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ROCCO BUCCICO
 

testo tratto dalla "Basilicata nel Mondo" (1924 - 1927)

 


A Monticchio, si è spento uno fra gli uomini di più alta statura volitiva della provincia.
Lo conoscevano tutti dei paesi vicini, e i coloni e i contadini di Monticchio e di Foggiano, col nome di “Ispettore,, o di “D. Rocco,,. Le alte onorificenze di cui l’avevano insignito non accrescevano nulla alla simpatia e alla cordiale sua affabilità verso tutti. Fu lontano dalla millanteria, che è il male dei fatui.
Era uscito, credo, verso il 1875, dall’Istituto tecnico di Melfi, che allora non aveva quasi suppellettili scientifiche e in cui si insegnava con insegnanti locali, quasi senza stipendio, ma fior, di patrioti, ricchi di cuore e passionati educatori. E bene ricordare che con Lui, compagni o di qualche corso inferiore, uscirono uomini che poi ascesero molto in alto negli uffici pubblici, nell’agricoltura, o nella milizia, come il Colucci, il Marchetti, il De Gregorio, il Lotrionte e quel suscitatore della agricoltura delle Calabrie, che fu ed è il Pilati. Più in là, fra i tanti valori, Leopoldo di Muro e Vincenzo Tangorra, divenuti professori di Università, e Antonio Sansone. Rocco Buccico aveva vinto facilmente un concorso nell’Amministrazione forestale, donde lo trasse, col consenso del Governo, la Società anonima per la vendita dei beni demaniali, ad amministrare la vastissima tenuta.
Monticchio non era un sito ridente. Era un seguito di brevi alture foscamente boscose, donde il suo nome. L’orizzonte chiuso da una chiostra di sgraziate basse montagne e, solo paesaggio caratteristico, i due laghi in uno dei quali si specchia il cenobio. A settentrione la sconsolata valle dell’Ofanto vicina a S. Venere che gli antichi definirono locus horroris et vastae solitudinis.
Alle Paludi si era cominciata a costruire una casa padronale, e, poco lungi, erano i Bagni di acque ferruginose, con povere catapecchie, ove i bagnanti erano costretti a portare tutto, dai materassi alla pentola. Prima della apertura del tronco Rocchetta-Avellino, bisognava andarvi a schiena di mulo o di asino per vie sassose e in qualche punto dirupate.
Non bastavano alla gioia della vita gli alti silenzi e i foraggi e le querce secolari né, nell‘inverno, le fugaci allegrezze di cacce clamorose. Gli stessi laghi erano mortiferi per malaria. Nel breve istmo di S. Ippolito, che li separa, fra i ruderi di un antico convento, viveva, in una misera capanna, qualche pescatore, giallo di febbri, fra le acque immote stagnanti.
Rocco Buccico vi è vissuto oltre un quarantennio, perchè ne sognò la trasformazione e l’ottenne con mezzi poveri, e dati con mano avara, seguito dappoi, il suo esempio, su altra parte della tenuta, dai fratelli Lanari.
i competenti hanno detto dell’opera sua come agricoltore. Chi, come me, ricorda il Monticchio d’un tempo, ove, dopo qualche giorno di dimora vi opprimeva il tedio, e lo ha visto man mano prosperare, non può che piegare il capo riverente e memore dinnanzi a un’opera di bellezza e di energia che ha coronato lo sforzo d’una vita operosa e buona.
Le colline quasi nude che scendono a destra sui laghi sono ora ammantate di superbi castagneti e, sui declivi, da nocelleti, frutteti e vigneti. Vi prospera il tabacco. La selva non è interamente distrutta, secondo il vandalico costume, anzi in gran parte conservata (e in questo è anche, e principalmente, il merito dell’On. Fortunato che impedì l’alienazione di quella parte interamente boschiva, che divenne demanio forestale dello Stato). A poca distanza fra esse, nitide case coloniche e prati, coltivazioni granifere e allevamenti danno lo spettacolo di una vita fervida e novella.
