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Le Chiese di Pomarico

Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo

Il 16 marzo 1754 una delle sue campanelle....".
L'arciprete D. Tommaso Pizzolla, zelantissimo nell'adempimento del proprio dovere, si cooperò in modo esemplare per il proseguimento della costruzione della chiesa per la relativa dotazione in arredi sacri.
Il 1 agosto 1783, col permesso dell'arcivescovo Zunico, sollecitato dal detto arciprete, dalla vecchia chiesa si portarono processionalmente alla nuova il SS. Gesù Sacramentato con tutte le statue dei santi; iniziandosi pure da quel giorno la celebrazione dei sacri ufficii, anche per eccitare e promuovere la devozione del popolo nelle volontarie elargizioni per far fronte alle ingenti spese, occorrenti per completare ed arredare la chiesa.
Il 23 luglio 1786 il detto arciprete comprò a proprie spese l'organo dai Padri Benedettini di Montescaglioso per mille ducati, da pagarsi in dieci anni a rate annuali di cento ducati.
Sin dal 1748, durante l'arcipretura di Giordano, furono eletti dall'arcivescovo del tempo due deputati, D. Vincenzo Selvaggi e D. Tommaso Abbate Porcellini, per curare i lavori della edificazione della chiesa.
Il Porcellini attese con tanto zelo al mandato affidatogli, specie quando fu eletto arciprete, che dal 1748 fino alla sua morte avvenuta il 24 settembre 1757, si erano spesi per la costruzione millecentodieci ducati e quarantasette grana. Tale somma unita all'altra, erogata da suo fratello, D. Vito Porcellini, formavano ducati millecinquecentotre e grana trentadue.
Il deputato D. Cesare Padula, successo al precedente, ne spese altri ducati settecentoquarantotto e grana sette, dall'anno 1762 al 9 aprile 1770.
Dal 10 aprile 1770 fino al 17 settembre 1773 furono spese dal deputato, Giovanni Gualtieri, altri ducati settecentosedici e grana quattordici, in tutto ducati duemilanovecentosessantasette e grana cinquantatre. Dall'anno 1773 il detto arciprete Pizzolla, che diuturnamente si prodigò tutt'uomo a sorvegliare i lavori ed a provvedere a tutto quello che occorresse alla bisogna, fino al 31 luglio 1783 spese ducati quattromilaseicentosessanta e grana novantotto.
Dal 26 luglio 1786, in poi, fece dorare la sedia e la statua di S. Michele Arcangelo, ordinò la manifattura dei confessionali, acquistò tutti gli arredi sacri occorrenti all'altare maggiore ed a quello di S. Michele.
Nell'agosto dello stesso anno fece trasportare l'organo, già acquistato dai Padri Benedettini di Montescaglioso, spendendo ducati duecentoquattro e cinquantadue grana.
Il 23 agosto del detto anno contratto con i mastri milanesi, Giuseppe Santillo, Berardino Tabacco e Sante Regolo per far decorare la chiesa con cornici ed ornati di stucco. Il lavoro fu cominciato dal coro per il compenso di ducatii centosessanta e grana cinquantasei; poscia fu proseguito con lo stuccare la cupola, per ducati settanta, indi la cappella della S. Concezione e la navata maggiore, per ducati quattrocentonovantatre e grana novantanove, spendendosi infine ducati quarantasei e grana ottantotto e mezza per la copertura necessaria a proteggere lo stucco.
Fin dal 29 settembre 1788 l'infaticabile ed ammirabile arciprete dispose per la costruzione del campanile, la quale, iniziatosi il 29 settembre 1788, in quattro riprese, si completò il 7 ottobre 1792, spendendosi cinquecentonovantatre ducati e grana sessantasette e mezza, completandosi così la facciata barocca della chiesa.
Mercé l'elargizione di quaranta ducati fatta da Giovanni Massarotti, con quella di pari somma fatta da Rocco Ramaglia e con venti ducati, offerti da Modesto Mazzaferri, rimettendoci l'arciprete per conto suo altri quaranta ducati, per saldarne il costo, acquistò, in Andria, la macchina in ferro battuto, con la nicchia per collocarvi la statua di S. Michele Arcangelo, mani fatturata dal maestro Francesco Paolo Giordano del peso di cantaio tre e mezzo. Fu essa situata il 12 aprile 1789, e con grande giubilo del popolo, fu illuminata, per la prima volta, dalle candele infissavi nella festività dell'otto maggio 1790 di S. Michele Arcangelo.
