CAPITOLO
V°
SERVIZIO SANITARIO MARITTIMO E TRASPORTO DEGLI EMIGRANTI
1. PROBLEMI DI IGIENE CONNESSI AI TRASPORTI DEGLI EMIGRANTI
A. Leggi e decreti
In forza della legge 5 luglio 1887 tutti i servizi prima appartenenti al
Ministero della Marina, per ciò che riguardano i lazzaretti e le
operazioni di contumacia, passarono sotto la direzione del Ministero
dell'Interno, restando in dipendenza di quel Dicastero, i Medici di
porto aggregati alle Capitanerie ed agli uffici di porto, e ciò per
ragioni di più semplice vigilanza su tale servizio.
Per quanto si riferisce al compito della Direzione di Sanità, i servizi in
rapporto col movimento marittimo nazionale e internazionale, si poteva
distinguere in tre categorie: a) Ordinanze di sanità marittima,
riflettenti il pericolo di importazione o diffusione di malattie
infettive per via di mare. b) Assistenza sanitaria sulle navi
destinate al trasporto dei passeggeri e degli emigranti. c)
Stazioni sanitarie per osservazioni, per disinfezioni e per pulizia
delle provenienze marittime da luoghi infetti.
Furono emanate nell'anno 1888 n. 13 Ordinanze di Sanità Marittima,
ri-ferentisi specialmente all'epidemia colerosa, e le altre per imporre
divieti alla introduzione nel Regno di animali, di pelli non conciate,
di cuoi salati, e di altri avanzi di bestiame bovino od ovino, di
stracci o di abiti usati destinati al commercio, ecc., da località in
cui dominassero malattie infettive fra gli animali domestici o fra le
persone. Furono inoltre revocate tutte le disposizioni di massima, prima
in vigore, per le provenienze dai paesi infetti da febbre gialla, e con
speciale ordinanza furono sostituite da nuove disposizioni, ritenute più
razionali e più consentanee colle giuste esigenze del commercio e della
sanità pubblica. La circolare n. 11, 26 settembre 1888, riguardante la
febbre gialla, insieme a quella n. 5, 20 giugno 1887, sulle provenienze
dai porti situati al di là dello stretto Bab-el-Mandeb, ed a quella n.
7, 21 giugno 1887, che regolava l'approdo di navi che avevano avuto a
bordo persone affette da malattie contagiose endemiche nelle nostre
regioni, erano ordinanze di massima dirette ad evitare il pericolo di
un'improvvisa e impreveduta importazione nei porti del Regno di malattie
esotiche, o di quelle comuni in paese, pur concedendo le maggiori
agevolazioni al com.mercio.
B. Stazioni sanitarie marittime, lazzaretti, altri luoghi di cura
L'impianto delle stazioni sanitarie e la dotazione di esse degli
apparecchi e dei mezzi occorrenti, rendevano man mano più efficaci
queste ordinanze, le quali fino ad ora potevano essere eseguite in modo
non sempre razionale. Per agevolare agli uffici stessi l'esatta
esecuzione delle norme in vigore relativamente a tale servizio, e per
far si che questo avesse a procedere in modo uniforme in qualsiasi parte
del Regno, fu diramato per mezzo delle Prefetture delle provincie
marittime, un prospetto a stampa indicante le ordinanze di sanità
marittima che rimasero in vigore, fra tutte quelle emanate dal Ministero
dall'epoca in cui assunse la direzione di tale servizio a tutto il 1889.
D'accordo col Ministero della Marina e nell'intento di meglio garantire il
servizio sanitario a bordo dei bastimenti, fu stabilito che nessun
medico potesse imbarcarsi(1)
in tale sua qualità sui piroscafi mercantili addetti al trasporto di
emigranti o di altri passeggeri senza presentare un'istanza e documenti
alla Direzione di sanità, a cui spettava rilasciare all'uopo speciale
autorizzazione.
Queste disposizioni diedero già buoni risultati.
La nuova Direzione di Sanità appena ebbe alle sue dipendenze la
sorveglianza delle Stazioni Sanitarie Marittime(2),
dette il massimo impulso ai lavori per riordinare, secondo le giuste
esigenze del commercio ed i dettami della scienza in fatto di
profilassi, quelle già esistenti, e per stabilirne delle nuove in vari
punti delle nostre coste, al fine di assicurare al paese mezzi meno
dispendiosi e più razionali per difendersi, per quanto e possibile,
dalla invasione delle malattie infettive dall'estero e dalla diffusione
di quelle endemiche nello Stato per la via del mare.
Non esisteva un buon apparecchio di disinfezione, e quando si doveva
praticare tale operazione, ciò avveniva con mezzi insufficienti ed
inefficaci, coi quali, oltre a cagionare grave perdita di tempo, spesso
si arrecava danno agli oggetti trattati, senza alcun presumibile utile
par la incolumità pubblica. Fu assicurato nei porti principali i mezzi
per una reale e pronta disinfezione degli oggetti di uso sospetti
d'infezione, e nelle stazioni sanitarie principali i mezzi per
sottoporre persone e bestiame in osservazione, quando risultasse
giustificato motivo di pericolo di importazione per essi di malattie
infettive, sia epidemiche che epizootiche.
Si stabilirono così tre Stazioni Sanitarie Principali in tre punti delle
coste marittime del Regno, le quali, oltre a rispondere alle esigenze di
un conveniente isolamento, fossero pure in tale posizione da servire
facilmente all'approdo delle navi provenienti per le varie vie marittime
dall'estero, senza obbligarle a lunghi viaggi per raggiungerli. Due di
queste stazioni erano, come sopra ho detto, gia all'uopo designate,
quelle dell'Asinara (Sardegna) e di Poveglia (Venezia); per la terza fu
scelto, in seguito a ispezione sul luogo, un isolotto del golfo di
Augusta (Sicilia). Altre stazioni secondarie pure di osservazione e di
disinfezione, ma di minore importanza, si ordinarono per opportunità di
luogo e di movimento commerciale a Genova, a Napoli (Nisida) e a
Brindisi.
