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CASTELGRANDE E LA SUA CHIESA

da: La Basilicata nel Mondo - 1924-1927
 

Su di un colle, coronato dai ruderi del vecchio castello, torreggia Castelgrande. Questo ameno borgo, messo a guardia dei confini fra la provincia di Avellino e la Basilicata, per l'altitudine della sua posizione fu in origine un castello legato al nome di potenti famiglie. Dapprima dovette appartenere ad una famiglia de Grandis, e come molti castelli prese il nome dai baroni che li possedettero al tempo dell’inizio dei cognomi, ma dai registri angioini appare che suoi feudatari erano gli Anibaldi di Roma, quegli stessi che rifulsero alla battaglia di Benevento col valore di Teobaldo degli Anibaldi, morto accanto a Re Manfredi. Fu dominata poi dai Pipino di Barletta e dai Sanseverino, e facendo parte della dote di Margherita Sanseverino, madre di Re Carlo III di Durazzo, insieme a Muro ed altri feudi fu patrimonio della Regia Corte. Un Antonio di Castelgrande nell’imperversare della fazione avversa alla Corona, dopo la fine infelice della Regina Giovanna I nel vicino castello di Muro Lucano (1381), seppe talmente meritarsi la fiducia di Re Carlo di Durazzo da ottenere un diploma di esenzione delle imposte per se ed i suoi discendenti.
Il Re Ferrante, avuto ragione dei baroni con tradimenti e confische, si assicuro un’effimera pace dell’agitato regno. Dalla confisca degli Alemagna passò Castelgrande ai Carafa, e durò così fino alla famosa Donn’Anna Carafa, viceregina di Napoli.
Proprio in quel tempo nasceva in Castelgrande Matteo Cristiano, che fu dottore in legge, e governatore generale delle armi del Duca di Guisa, combatté con grande ardimento a favore del popolo di Napoli, finché nel castello di Torricella, cospirando con altri nobili abruzzesi, fu preso dagli spagnuoli. Condotto in Napoli trovò la morte in piazza del Mercato insieme al marchese Pietro Concublet e a Damiano Tauro, emissario dell’ambasciatore francese a Roma. Le vicende dell’eroe lucano e della marchesa di Torricella, fiera amazzone abruzzese, che mantenne vivo il fuoco della rivolta fra i baluardi naturali della montuosa sua regione, furono trascritte da documenti dal chiaro magistrato Barone Nicola Cianci di Sanseverino (nato a Castelgrande nel 1835 morto in Napoli nel 1908) e fu merito del Sindaco di Castelgrande, Comm. Potito de Sanctis, di far murare una lapide nel 14 settembre 1913 a memoria delle gesta dell’eroe lucano, intitolando al di lui nome la maggior piazza del paese.
In quella occasione il Sindaco ricordò che tre cittadini avevano illustrato l’alpestre comune: Matteo Cristiano, per la riscossa del popolo, Guglielmo Gasparrini, sommo nella scienza botanica, ed il Barone Nicola Cianci di Sanseverino, consigliere di Cassazione e socio Pontaniano, che trasse dai polverosi archivi lontane memorie e additò agli studiosi le mura ciclopiche di Montenuovo, presso Castelgrande, simili a quelle dell’antica Numisiro nella raia di San Basile presso Murolucano.
Gli studi di lui meritano che qualche temprato ingegno ne faccia nobile tema di ricerche. Viaggiando negli Abruzzi, nel rievocare le gesta della Marchesa di Torricella, fiera amazzone, come è chiamata dai cronisti, mi venne fatto di leggere nel libro dei nati, mostratomi dal parroco di Torricella Poligna, don Gilberto Porreca, il nome di Maria Giovanna, figlia di Giovan Vincenzo di Torricella e di Lucrezia Giustiniani, nata nel 24 marzo 1626. Questo Giovan Vincenzo di Torricella risulta dai Cedolarii feudali di Abruzzo Citra. È dunque sua figlia la novella Giovanna d’Arco, che infiammando di ardore i combattenti contro la dominazione straniera, diede esempio di sublime sacrifizio. Ella non sopravvisse alla vittoria degli stranieri, ma il racconto di quelle sollevazioni contro il malgoverno, tramandato nelle generazioni, giovò a formare la coscienza dell’italianità.
Ma un altro culto animò sempre i semplici e buoni cittadini di questo comunello: mantenere viva la fede dei padri. Il sommo Gasparrini (nato a Castelgrande il 13 gennaio 1804 m. in Napoli il 28 giugno 1866) nel suo testamento dei 28 giugno 1866, prima di morire, assegnava L. 5000 per restaurare la vecchia chiesa e per soccorrere i poveri, che pei primi nella sua fanciullezza lo conobbero e lo amarono. Il voto del grande scienziato fu compiuto, e nel 1870, col sussidio del Governo, del Municipio e dei cittadini, la chiesa fu rifatta interamente. Ma il tempo edace ed i fenomeni tellurici , come quello di Ca litri del 7 giugno 1910, fecero richiedere urgenti rifazioni e restauri.
