F. SABIA (a cura) - Costumi della Basilicata (Sec. XVIII e XIX)

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Donna di Lagonegro Uomo di Lagonegro Donna di Latronico Donna di Moliterno

 

Anticamente i contadini portavano nell'inverno una specie di pastrano senza maniche, detto lu purcione (pelliccione di pecora o di montone) per ripararsi dal freddo e dalla pioggia. Talvolta si faceva più corto ed attillato, a guisa di giubboncello con orlatura screziata; ma questa era moda propria dei pastori. 
Dall'usanza del purcione venne certamente l'espressione di pillicci, che si dà ai bracciali per ironia e disprezzo. E ne venne la frase: gn' acconciaze bone bone lu purcione (gli acconciò ben bene il vestito), per dire: lo battette, o bastonò per le feste; che vale pure: gli fece una brutta testimonianza, relazione o rapporto. 
I contadini più agiati, in vece del purcione, usavano la velata, lunga pure come un pastrano, ma più leggiera, onde il suo nome di velata; ed era di cerrito, panno ruvido e resistente, di colore monacale o di caffè bruciato. 
Nella stagione più mite si portava lu varniedd' (guarnello), a somiglianza della moderna chemise. Era di filannina (filandina) di colore blu oscuro, tessita a Potenza, o in altro paese della Provincia; senza bavaro o colletto, e molto comodo per taglio e gusto villereccio, da non dare fastidio nel lavoro, quando si metteva nei giorni di acquerugiola e di freschetto. Il povero Raffaele Danzi, poeta popolare in dialetto potentino, nella sua canzone la costituzione di lu 1848, esortando i giovani a difenderla, fece sul varniedd' una bella metafora, quando disse: 

Affilareve li ccett
Nu ddasciar' li curtiedde,
E pensar'ca lu varniedd
Nu v'avir' da fa strazzà

(Affilatevi le accette - Non lasciare i coltelli. - E pensate che il guarnello. - Non v'avete da fare stracciare). Pensate, cioè, a non farvi stracciare la pelle, o togliere la vita. 
Più tardi, verso il 1830, al purcione ed alla velata sostituirono il largo cappotto di cerrito, per meglio coprirsi e difendere nelle grosse nevate contro le furiose raffiche del pulvino, o nevischio. 
Nei primi tempi anche la cammisola (cammiciola o panciotto) ed il calzone corto con la braetta (brachetta, brache) erano di cerrito con bottoni ruvidi di ferro; ma in està si andava in cauzanett' (calzonetto) di tela di casa, o lino doppio (tessito in casa), ed in manie di cammiscia (maniche di camicia), rimboccandole sulle braccia da lasciare libera la aramiedda (avambraccio) muscolosa ed arsicciata dal sole e dalla polvere. 
A coprire le gambe usavano stivali di filannina bianca e per i piedi pezze dello stesso panno, e scarponi, calzatura antica alla romana, di rolla, o cuoio grezzo e giallo delle concie di Montemurro, lasciando lu arrone (calcagno) scoperto; sicchè si aveva il passo facile e leggiero. 
Qualche vecchio agiato portava scarpe doppie e grossolane con fibbie larghe di ferro, ricordando una costumanza del triste dominio spagnuolo. Scarponi e pezze formavano una calzatura comodissima per i lavori di campagna, perché il contadino, ritirandosi la sera col piede molle ed incretato, se li toglieva, mettendoli ad asciugare vicino al fuoco, o alla catena del focolare, per rimetterseli la mattina senza danno della salute. 
Dal modo di allacciare scarponi e pezze con zuariedd' (funicelle), intrecciato a croce sul piede ed a molti giri attorno la gamba, si trasse motto d'ingiuria e di disprezzo per i poveri bracciali, chiamandoli gente maledetta da Dio, perché portavano ancora la croce sul piede, a memoria del loro preteso delitto contro il Giusto delle genti. Ma non furono essi che crocifissero il Cristo; furono gli Scribi e i Sacerdoti, rappresentanti l'intolleranza, il privilegio e la ricchezza!
       


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