La destinazione dell'isola dell'Asinara a sede di lazzaretto fu decisa in
quanto le vicende dell'epidemia colerica del 1884 consigliarono al
Ministro dell'Interno di sopprimere due antichi lazzaretti, quello del
Varignano e di Nisida, per essere il primo prossimo a Spezia ed il
secondo a Napoli. Un'apposita Commissione Tecnica-Sanitaria fu quindi
incaricata, d'iniziativa del Ministero dell'interno di preparare un
progetto di impianto di un lazzaretto all'Asinara, e questo progetto,
approvato quasi unanimamente dalle due Camere, fu poi convertito in
legge il 28 giugno 1885. Si componeva allora anzitutto di un gruppo di
piccoli chalet in legno alla cala reale, che servivano per l'ufficio e
per l'alloggio del direttore e del personale della direzione, per
l'ufficio postale e telegrafico. Altri gruppi di edifici in legno si
trovavano pure a distanza gli uni dagli altri di alcune centinaia di
metri lungo la costa dell'isola, da servire per vari Periodi di
contumacia dei passeggeri,secondo le prescrizioni allora in Vigore.
Si aveva inoltre un ospedale per le malattie infettive, composto di un
piccolo edificio in muratura ad un piano, ad uso di cucina, di una
baracca in legno per magazzino, farmacia ed alloggio del personale,
nonché di sei piccoli chalets in legno col tetto e colle pareti esterne
rivestite di lamiera ondulata di ferro zincato; questo ospedale, che non
fu veramente, mai adoperato, presentava così gravi inconvenienti da non
potersene giovare.
Per il servizio di disinfezione e lavanderia vi si applicò un apparecchio
di disinfezione a vapore della Ditta Schimmel di Berlino, e una
lavanderia pure a vapore di tipo americano, con caldaia e motore adatti
all'uopo; si compi la costruzione di apposito edificio per la lavatura a
pioggia delle persone e per la disinfezione dei loro indumenti per i
casi in cui si ritenesse opportuno fare sbarcare nella stazione
sanitaria i passeggeri sospetti di malattie infettive allo scopo di
sottoporli a qualche giorno di osservazione; e si provvide tale locale
del materiale necessario. Si iniziò la costruzione di un ospedale per le
malattie infettive, convenientemente adatto per l'evenienza di approdo
di navi con colpiti da tali malattie, pure in muratura. Oltre a queste
opere di maggiore importanza, compite o in costruzione, si adattò pur
provvisoriamente un locale ad uso dell'ufficio delle poste e del
telegrafo, ed un piccolo fabbricato ad uso di magazzino e di cucina per
il personale di bassa forza.
La stazione di Poveglia fu arredata e provveduta di apparecchi a
disinfezione, di lavanderia e di bagni a doccia; nell'anno 1888 si
provvide intanto di letti in ferro per i bisogni più urgenti e, per
ragione di facilità di approdo, si impiantò un apparecchio Geneste et
Herscher. Per la stazione di Augusta riconosciuta adatta la località del
Forte Vittoria, si fecero pratiche per per ottenerne dal Ministero della
Marina la cessione e completare il progetto di adattamento e arredamento
di apposito edificio. La stazione di Nisida, che era annessa alla
colonia penale ivi stabilita, occupava due edifizi: uno gia esistente
prima e che fu riadattato e provveduto di un buon apparecchio di
disinfezione, del materiale occorrente per bagni a doccia e di dieci
letti per cura od osservazione di persone ammalate o sospette di
esserlo; l'altro, costruito appositamente per osservazione di animali,
con stalla per circa venti capi di questi. A Brindisi, nel forte a mare,
si adattò pure un locale per 10 letti per cura od osservazione di
ammalati o sospetti di esserlo, e si stabilì un apparecchio a
disinfezione Gèneste et Herscher, così come nel porto di Genova.
2. ASPETTI TEORICI E PRATICI SULLE DISINFEZIONI DELLE NAVI
Come pagina di Storia della Medicina si riporta da C.M. Belli Igiene
Navale, Società Editrice Libraria, Roma, 1905, la disinfezione come
avveniva sulle navi per il trasporto degli emigranti.
Nella lotta contro i germi, uno dei mezzi più efficaci, di cui dispone la
profilassi dei morbi infettivi a bordo, è la disinfezione, cioè la
distruzione dei germi nell'ambiente esterno; la disinfezione, però, per
quanto utile, non è tutta la profilassi, né dispensa dalle altre misure
preventive
La disinfezione si deve adattare da una parte alla natura dell'agente
infettivo, e dall'altra alle condizioni degli ambienti e degli oggetti.
Quindi si deve tener conto della resistenza vitale dell'agente, della
gravezza e rapidità di diffusione del morbo, delle condizioni della nave
di navigazione, o di sosta, della missione, che deve compiere, e queste
considerazioni debbono guidare alla scelta del mezzo più opportuno, e ad
applicare la disinfezione all'intera nave, o a limitarla ad una sola
parte di essa, agli oggetti mobili e alle robe d'uso personale.
I mezzi per la disinfezione a bordo debbono essere in primo luogo atti a
distruggere sicuramente l'agente patogeno che si combatte, e nello
stesso tempo gli animali che servono come veicolo per l'infezione (topi,
ecc.), essere di azione molto rapida, innocui per l'equipaggio in genere
e per gli uomini incaricati della disinfezione, nonché per gli oggetti,
gli approvvigionamenti e le mercanzie, essere di facile applicazione e a
buon mercato. Nel caso della febbre gialla e altri morbi, che lasciano
l'immunità consecutiva, deve essere affidata a individui guariti
dall'infezione, o che posseggono l'immunità naturale per razza, o per
acclimatamento.
La disinfezione è relativamente facile sulle navi mercantili, perchè i
compartimenti sotto coperta (locali per lavoro e stive) sono assai ampi.
La disinfezione può riguardare tutta la nave, una sezione di essa, o un
locale, o compartimento, e gli oggetti e le robe d'uso personale, o
comune.
l°. Disinfezione totale - Si pratica quando la nave è stata sede di
una grave epidemia e ordinariamente dopo aver evacuata la nave,
sbarcandone l'equipaggio in un lazzaretto.
Un tempo si usò perfino il fuoco, rimedio troppo radicale e non più
consigliabile oggidì;in altri casi si usò la sommersione, ma questo
metodo corrisponde a quello usato dalle volpi per liberarsi dai
parassiti, ed è di un risultato malsicuro. Perciò oggidì si ricorre a
metodi più pratici ed efficaci.La disinfezione totale non si può
eseguire con un sol mezzo, ma bisogna adattare i mezzi ai singoli
locali: così per le stive si useranno i disinfettanti gassosi, per i
locali per abitazione i mezzi liquidi e così via.
