Anticamente i contadini portavano
nell'inverno una specie di pastrano senza maniche, detto lu purcione
(pelliccione di pecora o di montone) per ripararsi dal freddo e dalla
pioggia. Talvolta si faceva più corto ed attillato, a guisa di
giubboncello con orlatura screziata; ma questa era moda propria dei
pastori.
Dall'usanza del purcione venne certamente l'espressione di pillicci, che
si dà ai bracciali per ironia e disprezzo. E ne venne la frase: gn'
acconciaze bone bone lu purcione (gli acconciò ben bene il vestito), per
dire: lo battette, o bastonò per le feste; che vale pure: gli fece una
brutta testimonianza, relazione o rapporto.
I contadini più agiati, in vece del purcione, usavano la velata, lunga
pure come un pastrano, ma più leggiera, onde il suo nome di velata; ed
era di cerrito, panno ruvido e resistente, di colore monacale o di caffè
bruciato.
Nella stagione più mite si portava lu varniedd' (guarnello), a somiglianza
della moderna chemise. Era di filannina (filandina) di colore blu
oscuro, tessita a Potenza, o in altro paese della Provincia; senza
bavaro o colletto, e molto comodo per taglio e gusto villereccio, da non
dare fastidio nel lavoro, quando si metteva nei giorni di acquerugiola e
di freschetto. Il povero Raffaele Danzi, poeta popolare in dialetto
potentino, nella sua canzone la costituzione di lu 1848, esortando i
giovani a difenderla, fece sul varniedd' una bella metafora, quando
disse:
Affilareve li ccett
Nu ddasciar' li curtiedde,
E pensar'ca lu varniedd
Nu v'avir' da fa strazzà
(Affilatevi le accette - Non lasciare i coltelli. - E pensate che il
guarnello. - Non v'avete da fare stracciare). Pensate, cioè, a non farvi
stracciare la pelle, o togliere la vita.
Più tardi, verso il 1830, al purcione ed alla velata sostituirono il largo
cappotto di cerrito, per meglio coprirsi e difendere nelle grosse nevate
contro le furiose raffiche del pulvino, o nevischio.
Nei primi tempi anche la cammisola (cammiciola o panciotto) ed il calzone
corto con la braetta (brachetta, brache) erano di cerrito con bottoni
ruvidi di ferro; ma in està si andava in cauzanett' (calzonetto) di tela
di casa, o lino doppio (tessito in casa), ed in manie di cammiscia
(maniche di camicia), rimboccandole sulle braccia da lasciare libera la
aramiedda (avambraccio) muscolosa ed arsicciata dal sole e dalla
polvere.
A coprire le gambe usavano stivali di filannina bianca e per i piedi pezze
dello stesso panno, e scarponi, calzatura antica alla romana, di rolla,
o cuoio grezzo e giallo delle concie di Montemurro, lasciando lu arrone
(calcagno) scoperto; sicchè si aveva il passo facile e leggiero.
Qualche vecchio agiato portava scarpe doppie e grossolane con fibbie
larghe di ferro, ricordando una costumanza del triste dominio spagnuolo.
Scarponi e pezze formavano una calzatura comodissima per i lavori di
campagna, perché il contadino, ritirandosi la sera col piede molle ed
incretato, se li toglieva, mettendoli ad asciugare vicino al fuoco, o
alla catena del focolare, per rimetterseli la mattina senza danno della
salute.
Dal modo di allacciare scarponi e pezze con zuariedd' (funicelle),
intrecciato a croce sul piede ed a molti giri attorno la gamba, si
trasse motto d'ingiuria e di disprezzo per i poveri bracciali,
chiamandoli gente maledetta da Dio, perché portavano ancora la croce sul
piede, a memoria del loro preteso delitto contro il Giusto delle genti.
Ma non furono essi che crocifissero il Cristo; furono gli Scribi e i
Sacerdoti, rappresentanti l'intolleranza, il privilegio e la ricchezza!
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