "costituente pericolo per l'incolumità pubblica a causa delle precarie condizioni di staticità, con divieto alle persone di accedervi... " (9). E fu la prima volta, dopo tanti secoli, che i pellegrini, saliti per l'omaggio tradizionale alla Madonna, non poterono partecipare alla celebrazione della Messa nell'interno della chiesa, ma solo sulla spianata dinanzi alla porta di ingresso del monastero; e da allora si è sempre fatto così.

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Nel marzo del 1969 scomparvero due dipinti, uno dei quali ("Il Principe che uccide il drago") particolarmente caro ai Santarcangiolesi, e, di tutti i quadri della chiesa, il più ammirato nel giorno della festa: era l'unico quadro di Michelangelo Scardaccione che fosse esposto al pubblico in Sant'Arcangelo.
Nessuno si interessava per salvare almeno le opere d'arte del convento. C'era stato, è vero, nel 1954, una proposta di vincolo, inoltrata dalla Soprintendenza ai monumenti e gallerie di Puglia e Lucania al Ministero della Pubblica Istruzione, ma il dubbio circa l'effettiva proprietà della chiesa la rese, praticamente, vana; del resto il vincolo di tutela sul complesso monumentale, posto con decreto del 25 ottobre 1954, fu comunicato ai proprietari una ventina di anni dopo.
Solo quando, nel mese di maggio del 1972, il campanile fu colpito da un fulmine, le autorità preposte alla salvaguardia degli edifici di particolare interesse pubblico cominciarono a dare qualche segno di più fattivo interessamento. Il 25 maggio 1972, la Soprintendenza di Potenza, avvertita, ovviamente, dall'amministrazione comunale di Sant'Arcangelo, segnalava il pericolo del crollo del campanile all'Ufficio Provinciale del Genio Civile, che, con una lettera del 7 giugno seguente, inviata alla Soprintendenza ai monumenti e, per conoscenza, al comune di Sant'Arcangelo, così si esprimeva: "Con riferimento al fonogramma... segnalante il pericolo di crollo del campanile della Chiesa di S. Maria di Orsoleo in agro di Sant'Arcangelo a causa della caduta di un fulmine, si comunica che da un sopralluogo effettuato da un funzionario di questo ufficio è emerso quanto segue: La Chiesa S. Maria di Orsoleo... è stata colpita da un fulmine che ha prodotto una lesione alla torre campanaria, con pericolo di crollo da parte del cornicione della torre stessa. Poiché l'eventuale caduta di tale parte pericolante interesserebbe la sottostante chiesa con pericolo di sprofondamento del tetto, si ravvisa da parte di questo ufficio la opportunità di chiudere al culto la chiesa innanzi citata anche in quelle rare circostanze in cui oggi viene impiegata. Inoltre, poiché le adiacenze del sacro edificio possono essere interessate dal crollo, è necessario che l'edificio venga recintato al fine di evitare pericolo per la pubblica incolumità.
Questo ufficio non ha alcun titolo per poter intervenire" (10). Come a dire: si, lo sappiamo; ma vedetevela voi.
Chi veramente prese a cuore la sorte delle opere d'arte di Orsoleo, servendosi per poterle salvare, di tutti i mezzi che la legge gli metteva a disposizione (e manifestando anche una certa rabbia repressa, per l'impossibilità in cui si trovava ad agire) fu il Soprintendente Reggente alle Gallerie della Basilicata, Sabino lusco, il quale, preoccupato della possibile perdita o del deperimento del patrimonio artistico del Convento, con un "espresso" del 21 ottobre 1972, pregava i Carabinieri di Potenza e di Sant'Arcangelo di rendere noto "con assoluta urgenza ai Signori proprietari del Complesso monumentale di S. Maria di Orsoleo" che la Chiesa e il Convento erano da considerare "edifici di rilevante interesse storico-artistico, e con essi, la suppellettile d'arte esistente. In particolare:
1) Un dipinto del 500 in tavola.. sull'altare maggiore.
2) Le due sculture lignee cinquecentesche raffiguranti: Cristo alla colonna e S. Michele poste sulle nicchie ai lati dell'altare.
3) Le statue lignee seicentesche di S. Antonio e S. Pasquale sulle mensole dell'altare maggiore e S. Teresa sull'altare.
4) I due dipinti su tela con Santi Francescani (del 1500).
5) Il coro ligneo al 1601 (sic.) intagliato e posto nel retro altare.
6) Le decorazioni affrescate nella cupola (opere del sec. XVI)
7) I due reliquari, gli altari, il coro e le cantorie.
8) Gli affreschi del 1545 del chiostro:
9) Una paratora lignea del 600 (11)". E aggiungeva: "Tutte le opere suddette, la Chiesa e il Convento, sono per il loro eccezionale interesse d'arte sottoposte alla tutela della legge 1/6/1939, per cui è in corso presso il superiore Ministero della P. I. il vincolo previsto dall'art. 3 della stessa legge"; avvertendo, inoltre, i Signori proprietari "che essi incorreranno nelle sanzioni previste dalla legge qualora le opere suddette non verranno salvate in tempo" . Ma lui stesso sapeva che non poteva far nulla: le notificazioni, gli avvertimenti e tutto il resto erano soltanto parole, nient'altro che parole; infatti lo stesso Soprintendente, in una lettera-espresso inviata, lo stesso 21 ottobre 1972, al Ministero della P. I., sfogava il suo sdegno impotente con parole molto dure nei confronti dei proprietari, che, d'altra parte, facevano nient'altro che il loro mestiere. "Non essendo intervenuta la notifica, prevista dall'art. 3 della legge 1-6-1939, n. 1089 (diceva testualmente Iusco) lo stesso Santuario e l'annesso Convento, privi di ogni tutela, sono abbandonati ad un ignobile sfruttamento da parte degli attuali proprietari che li usano per ovile, per deposito di derrate e per l'allevamento di animali da cortile... A tanto danno che si consuma inesorabilmente da decenni sul monumento e sulla superstite suppellettile d'arte si aggiunga un furto di due pregevoli dipinti ad olio su tela del sec. XVII (12), a pochi mesi dall'ordinanza del Comune che intimava per pubblica incolumità la chiusura della Chiesa". Passava, poi, a parlare del pericolo del crollo del campanile che avrebbe implicato "la distruzione di un intero complesso d'arte di eccezionale valore"; e qui rifaceva, con maggior precisione, l'elenco delle opere in pericolo, aggiungendo, a quello già fatto nella lettera inviata ai Carabinieri, "una Madonna lignea del sec. XIII" e due tele seicentesche di scuola napoletana. Dopo di che fa capire il motivo della durezza delle sue parole: l'impossibilità di agire senza il permesso dei proprietari. Dice testualmente: "Le ragioni per cui le autorità responsabili hanno ritardato ogni loro intervento derivano dal fatto che per lungo tempo si è ritenuta illegittima, e quindi nulla di diritto, l'incredibile vendita della Chiesa e del Convento a privati (13), vendita che, purtroppo, ha tutti i crismi della legge". Dice, poi che "nell'intento di convincere i proprietari a concedere almeno il permesso di trasferire, finché si è in tempo, le opere in luogo più sicuro che l'Amministrazione Civica di Sant'Arcangelo mette gratuitamente a disposizione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 52 del R.D. 3-1-1913 N. 363 ha provveduto a far notificare dai Comandi dei Carabinieri di Sant'Arcangelo e di Potenza ai tre proprietari l'eccezionale interesse storico-artistico delle opere esistenti in S. Maria di Orsoleo per sensibilizzarli alle loro responsabilità". Come si vede, il tono si è calmato, e diventa ancora più tenue e quasi scoraggiato quando, in conclusione, il Sovrintendente nota che solo applicando l'art. 3 della legge 1-6-1939 N. 1089 potrà intervenire "la pienezza legale", e raccomanda che si dia, date le "particolari ed eccezionali circostanze, una risposta telegrafica" (14).
Come primo risultato del vivo interessamento della Soprintendenza alle Gallerie della Basilicata si ebbe, già nel 1973, il distacco, dalle pareti del chiostro, degli affreschi più interessanti del Todisco, con l'intento di salvarli dalla distruzione e, possibilmente, di restaurarli (15). Anche il coro ligneo del Seicento fu rimosso dal retroaltare ov'era sempre stato, fu smontato nei vari pannelli, nelle cornici, nei leggii nei sedili, e riposto, in attesa di tempi migliori, in un locale delle scuole elementari. Infine, il 5 agosto 1981, la Soprintendenza per i beni artistici e storici della Basilicata ritirava dalla chiesa di Orsoleo, per sottoporle a restauro, le seguenti opere d'arte:
"n. 1 scult. lignea raff. "Madonna con Bambino" sec. XIII
n 1 Crocifisso Ligneo sec. XVII
n 1 scult. lignea raff. "Cristo alla colonna" sec. XVI
n 1 scult. lignea raff. "S. Michele Arcangelo" sec. XVI
n 1 scult. lignea raff. "S. Antonio" sec. XVII
n 1 scult. lignea raff. "S. Pasquale" sec. XVII
n 1 scult. lignea raff. "S. Teresa" sec. XVII
n 1 dip. su tavola sec. XVI
n 2 dip. su tela" (16).
Nè era possibile fare di più per salvare le opere d'arte conservate a Orsoleo, fino a quando non si fosse deciso, o per decreto di esproprio o per acquisto, circa la proprietà della Chiesa e del Convento.