2°. Disinfezione parziale. - Disinfesione delle stive. - Una
grande nave di 4000-6000 tonnellate accoglieva nelle stive da 15 a
20.000 colli e la disinfezione delle stive, da una parte, e quella
d'ogni singolo collo, dall'altra, avrebbe incontrato difficoltà
insormontabili. Perciò bisognava scegliere un mezzo che fosse economico,
rapido, efficace e non dannoso per le merci e questo mezzo non poteva
essere che un gas, che esercitava l'azione disinfettante senza rimuovere
le mercanzie, che, per la sua diffusibilità, era in grado di penetrare
in ogni parte della nave e del carico; e che richieda breve tempo,
condizione di primaria importanza per le navi mercantili, per le quali
il tempo era veramente denaro. Si usava per quest'uso l'anidride
solforosa. Questa fu proposta da Pettenkofer (1874), come mezzo di
disinfezione per le navi, e studiata sperimentalmente da Schotte e
Gartner ma l'uso non se ne diffuse sino all'introduzione
dell'apparecchio Clayton. Questo apparecchio fu inventato per
l'estinzione degli incendi, ma, sperimentato per la disinfezione delle
navi, trovò largo impiego nella pratica. Si componeva di un forno
semicilindrico in cui si bruciava lo zolfo; di una camera refrigerante a
circolazione d'acqua, sottostante al forno, in cui il gas solforoso
veniva raffreddato e di un ventilatore messo in azione da un piccolo
motore.
Il gas solforoso uscendo dal forno, ove si aveva una temperatura di 600°-
700°, e aspirato dal ventilatore, si cominciava a raffreddare nel
refrigerante e raggiungeva il locale da disinfettare. Esso vi arrivava
sotto una forte pressione, che si poteva regolare per mezzo della
valvola del ventilatore. Un altro tubo del ventilatore di uguali
dimensioni aspirava l'aria dal locale e la porta nel forno, dove serviva
per la combustione dello zolfo. Quando l'aria che usciva dal locale era
già carica di acido solforoso si chiudeva la valvola del ventilatore, e
l'aria per alimentare il forno si prendeva dall'esterno. Un chilogrammo
di solfo produceva 10 mc. di acido solforoso in 1'.
L'azione si poteva prolungare sino a 24 ore senza inconvenienti, indi si
aprivano i locali e si arieggiavano fortemente. Bruciando lo zolfo
all'aria libera, non si otteneva negli ambienti una proporzione di acido
solforoso superiore al 45%o, mentre col gas Clayton la proporzione era
in media dell'8%o e poteva arrivare sino al 14-15%o. Inoltre il gas
Clayton aveva un'azione più energica, perché non era semplice anidride
solforosa, ma un miscuglio di anidride solforosa e anidride solforica ad
alta concentrazione.
Il gas Clayton meritava la preferenza quando si trattava di disinfettare
la nave per la peste, dermotifo, e in genere morbi in cui si dovevano
distruggere non soltanto i germi infettivi, ma anche gli insetti e i
ratti, che erano i veicoli dell'infezione. Esso era molto diffusibile,
penetrava con grande rapidità nello spessore delle balle di mercanzie,
non deteriorava sensibilmente quasi alcun oggetto e non danneggiava le
merci anche più delicate, come pelli, cereali, carni. Alcuni autori
muovevano a questo gas il rimprovero, che impregnava fortemente di odore
le merci; ma questo odore scompariva quando si lasciavano per qualche
tempo esposte all'aria. Tuttavia era un errore credere che le
disinfezioni col gas Clayton si poteva ripetere impunemente senza
sciupare talune parti della nave, o talune merci e volendolo adoperare
nelle camere delle macchine, era bene di ingrassare tutti gli organi di
metallo.
Il gas Clayton si impiegava specialmente nella disinfezione delle stive e
il vantaggio di questo sistema, era che la disinfezione si poteva
praticare anche in pieno carico e in presenza dei passeggeri, vale a
dire durante la rotta della nave.
Volendosi adoperare pure per i locali per abitazione, conveniva sbarcare
prima al lazzaretto tutto il materiale mobile, cortine, materassi, ecc.,
che si disinfettavano meglio col vapore.
3°. Disinfezione di un compartimento. - Era indicata, quando i casi
di malattie infettive erano limitati a un solo alloggio o dormitorio e
l'affezione non aveva tendenza ad estendersi. Si potevano usare
disinfettanti gassosi, liquidi e meccanici. I disinfettanti gassosi
erano: lo stesso gas Clayton, l'aldeide formica e il vapore.
L'aldeide formica aveva destato in questi ultimi anni speranza di
risolvere le grandi difficoltà della disinfezione sulle navi per il
forte potere antisettico, la bassa tossicità e la relativa innocuità per
gli oggetti.
In seguito però si era dimostrato che la formaldeide aveva un debolissimo
potere di penetrazione e bastava un piccolo spessore di stoffa, o un
sottile strato di altra materia qualsiasi, perchè l'azione microbicida
falliva del tutto; questo mezzo, perciò, non poteva essere usato che in
quei casi in cui si richiedeva soltanto un disinfettante di superficie.
L'aldeide formica si polimerizzava facilmente, trasformandosi nei suoi
Polimeri, paraformaldeide e triossimetilene, ed era sotto la forma di
aldeide formica, che essa aveva potere antisettico, non potendosi i suoi
polimeri considerare come disinfettanti.
L'aldeide formica, inoltre, spandeva un odore acre e penetrante, che
persisteva per parecchi giorni, e non cedeva che parzialmente
all'evaporazione di ammoniaca, che la trasformava in un composto
inodore.
Infine l'efficacia della disinfezione dell'aldeide formica non era
costante; ma oltre che della durata e della quantità, che erano comuni a
tutti i disinfettanti, risentiva l'influenza di altri due fattori:
umidità e temperatura.
Furono così abbandonati gli apparecchi che servivano alla produzione
dell'aldeide formica per mezzo dell'alcool metilico e si usava l'aldeide
formica gassosa, sotto forma di gas secco, di vapori secchi, o di vapori
umidi.
Non tenendo conto delle stufe per disinfezione ad aldeide formica, vi
erano circa una trentina di apparecchi e processi differenti per la
disinfezione con la formaldeide, proposti con l'intendimento di
eliminare gli inconvenienti surriferiti.
Ma gli apparecchi più perfezionati non valevano il metodo semplicissimo, e
non meno efficace, consigliato da Flugge e che per questi suoi requisiti
era il più raccomandabile per gli usi di bordo.