Soltanto l’ardore religioso, l’alto spirito di abnegazione, l'attività impareggiabile del Parroco Arciprete D. Giuseppe Masi, coadiuvato dall’immensa fiducia e generosità del popolo di Castelgrande, aveva potuto ridonare al paese la sua Chiesa e preparare con tanta solennità l’evento auspicato da tanto tempo, che per lo passato, più che lontano, sembrava del tutto irraggiungibile. Non era stata, difatti, opera facile.
La Chiesa di Castelgrande, dopo il terremoto del 1910, non è esagerazione dirlo, si era ridotta come ad una spelonca. Il tetto tutto sconquassato, donde filtrava in più parti l’acqua, le pareti, corrose dall’umidità, le volte delle navate distrutte, non più decorazioni a stucco, come anche né ornamenti di ogni genere davano più dignità e venerazione alla Chiesa. L’Arciprete M. Rev. D. Giuseppe Masi volle non solo riparare completamente a tanta rovina prodotta dalla natura e, giova dirlo, anche dall’incuria degli uomini, ma anche, nell’occasione dei restauri, formare della chiesa stessa una delle più belle, più decorate e più dignitose della Diocesi di Muro Lucano! Ed ecco così le tre navate tutte dipinte a nuovo con colori delicatamente soffusi, tempestate da stucchi ed arabeschi convenientemente disposti ed in armonia delle tinte. Nella navata del centro un gran quadro dipinto ad olio, copia dell’Assunta del Tiziano, offerto dal generoso emigrato Melillo Felice fu Donato, e nella stessa navata un quadro dipinto anche ad olio del Martire S. Vito, anch’esso dipinto a divozione di Federici Giuseppe fu Serafino; poi, quasi come due accoliti ad essi quadri, due Angeli dipinti sull’arco dell’altare maggiore, offerti dal Rev. Esposito D. Mosè. Oltre ciò, opera dell’artista Giuseppe Cerreta di Calitri, tutto è nuovo e lindo nella Chiesa. Gli altari delle due navate laterali rimodernati, le statue dei Santi degli altari stessi quasi tutte rimesse a nuovo e parte nuove del tutto, nonché degne di speciale menzione sono i 14 quadri della Via Crucis in plastica colorata, offerti dall’altro emigrato Masi Angelo, fu Vincenzo. A dare infine maggiore armonia a tutte le opere d’arte, di cui in speciale modo anche la balaustrata nuova dell’altare maggiore, nota del tutto moderna è l'illuminazione elettrica della Chiesa disposta in innumerevoli lampade, e fra esse le più belle quelle disposte lungo tutto l’arco dell’altare maggiore, tutte fatte in modo da dare un insieme armonico e conciliare il maggiore raccoglimento da parte dei fedeli, opera che si ottenne dalla generosità del Rev. D. Carlo Cianci, degno Parroco degl’Italiani di Paterson.
Resta ancora, per completare le mirabili opere già compiute, la stuccatura della facciata della Chiesa e la ricomposizione della pregevole gradinata esterna, i cui mezzi si vanno già raccogliendo, opera che sarebbe stata anch’essa già compiuta, se la stagione più propizia l’avesse permesso. Abbiamo detto, precedentemente, delle pessime condizioni della Chiesa prima dell’assunzione alla maggiore dignità ecclesiastica dell’Arciprete D. Giuseppe Masi, il quale ha pure disposto la costruzione di un organo, già commissionato alla Ditta Benzi, di Crema, e la cui spesa di circa 28mila lire.
Abbiamo descritto la Chiesa occorre ora esporre l’opera mirabile dei benefattori che produssero una tanta opera per l’ammontare complessivo di ben lire centocinquantasettemila. Se l’Arciprete Masi avesse voluto attendere benefici di legge e iniziative di pubbliche autorità, ancora molti anni avrebbe dovuto attendere Castelgrande per avere la sua Chiesa. Invece egli, conoscitore del popolo affidato alle sue cure, animato dal fervore della fede, edotto del principio che nella vita la gran forza morale ed educativa è l’esempio, comincio a chiedere il concorso altrui mettendosi a capo della pubblica sottoscrizione con un’offerta personale di ben lire 28mila. Così, oltre alle anzidette offerte del Cristiano per lire 28mila, del Melillo per L. 6250, del Rev. Cianci Carlo per L. 6mila, di Giuseppe Federici per L. 2mila, di Angelo Masi per L. 1500, si raccolsero subito altre speciali oblazioni, che per doverosa riconoscenza si elencano Rev. D. Angelo Federici lire 7 mila, Mons. D. Felice Cianci L. 5 mila, Rev. D. Mosè Esposito, Rev. D. Nicola Franco L. 2 mila, Rev. D. Giuseppe Giuliani L. 1500, Rev. D. Gerardo Cristiano L. 1000, Fiorentino Cav. Bergamo L; 1600, Confraternita di S. Vito L. 2000, Congr. di Carità L. 2000, Santa Errico, vedova Saggese L. 1500, Pietro Russo, di Franc. L. 1000, Vito Cianci, fu Antonio L. 1000, Angelo Masi, fu Ambrogio L. 1000, Francesco Federici, fu Aniello, L. 1000, Gennarino Ruocco L. 1000, Angelo Calore L. 1000, Francesco Federici, di Pasquale L. 1000, Giuseppe De Ruvo, fu Michele L. 1000, Pasquale Rita, di Giuseppe L. 1000, Vito Federici, fu Angelo L. 1000, Donato Russo, fu Mariano L. 1000, Anna Cianci ved. Coppola L. 1000, Anna Bologna ved. Colucci L. 1000, Felice Cardone, fu Gaeta L. 1000, Francesco Masi, di Antonio L. 1000, Girolamo Ruocco Scatigno L. 1000, Angelo Racaniello, fu Giovanni L. 1000, Rev. Don Giovanni Racaniello L. 500, Dr. Antonio Masi L. 500, Giuseppe Miele L. 500 ecc. ecc.