Passano lungo le belle vie poderali i carri variopinti, che ragazze di famiglie patriarcali guidano sorridenti. Le acque acidule, che prima si sperdevano al Gaudianello e a S. Maria di Luco in pozze fangose, ora sono divenute famose. Alle Paduli è sorto un vero villaggio con scuole, ufficio postale e una bella chiesa, mentre agli Sgarroni, ove è morto Rocco Buccico, e che era un luogo arido e selvaggio percosso dai venti, è sorto un ampio casamento circondato da vasti locali colonici e da un fiorente vigneto.
Quel che possa l’amore verso la terra, tanto più degno di esaltazione in quanto l’opera magnifica si è imbattuta nella indifferenza dell’ambiente e nei sogghigni degli oziosi, è dimostrato non solo da Monticchio, ma anche da Gaudiano, ove Ernesto Fortunato, in altra forma, pose il perenne soggetto d’un trentennio di dura e geniale fatica. E, purtroppo, questi esempi restano meno esempi e più rampogne contro quelli che, avendo il potere di migliorare e trasformare e muoversi, non ancora comprendono che i tempi “battono col remo qualunque si adagia ,,, e li travolge. Basta a me ricordare che, avendo l’anno scorso la Commissione Reale risvegliato il problema dell’irrigazione dall’Ofanto, la voce è andata perduta nel deserto!
E qui, se il ricordo di egregie vite non deve essere uno sterile compianto, ma ammonimento e sprone ai vivi ed ai venturi, io voglio ricordare, colle parole di G. B. Guarini (il non dimenticabile scomparso) nel cinquantenario della insurrezione della Basilicata, in quali condizioni si svolse il travaglio di Ernesto Fortunato e di Rocco Buccico, acciocché con più alto rilievo si scolpiscano nei ricordi le loro figure.
“Signori, egli disse nel 1910, la borghesia idealista del 1860 si muta in gran parte, quella forse più viva e agitante, in una classe positiva e spregiudicata costretta a domandare alla terra e al credito quel dritto al gaudio della vita che ignorarono le dure quaresime degli avi ,,. La provincia è spogliata delle sue selve e la breve illusione di una effimera ricchezza, poiché questa è finita, da la mano allo abuso del credito. La lotta per la vita diventa aspra. Le vecchie case signorili sentirono I’acuto morso del bisogno, ma non trovarono l’energia e la forza bastevoli a salvare sé stesse. Parve che non dalla urna della solidarietà, non dalla disciplina del dovere, ma dalle astiose lotte di personale concorrenza potesse derivare il benessere. Irrisi i vecchi ideali, uno scetticismo duro e beffardo sostituì la nostra bontà semplice e schietta. E non pare, purtroppo, che i tempi siano gran fatto mutati.
Assai tardi la provincia si accorse del valore di quel solitario e lo chiamò ad alti uffici, ove la sua competenza certamente temperò le correnti del politicantismo che inquinarono l’esecuzione della legge sulla Basilicata.
Con Rocco Buccico è scomparso, forse per sempre, l’ultimo raggio della cordiale ospitalità lucana. Una ospitalità pronta, festante, esuberante. A Monticchio furono attratti da quella schietta gentilezza del buon tempo antico i più alti uomini dell’arte, della politica e della scienza. Ma forse più a Lui piacevano le comitive di fedeli amici che ricorderanno il suo viso illuminato di allegrezza quando essi venivano a interrompere, giocondi, la sua solitudine, e ricorderanno la sua conversazione vivace e arguta, sempre bonaria e affettuosa.
 