Il 17 agosto 1793 per ducati trentotto e grana quaranta lo stesso arciprete acquistò in Napoli la statua di Gesù Bambino con la corona di argento. Il 14 ottobre 1793 presso l'orafo Giuseppe de Martiis, cambiò il vecchio ostensorio con un nuovo e di maggior pregio per dare maggiore magnificenza e decoro alle funzioni religiose.
Per impedire che l'antica statua di S. Michele Arcangelo, sita nella nicchia della macchina sull'altare -maggiore, fosse rimossa nella ricorrenza delle due festività annuali, con pericolo di rottura o di altro, ne comprò una nuova, per ducati cinquantuno e grana venti, il 16 febbraio 1794, l'attuale, che si porta in processione.
Il 18 ottobre del detto anno comprò il baldacchino, laminato d'oro, con le relative aste, manifatturato a Bari, per il prezzo di ducati centonovantadue, a mezzo di monsignore arcivescovo unico, il quale donò all'uopo ducati trenta; i quali, insieme a ducati settantacinque dati dal Priore della Confraternita del SS. Rosario e ducati ottantasette offerti da lui formarono la somma occorrente al saldo del costo del baldacchino.
Il 5 gennaio 1795 acquisto, per ducati trentaquattro e grana quaranta, l'ombrello, laminato d'oro. Di essi ducati tredici furono donati da lui ed il resto da devoti cittadini.
Lo zelantissimo arciprete il 6 agosto 1795 contrattò col maestro, Francesco Paolo de Bellis, la costruzione delle scalinate, dell'abside del Cappellone di Gesù Cristo e di quello di S. Michele Arcangelo, con pietre trasportate da Santeramo, per ducati duecentoquattro e grana due.
Il 14 agosto 1795, per ducati trentasei e grana sessanta, acquistò due parati nuovi per l'altare maggiore e per quello di S. Michele Arcangelo.
Nell'aprile del 1796 comprò la balaustrata, in ferro battuto, attorno al presbiterio, deI peso di cantaia trenta, costruita dal maestro Giordano Giuseppe da Andria, spendendosi in tutto, compreso il trasporto, il lavoro degli scalpellini, ecc. ducati duecentosessantaquattro e grana ventidue.
Il 29 aprile 1797 egli spese ducati centocinquantuno, per cinque confessionali nuovi e l'abbellimento della nicchia di San Michele Arcangelo sull'altare maggiore, che il 27 novembre dello istesso anno fece dorare dal maestro Nicola Maria Bruni da Pisticci, per ducati venti.
Il 29 settembre 1798 fu collocata l'inferriata al Cappellone del SS. Sacramento, del costo di ducati centocinquantotto e nove grana: dei quali centodieci ducati sborsò un devoto ed il resto l'arciprete.
Questi il 26 ottobre dell'istesso anno comprò per ducati settantotto tre pianete ricamate in seta ed oro a beneficio del Capitolo; ed il 27 settembre 1799 spese trecentosessanta ducati per l'acquisto di una pianeta, due tonacelle, un piviale ed un omerale, riccamente ricamati in oro, portanti l'effige di S. Michele Arcangelo, ed altri ducati cinquantotto e grana cinquantasette, per un'altro piviale, due tonacelle e tre pianete.
Il 10 ottobre dell'istesso anno spese ducati quindici per far costruire in selenite, uso marmo, la custodia del SS. Sacramento dal maestro stuccatore, Pietro Ronaro.
Il 6 maggio 1800 cambiò i vecchi calici di argento con nove nuovi, del medesimo metallo, dall'orefice Emmanuele de Mutiis, di cui uno dorato, acquistando anche una pisside di argento, rifondendoci ducati duecentosei.
Il primo agosto del detto anno spese ducati otto e grana venticinque per far verniciare l'inferriata del SS. Sacramento, e ducati diciasette per l'acquisto dell'orologio.
Il 26 marzo 1801, per ducati centequattordici e grana sei, acquistò tre paramenti sacerdotali completi.
Il 18 agosto 1802 si completò la costruzione della sagrestia, iniziatasi nel 1798, dal maestro muratore Giambattista Selvaggi, con i relativi ornati di stucco, spendendosi in tutto ducati ottocentodiciannove e grana novanta, oltre le porte, finestre, ecc. per le quali furono erogati ducati ottantasette e grana diciasette. Nei primi del settembre 1803 i preti presero possesso della sagrestia.
Il 5 febbraio 1802 il sullodato arciprete, che era stato colto da emorragia cerebrale, si portò a Napoli, per tale motivo onde consultare un illustre clinico, ed ivi acquistò a proprie spese, una bellissima pianeta del costo di ducati sessantatre, ed una croce di ottone argentata per conto del Capitolo.