La formalina, che era una soluzione d'aldeide formica al 40‰, si diluiva
con una certa quantità di acqua (quattro volte il suo peso di acqua) e
si faceva evaporare in un recipiente qualsiasi a fondo piatto, con larga
superficie di riscaldamento, e con un coperchio munito di un foro molto
stretto. In tal guisa si evitava la polimerizzazione, sia nella
soluzione madre, che, durante l'evaporazione, non si concentrava al di
la del 40%, sia nell 'aria ambiente, grazie al vapor d'acqua che vi si
espandeva nello stesso tempo che la formaldeide.
La dose minima di aldeide formica era di 2 1/2 gr. per metro cubo e la
durata del contatto doveva essere non minore di sette ore, sebbene con
dosi più elevate, con processi di penetrazione più attivi, e con una
certa elevazione di temperatura, poteva essere più corta.
Dopo la disinfezione con la formaldeide bisognava procedere ad una
ventilazione energica e ad una scrupolosa pulizia dei locali.
L'aldeide formica non uccideva i ratti, né gli insetti, perciò non poteva
essere utilmente impiegata nella profilassi di quei morbi, in cui questi
animali rappresentavano i vettori dell'infezione.
Per la disinfezione di piccoli compartimenti a chiusura stagna fu proposto
di adoperare il vapore fluente, stabilendo un tubo di vapore, che
scaricava nel locale ed assicurandosi con adatto termometro che la
temperatura raggiungesse i 1000 per 3/4 d'ora.
Questo mezzo però nella pratica era incomodo e malsicuro.
I disinfettanti liquidi più indicati per uso di bordo erano la soluzione
di sublimato corrosivo e il latte di calce. A causa della velenosità del
sublimato, ne veniva limitato molto l'uso; ma l'esperienza dimostrò che
questo timore era esagerato, e il sublimato presentava il grande
vantaggio della rapidità con cui si poteva eseguire la disinfezione,
tanto che il locale si poteva rioccupare nello stesso giorno. Il
sublimato era preferibile ad ogni altro mezzo nella disinfezione dei
pavimenti, e, sulle navi in ferro, per quella delle pareti. Il titolo
della soluzione che si consigliava era al 3‰ per le pareti e i mobili e
al 5-10‰ per i pavimenti; questo titolo, sebbene insufficiente per le
abitazioni cittadine si ammetteva come efficace sulle navi, per i
materiali di costruzione più facilmente disinfettabili e per la maggiore
pulizia delle navi militari e del più gran numero delle mercantili
rispetto alle abitazioni urbane. Ordinariamente si aggiungeva al
sublimato il 5%o di acido cloridrico per impedire la formazione
dell'albuminato dí mercurio sugli oggetti inquinati con sostanze
albuminoidi. L'applicazione del disinfettante si doveva far precedere da
una accurata pulizia con i mezzi ordinari e doveva adattarsi alle pareti
e ai materiali di rivestimento degli ambienti.
Questa pulizia preliminare era in special modo necessaria sulle navi per
emigranti, su cui, per la trascuranza assoluta di questi, il sudiciume
si accumulava dovunque, sulla coperta, nei dormitori, ecc., e perciò le
soluzioni disinfettanti versate, o spruzzate con la pompa non potevano
penetrare attraverso lo strato spesso di detriti d'ogni sorta accumulati
sui ponti e tanto meno riuscivano a distruggere i germi contenutivi.
Sulla coperta il pavimento in legno dopo il lavaggio con usciva, si lavava
con la soluzione di sublimato, per una buona ora aiutandone l'azione con
forti spazzole.
I pavimenti rivestiti con linoleum si lavavano, prima, con soluzione calda
di sapone nero (300 gr. in 10 litri d'acqua), o con soluzione calda ad
alto titolo, di idrato di sodio e indi si applicava il liquido
disinfettante.
Sulle altre pareti, dopo la stessa pulizia, la soluzione si poteva
distendere con un pennello, ovvero polverizzare sulla superficie.
In generale nella pratica si preferiva la polverizzazione proiettando la
soluzione disinfettante in una nube di finissime goccioline per mezzo di
apparecchi speciali. Di questi si trovava in commercio un gran numero ed
erano più o meno costosi e più o meno facili a guastarsi; per l'uso di
bordo, si doveva richiedere che tali pompe fossero di facile maneggio,
poco ingombranti e facili a trasportare, costruite con materiali
resistenti all'azione delle soluzioni disinfettanti e che producevano
una divisione minuta del getto e una distensione uniforme sulle pareti.
Però, anche con i migliori apparecchi, restavano molte volte delle aree,
sebbene piccole, pur sempre tali da dar comodo riparo al materiale
infettivo; alla qual cosa, e non certo alla mancata efficacia della
soluzione disinfettante, si dovevano attribuire gli insuccessi.
Il lavaggio invece, eseguito accuratamente, non lasciava queste lacune e
asportava meccanicamente e distruggeva la maggior parte dei germi che
arrivavano sul pavimento con il liquido disinfettante e vi restavano in
contatto per un tempo sufficiente.
Quale sistema era da preferirsi per la disinfezione parziale a bordo: la
formaldeide o il sublimato? La formaldeide poteva impiegarsi utilmente
nei locali vasti, in cui la diffusione dei vapori era sollecita, e
quando era sufficiente un disinfettante di superficie: per esempio nei
locali per lavoro, o per depositi, nei quali l'inquinamento era
superficiale ed, espletata la disinfezione si potevano mettere in
funzione i potenti ventilatori meccanici per allontanare rapidamente
l'odore del disinfettante. Invece, nei dormitori ed alloggi, bisognava
preferire il sublimato, perché questo esplicava la sua azione su tutti i
punti infetti, mentre quella della formaldeide si arrestava alla
superficie. Inoltre la disinfezione con la formaldeide non giovava per i
pavimenti e bisognava sempre praticarla col sublimato, ciò che
complicava il servizio e concorreva a far bandire la formaldeide dagli
ambienti abitati. Infine l'applicazione del sublimato era meno costosa,
non lasciava odori e gli ambienti disinfettati potevano essere
rioccupati subito dopo.
Il latte di calce non si poteva usare nelle superfici metalliche né
verniciate, ma riceveva utile applicazione sulle navi in legno e sui
rivestimenti in legno delle navi in ferro. Possedeva un certo potere
antisettico e i bacilli del carbonchio senza spore, quelli del tifo e
del colera erano distrutti con l'imbianchimento con la calce, invece le
spore del carbonchio e i bacilli della tubercolosi degli espettorati
disseccati resistevano alla sua azione.