 


F. SEVERINI


Rocco Buccico nacque a Ruoti, un paesello della nostra Basilicata, il 9 gennaio dell’anno 1855.
Ingegno perspicace, s’incamminò agli studi tecnici ed ancora giovanissimo conseguì il diploma di perito forestale ed agronomo col massimo dei punti. Ventunenne era già assunto nell’amministrazione forestale dello Stato in cui rimase, dando il prezioso contributo della mente e tutto l’entusiasmo del cuore, dal 1876 al 1882. Da quest’epoca passò, legandovi il nome e ricavandone la gloria, come direttore tecnico dell’azienda di Monticchio nei territori di Rionero in Vulture e di Atella.
Il bosco selvaggio che si trasforma in un’azienda modernissima

Che cosa era Monticchio? Io non posso, in questo momento, farne la storia così ricca ‘di vicende. Situato nella parte occidentale interna del Vulture, Monticchio era una conca selvaggia, un bosco druidico ed improduttivo, luogo di svago dei poeti, di pace per gli eremiti, di selvaggina per i cacciatori, di bottino per i... ladri. I quali ultimi, più tardi, cacciati i Benedettini ed i Cappuccini, vi fecero il loro covo inaccessibile e sicuro e compirono le loro gesta sanguinose e predatorie.
Nel 1872 dal Demanio dello Stato, Monticchio fu ceduto al Credito Franco Svizzero, e, restituito per inadempienza di patti, venne in possesso della Società Lanari & C. di Roma che chiamò Rocco Buccico a Direttore tecnico, l’uomo che doveva compiere la trasformazione del bosco selvaggio in una tenuta fertile e modernissima.
Dal 1892 al 1903, la Ditta Lanari tenne per intera l’azienda che fu quindi divisa in due parti: una, di circa duemila ettari e completamente trasformata, rimase agli eredi Lanari; l’altra di circa tremila-trecento ettari, fu attribuita al Credito mobiliare che poi la cedette al Banco di Roma.
Assunta la Direzione dell’azienda, Rocco Buccico dove anzitutto cominciare con un lavoro di difesa e di sicurezza: lottò, cioè, e debellò il brigantaggio che ancora infestava il bosco di Monticchio. Indi si accinse alla grande opera di rinnovazione: dissodò vaste estensioni di terreno rendendole atte alla produzione; rivestì di alberi di castagni le falde delle montagne e delle colline franose e quei terreni che diedero cattiva prova in seguito al dissodamento; avvicendò le culture di leguminose con quelle di cereali; fece opera di bonifica e d’irrigazione; diè impulso all’industria zootecnica; al rozzo chiodo fè subentrare l’aratro; introdusse vivai di piante forestali , vigneti e frutteti specializzati; slanciò le acque acidule ed alcaIine nel commercio del mondo e... colonizzò Monticchio. La colonizzazione! E questa una parola ripetuta spesso dai sentimentali della politica; ma prima che essi l'avessero detta Rocco Buccico l'aveva praticata meravigliosamente.
Egli praticò la colonizzazione con successo facendo immigrare a Monticchio famiglie marchigiane industri e laboriose cui preparò comode ed igieniche case coloniche, attrezzi, scorte, e quelle realizzarono rilevanti economie, dovute in parte all’onesto contratto di colonia parziaria stipulato, in parte agli splendidi risultati ottenuti dalle coltivazioni razionali.
Oltre il merito della colonizzazione Rocco Buccico ne ebbe un altro grandissimo: quello, cioè, di avere lanciato sul mercato mondiale le acque alcaline e gassose trovantisi nella regione del Vulture.
Sono conosciute nel commercio le acque delle sorgenti Lanari e Gaudaniello, per tavola; Rapida, purgativa; Vittoria, ferruginosa; Sovrana, superiore alla Vichy; e tra le acque della tenuta di Monticchio di Atella, ve ne è una, lassativa, tipo Marenbad, ed una da tavola, gradevolissima, analizzata dall’illustre Prof. Paternò che ne ha attestato le qualità rare.
A questo lavoro Egli attese interrottamente e con singolare energia, riuscendo, non solo a trasformare un bosco in un azienda agricolo-industriale modello, ma a far conoscere i tesori che scaturivano dalle falde del Vulture erto, gelido e maestoso.


Le benemerenze dl Rocco Buccico
Non è possibile enumerarle; per la maggior parte — e forse le più grandi — non sono state decretate da alcuno né fissate in un documento ufficiale, ma sono, d’altra parte, scolpite nel cuore di chi ne ha risentiti gli effetti benefici, sono scritte nella pubblica opinione.
Ebbe un diploma di benemerenza nella silvicultura, comunicatogli dal Ministero di Agricoltura il 6 marzo 1908; una medaglia di benemerenza, conseguita nel concorso a premi per opere di bonificamento e d’irrigazione; una medaglia d’oro, per la collaborazione e formazione della Mostra collettiva di legname alla Esposizione di Milano; una medaglia d’oro, per le acque minerali lanciate nel commercio ed una medaglia d’argento per il lanificio, avuta alla stessa Esposizione.

Cariche onorifiche ed onorificenze
Rocco Buccico fu autorevole, attivo ed intelligente membro del Commissariato Civile per la Basilicata; componente il Consiglio Superiore delle Acque e Foreste; componente la Commissione del traffico compartimentale, in cui fece proposte che riguardavano modificazioni di tariffe nell’ interesse del commercio del Mezzogiorno; presidente della Lega antimalarica per cui istituì il 1° sanatorio in Basilicata; presidente della 1° Mostra Zootecnica. Nel 1890 fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia; Cavaliere del lavoro nel 1907; Ufficiale della Corona d’Italia nel 1910; Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, nel gennaio 1912; Commendatore nel 1912; Gr. Ufficiale nel 1919.