Artefici principali della ricostruzione della Chiesa furono i fratelli Emilio e Francesco Saggese, i quali, proseguendo le buone tradizioni paterne per altre opere pubbliche, Municipio e fontana, qui in Castelgrande, come altrove, hanno potuto per i lavori della Chiesa eternare il loro nome per l’ottima costruzione delle mura e della tettoia, nonché per i disegni e l’esecuzione delle altre opere accessorie già encomiate dall’Ingegnere Luigi Grand. Uff. Pistoiese.
Veniamo ora alla cerimonia dell’ inaugurazione.
Nel mattino del 5 ottobre Castelgrande fu svegliato da innumerevoli colpi di mortaretti e dal suono della musica di Muro Lucano, e specialmente da tutte le campane a festa che, mai come allora, sembravano aver assunto la loro vera voce solenne e ieratica. L’amministrazione comunale, con saggio ed opportuno criterio, volle aggiungere alla festa religiosa quella della inaugurazione di pubblici fontanini del nuovo acquedotto, quasi già completato. Il popolo, già festante e preparato per assistere all’inaugurazione della chiesa, vide così nello stesso giorno coronato un altro legittimo bisogno e desiderio, ammirando lo zampillar dell’acqua dalle fontane nelle vie del paese, opera ottenuta tutta a spese dello Stato, per l’avveduto accorgimento, l’amore al suo paese ed il sano criterio amministrativo del Sindaco del tempo, Comm. Potito de Sanctis. Alle ore nove, per rendere più gradita e degna la festa del popolo di Castelgrande, intervennero da Muro Lucano: L’Ecc.mo. Vescovo Mons. Scarlata, l'Illmo. Mons. Vizzini, il R.mo Arcip. D. Gerardo Can. Farenga, il Rev. Can. Penitenziere D. Michele Darusi, il R.mo Cancelliere D. Michele Can. Margiotta, il Rev.mo D. Mauro Can. Prof. Zaccardi, il R.mo D. Francesco Dott. Lordi, nonché dodici chierici.
Si recarono incontro al Vescovo ed ai soldati intervenuti, all’ingresso del paese, tutte le Associazioni civili e religiose, le Autorità del Comune, un cospicuo numero di Signori e professionisti del luogo. Sua Ecc. Monsignor Scarlata, accompagnato in forma solenne da tutto il popolo di Castelgrande, alle ore dieci tenne messa pontificale nella chiesa ricostruita, i cui pregi, in alato discorso di occasione, fece rilevare Mons. Vizzini, Vic. Gen. della Diocesi, il quale tessè il più ammirabile elogio dell’opera svolta con tanto amore dall’Arcip. Masi e dello spirito buono e religioso del popolo di Castelgrande, dicendo col nuovo Pastore e la nuova Chiesa, non vi era che da perseverare nella via del bene e per la fede di cui esso popolo si era dimostrato già tanto meritevole.
Terminata la funzione religiosa, sempre allietata da continui spari e dalla musica predetta, autorità civili e religiose convennero ad un banchetto offerto dall’Arciprete Masi nei locali dell’ Istituto di S. Maria degli Angeli, dove in serata quelle alunne, mirabilmente organizzate ed istruite dalle gentili e benemerite Suore Salesiane, u~ onore di Sua Eccellenza e-seguirono un trattenimento musicale e rappresentarono un dramma.
La giornata di festa, allietata continuamente dal sole, si chiuse con un augurio, espresso da tutto il popolo di Castelgrande: mantener sempre, come ha già dimostrato, tanta fede al suo Parroco e seguirlo nelle nuove benefiche opere cui egli già attende, cioè la costruzione di una Canonica attigua alla chiesa, come nelle migliori chiese del Regno, e così che in essa i giovani specialmente possano formarsi quella coscienza religiosa, che li renda utili cittadini e benemeriti della grandezza della Patria, nel principio, che non vi può esser Patria senza fede, né fede senza Patria.
Dal canto nostro, nel congratularci con l’Arciprete Masi, per l’opera compiuta a decoro del paese e della Religione, gli auguriamo sempre maggiori soddisfazioni morali e quel giusto apprezzamento della sua opera da parte delle pubbliche autorità, per sempre più incoraggiarlo nelle vie del pubblico bene.

SIR ROGES    
 


 

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