La soluzione si preparava nel seguente modo:
Calce spenta di recente .............parti due
Acqua ...........................................parti otto
Risultava un latte di calce che conteneva il 20% in volume e l'11% in peso
di idrossido di calcio.
La calce si doveva conservare in barili ben chiusi, rivestiti di carta e
tenuti in luogo asciutto, perchè fosse al riparo dall'acido carbonico
dell'aria.
Il nuovo strato di calce si doveva applicare senza raschiare quelli
precedenti, che avrebbe disseminato con la polvere i germi superficiali,
che si volevano distruggere.
Un disinfettante liquido usato frequentemente era il cloruro di calcio;
questo possedeva un'azione poco sicura, riusciva incomodo e poteva dar
luogo a fenomeni di avvelenamento per il cloro libero che si metteva in
libertà.
I mezzi meccanici usati a bordo si limitavano alla mollica di pane.
La disinfezione meccanica col midollo del pane, non presentava alcuna
utilità rispetto al comune lavaggio, fuorché una pulizia più completa
delle pareti, ma d'altra parte era inferiore al lavaggio per l'efficacia
e per il tempo che richiedeva. Infatti il risultato non era costante e
dipendeva molto dalla maggiore o minore secchezza del pane e dalla
esecuzione pratica e il midollo del pane non bastava per staccare i
batteri incorporati nel muco disseccato sulla parete. D'altra parte, a
meno che non si trattasse di un compartimento molto ristretto, questo
processo era lungo e, già per questa ragione, era inapplicabile sulle
navi mercantili per le quali occorrevano mezzi rapidi di disinfezione.
Con qualunque metodo, durante la disinfezione parziale, gli abitanti
dovevano abbandonare il locale e in questo frattempo gli oggetti mobili,
come materassi, ecc., dovevano esser portati alla stufa per la
disinfezione col vapore.
4°. Disinfezione delle latrine. - Le latrine dovevano essere, di
tratto in tratto, disinfettate nei tempi ordinari; molto più spesso le
latrine comuni, quando vi erano a bordo malati di morbi contagiosi, e
più volte al giorno le latrine riservate ai malati medesimi.
Per le pareti e pavimento si procedeva come già si è detto.
I vasi da latrina e le docce degli urinatoi si dovevano spazzare con forti
spazzole, lavare con molta acqua, prima, e, indi, con la soluzione
disinfettante, che si doveva lasciare per il tempo sufficiente. Il
disinfettante più indicato per questo scopo, era quello che riuniva
speciali qualità antisettiche e deodoranti e insieme costi contenuti. I
migliori sarebbero l'acido fenico e il lisolo; si usava pure il cloruro
di calcio (una parte per cinque di acqua) e il latte di calce preparato
di recente. Sulle navi tedesche si impiegava il catrame, che si
distendeva almeno una volta per settimana; il catrame impiegava circa
due ore per seccare e durante questo tempo bisognava tenere le latrine
chiuse.
5°. Disinfezione dei serbatoi dell'acqua potabile. - La pulizia dei
serbatoi dell'acqua potabile non era sufficiente, quando, in un modo
qualsiasi, l'acqua avesse subito un inquinamento; si rendeva necessaria
allora la disinfezione di essi, che è pure necessaria, di tempo in
tempo, per risanare le casse, in cui, nonostante le precauzioni, si
sviluppava un numero enorme di germi saprogeni.
Ordinariamente, però, la disinfezione si praticava soltanto quando si
rinnova lo strato di cemento.
Era consigliato per questa disinfezione l'arroventamento (ftam-bage), che
si praticava raschiando le pareti per liberarle dal cemento, lavandole
con una soluzione di permanganato potassico, e, dopo asciugate,
arroventandole con una lampada da stagnaio, o con un tampone di cotone
fissato fortemente all'estremità di un bastone metallico, imbevuto
d'alcool e acceso. L'arroventamento si poteva spingere sino al rosso e
si faceva seguire dalla cementatura, che si praticava prima sulla parete
superiore, indi successivamente sulle laterali, e infine sull'inferiore,
in modo che la sterilizzazione già compiuta non potesse esser
compromessa dai contatti dell'operaio. Inoltre questi prima di penetrare
nel serbatoio eseguiva una pulizia di tutto il corpo e indossava un
abito da lavoro e un berretto speciale di bucato. Sempre però in tal
guisa penetrava nelle casse un numero grande di germi che, quantunque
non patogeni, alteravano la potabilità dell'acqua. Inoltre l'arroventa-
mento apportava dei pericoli non trascurabili per l'uomo che lo
eseguiva: scottature, intossicazione per acido carbonico, temperature
elevate. Esso era dunque da considerare come un mezzo di riserva e,
quando era possibile, bisognava far ricorso per la disinfezione al
vapore fluente.
Per utilizzare questo occorreva costruire le casse con pareti
sufficientemente resistenti, metterle in rapporto con una caldaia a
vapore il cui tubo di vapore sboccasse al fondo della cassa stessa,
aprire alla parte superiore un piccolo orificio per la fuoriuscita del
vapore, orificio a cui si applicava un tappo di cotone, o utilizzare lo
sfogatoio esistente e infine intromettere nel circuito una valvola di
vapore per ridurre la pressione a meno di un'atmosfera.
Tale disinfezione si doveva praticare regolarmente dopo la pulizia
ordinaria e non richiedeva l'allontanamento del cemento.
Il vapore si poteva utilizzare anche in altra guisa senza speciali
adattamenti, quando il serbatoio era pieno d'acqua. Cioè si immergeva
nell'acqua
una manichetta in rapporto con la caldaia e si inviava vapore fintanto che
l'acqua acquistasse e mantenesse per una diecina di minuti la
temperatura sufficiente ad uccidere il germe, contro cui era diretta la
disinfezione.
Il vapore era stato parimente proposto per l'a disinfezione della
conduttura e giovava non solo alla distruzione dei germi, ma anche per
asportare dall'interno dei tubi le sostanze organiche ed inorganiche che
vi si fossero depositate. Per questa applicazione era necessario che la
tubatura dell'acqua potesse resistere, come quella del vapore, ad una
pressione di sette atmosfere e si potesse connettere facilmente
all'origine di ogni cassa con la canalizzazione dello stesso vapore.