Cittadino onorario di due Comuni
Solo chi ha compiuto grandi opere di rinnovamento e di vita, chi ha beneficato non un individuo ma una classe, chi ha lavorato a vantaggio di una comunità, per l’elevazione economica e sociale di un popolo, può aspirare al grande onore di essere “cittadino,, di un paese senza appartenervi per nascita o per elezione.
Onore, questo, serbato a pochi: in generale a quegl’illustri rappresentanti della volontà popolare che, con tenace proposito, sanno strappare ai Governi leggi di favore per i loro rappresentanti, opere pubbliche lungamente sospirate.
E quando si pensi che Rocco Buccico attese con intelletto di amore ad opere straordinarie a beneficio collettivo, ricevendone, in ricompensa, per gratitudine e ricordo, la cittadinanza onoraria dei Comuni di Rionero in Vulture e di Atella, si comprenderà facilmente quale forza di spirito e quale disinteresse nobilissimo dovettero continuamente assisterlo.


Visitatori illustri di Monticchio
L’ospitalità che offriva Rocco Buccico agl’illustri visitatori è ben nota: dalle più spiccate personalità politiche ai più stimati artisti, tutti sempre trovarono in Monticchio un delizioso soggiorno ed una cordialità eminentemente meridionale.
Francesco Paolo Michetti, Edoardo Scarfoglio, Ferraguti Arnoldo e Tito Ricordi furono tra gli ammiratori del bosco incantevole.
Fortunato, Lacava, Ciccotti, Abbignente ed altri uomini eminenti non mancarono di tornare alla badia di San Michele per godere un pò di frescura e raccogliersi, per qualche giorno, in una quiete contemplativa.
Nel 1906 Monticchio fu visitato dal compianto Ministro Gianturco, allora Ministro dei LL. PP, il quale volle ammirare da vicino il sistema di colonizzazione e vi andò con tutta la sua famiglia.
L’impressione che il grande e compianto Statista riportò di quella geniale opera di trasformazione, può dirsi racchiusa nelle due parole con cui Emanuele Gianturco da quel momento soleva chiamare Rocco Buccico, “Imperatore di Monticchio"

 


La Stampa e Rocco Bucclco
Pel suo carattere alieno da ogni pompa esteriore, Rocco Buccico non volle mai menar vanto di sé, tenendosi, per quanto gli fu possibile, lontano dalla stampa; ma questa, per contrario, gli si avvicinava sempre, scovandolo nella Badia di Monticchio, il cenobio del gentiluomo agricoltore. E di lui ebbero a parlare, da diverso punto di vista, ma in modo assai lusinghiero, giornali quotidiani e periodici di ogni parte politica, riviste illustrate, bollettini, che misero sempre in speciale evidenza la figura luminosa dell’agricoltore intelligente, del gentiluomo.
Monticchio, poi, fu oggetto di numerose monografie. Ne scrissero, il comm. Cesare Cagli, allora Capo dell’ Ufficio del Commissariato civile, pel “Lucano,,; Ettore Ciccotti pel “Socialismo,,, rivista diretta dall’On. Enrico Ferri; il prof. Alberto Romolotti, pel “Risveglio,, e tanti altri.
Rocco Buccico fu egli stesso un appassionato pubblicista, collaborando a giornali e riviste tecniche assai accreditate, e trattando, spesso ampiamente, su periodici della provincia, problemi che interessavano l'avvenire della regione in relazione alle condizioni miserrime di questa.
E degno, poi, di speciale menzione il pregevole lavoro da lui pubblicato, “La Basilicata ed il problema della colonizzazione e della immigrazione interna,,, che rivelò in Rocco Buccico il tecnico di soda e profonda coltura, lo studioso dei problemi silvani, l'apostolo instancabile del risveglio forestale, agrario e zootecnico della nostra Basilicata.