Nel giugno 1802 pensò di far costruire il coro nuovo dal maestro Cherubino Curcio da Lagonegro per ducati settecentocinquanta. (Atto per notar Donato Glionna).
Nell'agosto del 1803 fece circoscrivere con un muro l'atrio davanti la chiesa, per impedire l'accesso dell'acqua delle piogge, spendendo quaranta ducati ed in questo stesso anno fece fondere la campana, rottasi nel 1802.
Il 22 ottobre 1803 affranto dal lavoro, colto da crudele malattia e dolente di non poter vedere compiute tutte le opere da lui vagheggiate nella chiesa e già da lui iniziate con tanto ardore, rassegnato morì, compianto dal clero e da tutto il popolo, che, nella morte di lui, vedeva scomparso il suo Padre.

Testo tratto da "Cenni cronostorici di Pomarico" di Donato Pasquale
Pubblicazione autorizzata dall'autore




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Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo
Il Restauro: Note storiche ed interventi

Intorno al 1450, essendosi incrementata la popolazione di Pomarico, Francesco II del Balzo, signore del luogo e duca d'Andria, decise di fare costruire, a sue spese, vicino al castello, una nuova chiesa più ampia di quelle già esistenti.
L'edificio sacro venne dedicato a "S. Michele Arcangelo", cui i pomaricani erano devoti per le innumerevoli grazie ricevute, ed è, oggi, nota come "chiesa vecchia", tuttavia già dal 1560 l'area sulla quale venne edificata diede segno di instabilità.
Verso il 1730, dopo crolli e ristrutturazioni, si pensò pertanto, alla costruzione di un'altra chiesa Madre di dimensioni commisurati ai nuovi bisogni della popolazione.
Sulla scelta della nuova ubicazione non risultarono estranee considerazioni sulla stabilità del terreno e sullo sviluppo del centro abitato.
La nuova chiesa fu edificata, in un terreno olivetato, vicino all'antico "Casale dei Greci o degli Albanesi", costruito, verso il 1400, dai Castrogiguriesi, fuori dalle mura urbane.
La prima pietra fu posata il 20 ottobre 1748.
L'opera fu concepita con effetti architettonici di grandiosità monumentale, esaltati, anche, dalla stessa sorpresa che avrebbe colto chi, dopo aver percorso gli angusti quartieri del centro antico, si sarebbe venuto a trovare, improvvisamente, davanti a questa mirabile costruzione.
La soluzione si riallaccia a concetti che si armonizzano con i criteri compositivi maturati durante il XVII secolo che avevano, tra l'altro, appunto lo scopo di celare, al visitatore, la facciata fino al momento dell'ingresso nella piazza nel 700 definita largo, in modo da rendere l'apparizione improvvisa ed emozionante, come uno spettacolo a sorpresa.
Gli umili vicoli degli antichissimi quartieri popolari di S. Maria degli Angeli", di "S. Martino" e del "Casale dei Greci" confluivano appunto, d'improvviso, sulla piazza.
L'ingresso all'edificio avveniva, e tutt'ora, avviene attraverso un ampio e suggestivo sagrato coronato da un sedile che ne circoscrive il perimetro; l'idea lirica è di origine seicentesca: questo "anfiteatro", infatti, rappresenta lo spazio che, muovendo dal corpo della chiesa si estende ad abbracciare i fedeli. Ed è proprio questa concezione antropomorfica, quella che suggerisce la pianta movimentata del sagrato stesso, che viene così a creare dinanzi al tempio una spazialità consona con due ingressi laterali.
Solenne, maestosa nella sua grandiosità, armonica ed emblematicamente suggestiva è la facciata principale, la cui assorta contemplazione accomuna, nativo e forestiero, nello stesso intimo godimento artistico.
Con un semplice sguardo alla maestosa costruzione, si può rilevare che i suoi pregi non si esauriscono nella slanciata altezza, ma si arricchiscono con un indovinato senso delle proporzioni e con altri riusciti motivi architettonici.
A questo prospetto, dona maggiore slancio e leggerezza, l'ardito campanile (corpo centrale della facciata) innestato armonicamente nella prospettiva d'insieme della chiesa alto trentasei metri, fu iniziato il 1788 e completato, dopo quattro riprese, il 1792.
La scelta della sua collocazione eliminò, dalla vista, l'originaria facciata a frontone.
È importante ricordare che, per la realizzazione della torre, fu ostruito il grande rosone del corpo centrale della facciata tripartita, tutt'ora ancora visibile dall'interno della torre stessa, mentre i due piccoli rosoni laterali furono ripetuti nei due raccordi della nuova facciata.