6°. Disinfestazione dell'oggetti d'uso personale e comune - In
generale gli oggetti di poco valore si distruggevano col fuoco nei forni
delle caldaie, o se al largo si buttavano in mare. I vestiti, materassi
e simili si disinfettavano nella stufa a vapore fluente, o sotto
pressione. Però le biancherie lordate con feci e pus, e in generale con
sostanze contenenti albumine, non si potevano disinfettare con questo
mezzo, che produceva macchie indelebili e perciò s'imbevevano per 48 ore
in una soluzione alcalina di lisolo al 4% e indi si lavavano con la
lisciva calda. Gli oggetti di cuoio, che venivano pure danneggiati dal
vapore, si disinfettavano con la soluzione di sublimato.
Nei piroscafi con emigranti era un'impresa ardua e lunga per il medico far
raccogliere la biancheria da disinfettare; era opportuno perciò di
obbligare le compagnie a distribuire un sacco speciale numerato ad ogni
passeggero, perchè vi riponeva la biancheria sporca.
Gli utensili da barbiere si potevano disinfettare in vari modi: la
disinfezione dei ferri, facendoli bollire per 5' in una soluzione di
carbonato di sodio al 50%o e quella dei pettini e delle spazzole,
immergendoli, volta per volta, in una soluzione di lisolo al 5%.
Le redazze, che potevano disseminare i bacilli degli sputi e altri germi
dei pavimenti e del pulviscolo atmosferico si dovevano disinfettare
frequentemente nelle circostanze ordinarie, e dopo ogni lavaggio in
occasioni di epidemie. Si pulivano prima le redazze con acqua di mare,
indi risciacquarle in acqua dolce e immergerle dentro tinozze in una
soluzione di cloruro di calce all'1% per tutta la notte.
Strumenti di musica. - Quando uno strumento di musica era servito
per qualche tempo, si raccoglieva nelle parti declivi un ammasso di
mucosità, che era necessario allontanare, distruggendo nello stesso
tempo i germi che vi potevano trovare sede. Se il possessore dello
strumento non era ammalato, bastava l'ordinaria pulizia; ma, quando lo
strumento cambiava di possessore, o quando il possessore medesimo era
affetto da morbo infettivo, si rendeva necessaria la disinfezione.
Per gli strumenti di rame, si immergevano per 10 a 15 minuti nell'acqua
bollente, dopo averli smontati e separate le singole parti.
Per gli strumenti in legno, invece, si usava una soluzione di sublimato al
1‰ con uno scovolino. La soluzione non alterava sensibilmente le vernici
con cui era rivestito il legno.
Controllo della disinfezione. - La disinfezione doveva essere praticata in
modo da offrire garanzie sufficienti che i germi dei morbi infettivi
fossero stati distrutti.
In generale per i mezzi liquidi, se applicati con cura, si possedeva una
certa sicurezza, per cui si raggiungeva l'effetto desiderato; invece i
mezzi gassosi avevano una certa variabilità di azione, che rendeva
necessario il controllo dopo ogni operazione.
I migliori mezzi di controllo erano senza dubbio i saggi biologici per
mezzo di culture di batteri, e a tal uopo si collocavano in vari punti
della nave dei sacchetti con strisce di flanella inquinate con i germi,
di cui si voleva constatare la distruzione e, dopo l'azione del
disinfettante, si sperimentava la vitalità ed eventualmente la virulenza
di tali germi. Questi metodi non si potevano applicare senza il concorso
di un gabinetto batteriologico, e potevano dunque servire nei soli casi
in cui la nave si disinfettava in una stazione quarantenaria.
Bisognava dunque scegliere per le navi mezzi di controllo più semplici e
di facile e rapida applicazione.
Per le stufe a vapor d'acqua, l'efficacia della disinfezione si poteva
verificare, oltre che direttamente, con l'esame microbico, anche
indirettamente, con la ricerca della massima temperatura raggiunta, o
della pressione. Servivano perciò i termometri e i manometri annessi
alle stufe e, oltre questi strumenti, si potevano utilizzare i
termometri registratori, come quello di Martin e Walckenaer e le varie
leghe fusibili rispettivamente a 100°, e a 120°.
Per controllare l'azione disinfettante dei mezzi gassosi bisognava sempre
determinare:
1°. La concentrazione media del gas nel locale da disinfettare; 2°. la
penetrazione del gas, attraverso gli oggetti permeabili, che potevano
ricettare germi patogeni, o parassiti animali; 3°. la distruzione dei
germi patogeni.
Per la formaldeide, dopo numerosi tentativi, Calmette e Rolants
consigliavano il seguente metodo.
"Si mescola una certa quantità di soluzione idroalcoolica di fucsina
rubina con del siero liquido di cavallo e si essicca nella stufa alla
temperatura di 40°: questo siero secco si ridiscioglie nell'acqua, alla
quale cede immediatamente la sostanza colorante; se pero è sottoposto
all'azione della formaldeide ritiene il colore e diventa insolubile
nell'acqua. Per applicare questo principio si preparano dei tubetti con
delle pagliette di siero, insieme a sabbia od ovatta, e si situano nel
locale da disinfettare a varie altezze: dopo l'operazione i tubi
s'immergono in acqua, e dalla colorazione, o meno, di questa si avrà un
criterio esatto sulla penetrazione del gas.
Per l'anidride solforosa può servire la colorazione in rosso di una
sostanza colorata in azzurro con la tintura di tornasole."
Calmette e Rolants costruirono dei tubi, lunghi circa un metro, ripieni di
sabbia fina, colorata con la tintura di tornasole, nei quali, dallo
spessore della sabbia attraversata dal gas e colorata in rosso, si
poteva dedurre la proporzione approssimativa del gas, mescolato all'aria
dell'ambiente.
Per sperimentare poi l'azione sui topi, si doveva collocare nei punti più
difficilmente accessibili, gabbie metalliche con topi vivi, che dovevano
trovarsi morti al termine della disinfezione.
3. STATO SANITARIO DEGLI EMIGRATI E CONDIZIONE IGIENICA A BORDO DELLE NAVI
Non è certamente privo di interesse raccogliere dati sulle condizioni
sanitarie a bordo dei piroscafi mercantili, addetti al trasporto degli
emigranti, dal momento che rappresentavano tanti piccoli centri abitati,
nei quali potevano insorgere malattie di vario genere.