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NOTE DEL CAPITOLO 9

1) A.C.S. - Fascicolo "Orsoleo". L'Archivio Comunale di Sant'Arcangelo è in fase di sistemazione nei nuovi locali del Municipio, perciò la collocazione dei documenti è quanto mai incerta.
2) Il termine (che nel documento è messo tra parentesi), è, per lo meno, impreciso: "oratorio privato", infatti, è, secondo il vecchio Codice di diritto canonico (C.I.C.) "un luogo destinato al culto divino... se edificato in una casa privata per comodità di una sola famiglia o di una persona privata" (can. 1188), che non sembra, evidentemente, il caso della chiesa di Orsoleo. Del resto, in una lettera (di cui si parlerà in seguito) del Prefetto di Potenza, Maddalena, del 16 febbraio 1965, la chiesa stessa verrà detta "fabbricato... destinato al culto pubblico".
3) Con le parole "nello stato in cui si trova" si intende, dunque, che i Signori Pace e Galotta, al prezzo di duecentomila lire, avevano comprato non solo, ovviamente, i fabbricati e i terreni già descritti nel precedente atto di vendita del 19 die. ma anche la chiesa con tutte le opere d'arte in essa contenute.
4) A.C.S. copia del documento nel fascicolo "Orsoleo" ; Note.
5) A.C.S. - Fascicolo "Orsoleo", (copia).
6) Cioè "da uno che non era il padrone"; si riconosceva, dunque, che il Banco di Napoli aveva venduto una cosa che non era sua.
7) A.C.S., fascicolo "Orsoleo".
8) Osservazioni molto amare fa, in proposito, il Sovrintendente alle Gallerie della Basilicata, Sabino Iusco, in un testo ("da diffondere a stampa per sensibilizzare l'opinione pubblica") allegato a una lettera spedita da Matera al Sindaco di Sant'Arcangelo in data 25 marzo 1974. In A.C.S., fasc. "Orsoleo".
9) A.C.S., fascicolo "Orsoleo".
10) Idem.
11) Idem.
12) Si allude, certamente, alla già ricordata perdita dei quadri nel marzo 1969, ma, allora, uno dei dipinti, quello di M. Scardaccione, non risale al sec. XVII bensì al XIX.
13) Si riferisce, evidentemente, ai dubbi sorti circa la liceità della vendita della chiesa da parte del Banco di Napoli, in forza dell'art. 18 della legge 7 luglio 1866.
14) Il documento è in A.C.S., fasc. " Orsoleo".
15) Gli affreschi furono trasportati a Matera nel 1985 e restaurati dalla ditta Tecni-Reco della stessa città. Attualmente sono conservati in un deposito messo a disposizione dal Comune di Sant'Arcangelo.
16) Dal "Verbale di ritiro opere d'arte mobili" del 5 agosto 1981; in A.C.S., fasc. "Orsoleo".

 

 

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