La politica ed il « rassismo »
Abbiamo cercato di ricordare molto sommariamente, in quest’ora dolorosa per la provincia tutta, i meriti e le virtù dell’Uomo eminente che, per oltre un trentennio, in un lavoro di tutti i giorni, senza posa, e con la rinuncia più completa ad ogni forma di svago, rimase sulla breccia a compiere il proprio dovere di amministratore onesto, di cittadino integerrimo, di padre esemplare.
Uomini come Rocco Buccico non si rimpiazzano, purtroppo; e la provincia avvertirà per molto tempo la scomparsa di Lui, che era sempre presente, in ogni occasione, tutte le volte che il suo concorso morale finanziario tecnico veniva richiesto. Non vi è stata iniziativa in Basilicata, difatti, durante questo lunghissimo periodo di tempo, in cui il nome di Rocco Buccico non fosse comparso, accanto a quello degli uomini più illustri e più rappresentativi della provincia, negli elenchi dei vari comitati, sorti o a scopo di commemorazioni patriottiche, o di beneficenza, o per motivi di pubblico interesse. E quel nome, in quegli elenchi, non aveva una semplice funzione decorativa; perchè, Rocco Buccico sapeva prendere parte attiva a tutte le manifestazioni, portandovi contributo di iniziativa, di intelligenza, di operosità, oltre che di autorità morale.
La politica, pure, lo ebbe milite appassionato. Ma quanta temperanza nei giudizi di Lui! quanta serenità di apprezzamento nella valutazione di uomini e di avvenimenti!
Alcuni avversari dell’Uomo politico più in vista, per il quale Rocco Buccico ebbe sempre il culto della più disinteressata amicizia e della devozione più sconfinata, S. E. Nitti, gli avevan dato l’appellativo di ras. Niente di più ingiusto e di men riguardoso.
Rocco Buccico aveva un cuore d’oro ed un animo nobilissimo. Più che fare sentire il peso della sua autorità, e ne aveva molte volte il diritto, preferiva essere umile sempre e modesto, con tutti, ma specialmente con gli umili. Io credo che non vi sia stato mai cittadino di Basilicata che si sia rivolto inutilmente a lui, o per una raccomandazione, o per consigli. Per tutti Rocco Buccico si prodigava, ed era veramente lieto di fare il bene.
Su le pagine di questa rivista, che per la prima volta porterà a tutti i nostri conterranei sparsi per il mondo la voce nuova della terra comune, abbiamo voluto ricordare Rocco Buccico, che fu tra i più degni cittadini della nostra Basilicata; perchè, il ricordo di Lui e dell’opera sua possa essere di esempio e di incitamento al lavoro, al bene, all’amore sempre più grande per questi monti verso i quali il cuore del nostro emigrato tende ogni giorno, in un sentimento di profonda nostalgia.
E crediamo di avere, ciò facendo, assolto ad un dovere civico, al plebiscito degli uomini insigni avremmo voluto unire la manifestazione di compianto di tutte le classi sociali di Basilicata, che vanno dal ricco agricoltore al modesto impiegato, dall’intelligente professionista all’umile ed operoso artigiano.
Ma una simile rassegna sarebbe stata troppo lunga, e, non certo adatta all’indole di questa rivista.
Ecco perché ci limitiamo ad un semplice accenno, certo spiacenti di non potere riportare quello che dopo la morte di Rocco Buccico hanno di lui scritto uomini che si chiamano, Francesco Nitti, Michetti, Maurizio Capuano, Giustino Fortunato,Vincenzo Janfolla, S. E. Giuffrida, Cesare Cagli, S. E. Rairieri, Vincenzo Quaranta, Achille Nardi-Beltrami, Giuseppe Moscati, Pasquale Indrio, Ubaldo Lanari, Gino Lisi, Nicola Longo, Luigi Pistoiese, Michele Carlucci, Ammiraglio Salinardi, Luigi Lordi, e tanti e tanti altri che occupano posti eminenti nella burocrazia centrale, negli uffici delle più importanti Città d’Italia, nel campo delle libere professioni, nel foro, nelle cliniche, nelle Università.
E che dire del compianto sincero e commosso di tutta la Basilicata? Sono centinaia e centinaia i telegrammi pervenuti alla famiglia Buccico da ogni più misera borgata della regione come dai centri più importanti di essa. Potenza, poi, Melfi, Avigliano, Rionero, Atella, hanno addirittura gareggiato in questa manifestazione di cordoglio, ed i dispacci sono arrivati in numero veramente considerevole, mentre le lettere e le carte da visita non si contano, tanto sono numerose.
Rare volte à stato dato di registrare un simile plebiscito di dolore per la scomparsa di un Uomo.
 

 

testo tratto dalla "Basilicata nel Mondo" (1924 - 1927)

 

 

 

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