Il trasporto degli emigranti si faceva per la massima parte da piroscafi
italiani e da alcuni pochi stranieri, i quali venivano nei nostri porti
a questo scopo e la loro meta era l'America, tanto del Sud, quanto del
Nord. I passeggeri passavano nel periodo di pochi giorni attraverso
climi diversi, la cui azione non era certamente indifferente per la loro
salute; a questo primo shock se ne aggiungevano altri. La popolazione
dei piroscafi variava a seconda delle linee da essi percorse; cosi
quelli diretti agli Stati Uniti trasportavano di regola un piccolo
numero di emigranti ed anche le partenze erano meno frequenti; ben
diversamente accadeva per quelli che si recano nell'America Meridionale,
essendo questo il vero campo, in cui si svolgeva l'emigrazione italiana.
Le partenze si succedevano ad intervalli di pochi giorni ed il numero
dei passeggeri era talora assai rilevante; di regola questo numero
oscillava fra gli 800 e 1200 ma non di rado risaliva a 1500 ed anche a
1700. Oltre la metà di questa popolazione era data da uomini adulti; la
rimanente parte comprendeva le donne e i bambini; la grande maggioranza
apparteneva alla classe dei contadini, i quali a centinaia erano pigiati
nelle terze classi.
Talora costituivano da soli la intera popolazione del bastimento, ma di
regola vi si aggiungeva la classe agiata, rappresentata dai cosi detti
passeggeri di classe, il cui numero era sempre di gran lunga minore.
All'atto della partenza lo stato della salute era generalmente buono e
veniva verificato dal medico di bordo, ma nei viaggi di ritorno si
verificava il caso di imbarco di individui malaticci; erano quasi sempre
emigranti ridotti in cattive condizioni di salute, i quali tentavano di
rimpatriare e di questi molti soccombevano durante il viaggio.
Ma indipendentemente da questi casi e dalle buone condizioni di salute
alla partenza dei piroscafi, in questa folla di passeggeri di ogni
sesso, età e condizione insorgevano durante il viaggio frequenti e
svariate malattie, tra le quali anche molte infettive.
I dati riportati nei quadri statistici vennero desunti nella revisione dei
giornali sanitari di bordo sopra un numero di 51,000 e più emigranti
(anno 1886).
Dalla statistica risultava una morbosità del 11,37‰, con una mortalità del
2,60‰; tale cifra pareva, alquanto esagerata in rapporto alle buone
condizioni sanitarie degli emigranti all'epoca della loro partenza. Ma
dobbiamo considerare che sopra un totale di 580 casi di malattia, 125
erano rappresentati da bambini sotto i cinque anni e che sopra un totale
di 143 morti, 90 erano dati da questi ultimi. Da questo si evidenziava,
che i bambini sotto i cinque anni, fra i quali molti lattanti, fornivano
circa la terza parte dei malati e più della metà dei casi di morte.
Col crescere degli anni diminuivano la morbosità e la mortalità come lo
dimostrava il prospetto statistico, si poteva riconoscere una notevole
differenza fra i due sessi perché se la cifra, che rappresentava la
morbosità fra gli uomini era quasi doppia di quella delle donne
bisognava d'altra parte considerare il numero di queste ultime, che era
di gran lunga inferiore.
La grande mortalità dei bambini sotto i cinque anni e lattanti era data in
prima linea dalle malattie infettive, quali il morbillo, la scarlattina
e la difterite, ma vi contribuivano anche le malattie intestinali,
specialmente il catarro intestinale acuto e cronico ed infine alcune
malattie dell'apparato respiratorio, quali la bronchite capillare e la
polmonite.
La maggior parte dei casi di morbillo, registrati nella statistica, ebbero
un decorso benigno, ma ne risultava tuttavia un numero considerevole di
decessi i quali tutti avvennero in seguito a gravi complicanze enteriche
e bronchiali, però con grande prevalenza delle prime.
Altra causa di mortalità per i piccoli bambini era il catarro intestinale
acuto, che si sviluppava bene spesso ora come malattia primaria, ora
come complicazione di altri processi morbosi, facendo un grande numero
di vittime; trattandosi per la massima parte di bambini lattanti non era
certo irrazionale ricercarne le cause nell'allattamento. Le madri,
sofferenti per gli strapazzi del viaggio, per il mal di mare, talora
anche per cause psichiche e specie per la denutrizione, non potevano
somministrare un latte buono ai loro bambini; in molte anzi si
sospendeva quasi completamente la secrezione lattea, motivo per cui si
doveva ricorrere all'allattamento artificiale. In secondo luogo
bisognava ancora tener conto dei rapidi cambiamenti di clima, la cui
influenza nociva veniva favorita da una causa predisponente quale
l'allattamento fatto in cattive condizioni igieniche, negli adulti
l'enterite acuta diventava molto più rara e per questa bisognava
ricercarne le cause in disordini dietetici o nelle influenze meteoriche,
oppure in entrambi i momenti eziologici associati. Ne si poteva
incriminare la qualità del vitto, perché in tale caso sarebbe dovuto
essere più frequente.
Anche per la scarlattina e la difterite la mortalità fu maggiore nei
piccoli bambini e, come risulta dalla statistica, i pochi casi di
difterite ebbero quasi tutti un esito letale; questo fatto del resto non
doveva meravigliare, quando si considerava l'indole micidiale di questa
malattia.
Le malattie infettive, quali il morbillo, la scarlattina, la difterite ed
il vaiolo sui piroscafi si presentavano di rado come casi sporadici, ma
per lo più sotto forma di piccole epidemie. Cosi alcuni piroscafi ebbero
durante il viaggio sino a 30 o 40 casi di morbillo, in alcuni si
sviluppò la scarlattina e la difterite ed in altri il vaiolo. Per
quest'ultima malattia la mortalità fu leggera rispettivamente al numero
dei casi, ma è lecito considerare che la massima parte di essi decorsero
sotto forma di semplice vaioloide; rari furono i casi di ileotifo, di
eresipela e di febbre puerperale.
Nella statistica figuravano inoltre un caso di febbre gialla, importato
dal Brasile ed alcuni casi di febbri intermittenti, che si verificarono
in individui provenienti da regioni malariche.
Allo scopo di prevenire lo sviluppo e la diffusione delle malattie
infettive, normalmente si praticava la disinfezioni; come disinfettanti
si adoperavano di regola l'acido fenico, il sublimato corrosivo e lo
zolfo. Con quest'ultimo si praticavano disinfezioni quotidiane; nei
corridoi e nelle stive facendo prima salire i passeggeri in coperta;
coll'acido fenico e col sublimato corrosivo, si preparavano soluzioni
rispettivamente al 5‰ e al 2‰ per lavare i pavimenti e le pareti delle
infermerie od altri ambienti, nei quali avessero dimorato ammalati.
Oltre a ciò si soleva gettare in mare e disperdere altri oggetti
letterecci, le biancherie, gli abiti ecc., ogni qualvolta si verificano
decessi per malattia infettiva o contagiosa
Sarebbe stato desiderabile che almeno non fossero trascurate queste
elementari pratiche profilattiche la cui esecuzione dipendeva unicamente
dalla buona volontà e dalla coscienza dei medici di bordo.
Nel gruppo delle malattie dell'apparato respiratorio si riscontravano con
maggior frequenza le bronchiti e le polmoniti. Tali malattie insorgevano
per lo più durante la fredda stagione e con la maggior frequenza nei
viaggi nell'America settentrionale. La bronchite capillare, sebbene
rara, dava tuttavia un notevole contributo di mortalità per i piccoli
bambini: infatti nella citata statistica sopra otto casi figuravano
sette decessi. Anche la tubercolosi polmonare era caratterizzata da una
mortalità assai rilevante; ne ciò doveva arrecare meraviglia quando si
consideri che nei viaggi di ritorno sovente prendevano imbarco individui
tubercolotici in stadio avanzato, nella speranza di migliorare le
condizioni della loro salute col ritorno in patria, e che quasi tutti
soccombevano durante il viaggio. Lo stesso accadeva per gli individui
affetti da malattie organiche di cuore.
Fra le malattie dell'apparato digerente avevamo accennato all'alta cifra
di mortalità nei piccoli bambini, cagionata dalla enterite acuta e
cronica; furono però riscontrati quattro casi di elmintiasi con due
morti.
A tale riguardo non sarebbe forse ragionevole supporre, che questi decessi
erano piuttosto da attribuirli a qualche altra malattia di indole ben
più grave ed eventualmente accompagnata nel suo decorso dalla presenza
di elminti? Checché ne sia, riportiamo quanto fu rilevato dai giornali
sanitari, senza discussioni sopra le diagnosi, che d'altra parte non
sarebbe possibile rettificare perché non sempre erano corredate da
annotazioni cliniche fedeli e dettagliate.
Tra le varie forme di malattie del sistema nervoso particolarmente degne
di nota erano la meningite acuta, la congestione cerebrale e le
frenopatie, che per lo più si sviluppavano sotto l'influenza di
temperature elevate, all'epoca del passaggio nelle regioni
intertropicali. I casi letali di éclampsia verificatisi nei piccoli
bambini erano piuttosto da riferirsi a dentizione laboriosa.
Per ciò che riguardava le lesioni traumatiche, prevalevano anzitutto le
ferite làcero-contuse dovute a cause fortuite; con la massima frequenza
si verificavano fra gli uomini dell'equipaggio, siccome quelli erano
maggiormente esposti ai lavori faticosi. Le fratture, le lussazioni, le
distorsioni e le contusioni erano sempre prodotte da cadute accidentali,
favorita a loro volta dai movimenti del piroscafo. Nella statistica si
nota un caso leale di lussazione dell'anca, complicata con estesa
lacerazione delle parti molli; vittima di tale infortunio fu un piccolo
bambino, che essendosi di troppo avvicinato alla catena del timone, ne
rimase impigliato e gravemente ferito. Questi fatti deplorevoli accadono
per fortuna di rado e sono unicamente da attribuirsi alla poca
diligenza, con la quale i genitori sorvegliano i propri bambini.
I pochi casi di malattie veneree erano probabilmente dovuti ad infezione
precedente allo imbarco, sebbene non fosse affatto da escludersi la
possibilità di infezione contratta durante il viaggio.
Per ultimo figuravano nella statistica alcuni casi di malattie speciali
degli occhi, dell'orecchio e della pelle; inoltre i parti, gli aborti ed
alcuni pochi casi di malattie ginecologiche; queste pero costituivano
delle eventualità, piuttosto rare.
Le osservazioni che sono state esposte sommariamente riguardavano un
periodo di navigazione di parecchi mesi, nei quali però erano comprese
tutte le stagioni. Con ciò non si è avuta la pretesa di fare uno studio
critico sulla mortalità e la morbosità dei piroscafi mercantili addetti
al trasporto degli emigrati, ma si è voluto unicamente coordinare e
presentare alcuni dati che valgono a dare un concetto di quanto
succedeva sui piroscafi in ordine allo stato sanitario. Ne risulta
infatti che su di essi possono occorrere le malattie più varie, e come
d'altra parte alcune mostrino un certo predominio.
Due cause essenzialmente si mostravano con una più sentita influenza:
l'agglomerazione e il difetto nella nutrizione; per la prima si
manifestano, più che in qualunque altra condizione, frequenti le
epidemie affezioni schiettamento contagiose; per la seconda avevano
grande predominanza le affezioni intestinali, alle quali soccombono gli
organismi più delicati. Le malattie di indole miasmatica o
miasmatico-contagiosa, della diffusione delle quali si sa è fattore
essenziale il terreno, erano estremamente rare e certamente erano dovute
a infezioni subite prima dell'imbarco.
Note
1 Negli anni 1888-89, previo rigoroso esame dei documenti presentati,
ed, occorrendo, previe accurate informazioni sulla condotta e sulle
attitudini dei medici aspiranti al detto ufficio furono rilasciate 178
autorizzazioni, delle quali fu data analoga partecipazione agli
interessati ed al Ministero della Marina, tenendone pure nota in
apposito registro.
Volendosi assicurare una vigilanza più immediata sull'opera de' medici
autorizzati all'imbarco, fu stabilito che i giornali sanitari tenuti dai
medici di bordo dovessero essere inviati alla Direzione di sanità, la
quale li avrebbe fatto oggetto di attento esame.
Questo servizio, incominciato nella seconda metà dell'anno 1888, è
proceduto bene; oltre 200 furono i giornali sanitari riveduti e
restituiti al Ministero della Marina colle osservazioni di volta in
volta reputate opportune.
Alcuni medici furono richiamati ad usare maggiore diligenza,
minacciandoli, in caso contrario, di revocare l'autorizzazione loro
concessa di prestar servizio sulle navi.
2 Le stazioni sanitarie consegnate dal Ministero della Marina furono
due, quella dell'Asinara e quella di Poveglia (1905).
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Basilicata" SEGUE >>
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