La struttura del campanile, in laterizio e pietra calcarea, conferisce all'opera un senso di "essenziale" e di austero.
L'interno della chiesa, a pianta basilicale asimmetrica a tre navate divise da pilastri cruciformi e con lesene addossate, serba intatto il fascino di un organismo originale barocco.
La chiesa, possiede uno schema a croce latina con al centro della crociera, una cupola a base poligonale su pennacchi, contraffortata lateralmente da un ampio transetto.
La navata centrale, più alta delle laterali, sorregge grandi fasci di archi a botte schiacciati, che danno grande movimento alla volta; essa è chiusa da un ardito arco trionfale e da un grande abside semicircolare, che si ripete nelle cappelle laterali.
Osservando le decorazioni, i fregi e le cornici, esaltati plasticamente dalle luminose finestre, si ha la sensazione di estrema chiarezza geometrica delle linee architettoniche.
Il ritmo compositivo della veste decorativa, acquista grande accelerazione nei capitelli (con festoni) dalle lesene addossate ai pilastri.
Gli eventi sismici del novembre ottanta danneggiarono l'edificio sacro rendendo necessaria la sua chiusura al culto.
I complessi e delicati interventi di consolidamento e restauro hanno evidenziato un problema di fondo; quello di recuperare staticamente l'insieme senza apportare la benché minima turbativa strutturale ed architettonica. Sono state rigenerate le malte, ormai impoverite, ed il nucleo delle murature, migliorandone la capacità portante, ripristinando la continuità statica e, infine, stabilendo un efficace collegamento fra strutture verticali ed orizzontali alle quali si è provveduto a dare idoneo sostegno di base individuando le soluzioni adeguate al tipo di terreno ed alle conoscenze che oggi si hanno di esso.
Sono stati, in sostanza recuperati i margini di sicurezza necessari alla destinazione dell'edificio sacro, compatibilmente con la sua monumentalità.
Sulla base di questi presupposti gli interventi realizzati sono sostanzialmente, consentiti in:
- interventi in fondazione volti a creare una struttura di base inesistente;
- interventi sulle strutture portanti verticali tesi a realizzare, in ciascuna di esse, quelle resistenze richieste dalle verifiche statiche e dinamiche;
- interventi sulle volte finalizzati al ripristino della resistenza di sostanza e di forma.
Il risanamento e il consolidamento delle fondazioni è stato ottenuto mediante "pali radice", verticali e sub verticali, ubicati in corrispondenza dei pilastri e dei martelli murari, e mediante un reticolo di travi, tessuto nelle due direzioni, in modo da collegare a livello fondale, le colonne di navata con le strutture murarie perimetrali.
Il consolidamento delle murature in elevazione è avvenuto in più riprese e con un controllo accurato delle condizioni delle malte e provvedendo alle integrazioni delle stesse.
Per il risanamento e il consolidamento delle coperture a volta, è stata utilizzata la tecnica del guscio estradossato collaborante al fine di riportare le superfici delle pressioni entro quelle del terzo media globale.
Contestualmente al consolidamento statico, sono stati eseguiti i lavori di restauro che hanno interessato il parametro murario esterno e gli stucchi interni.
Particolarmente impegnativo si è rivelato l'intervento di restauro del paramento murario esterno in quanto presentava ampie zone intonacate alternate ad altrettante nelle quali la tessitura della pietra era molto evidente. Di particolare interesse è apparso il prospetto principale scandito, com'era, dalla presenza di elementi verticali in mattoni pieni accostati a superfici di pietrame tessite ad opera incerta.
A seguito di varie campionature si è optato per la soluzione realizzata che vede l'intero paramento murario esterno trattato a "faccia vista" con la stilatura sottoincasso dei giunti. Questa soluzione esalta l'operosità, l'ingegno e la sapienza del "buon costruire" dei nostri antenati e nel contempo rende gradevole i valori cromatici ed architettonici dell'intero monumento.
Notevole importanza hanno avuto anche i lavori di restauro degli stucchi che, per effetto della vetustà e delle sollecitazioni dinamiche indotte dal sisma, si erano degradati a tal punto da risultare notevolmente distaccati dal supporto murario quando non erano addirittura completamente crollati.
Il delicato lavoro di restauro e rifacimento ex novo, mediante l'utilizzo di particolari tecniche, ha interessato gli stucchi, le cornici, le paraste e le volte dell'intera superficie interna della chiesa, ed ha consentito di recuperare tutti gli elementi decorativi. Sono stati anche eseguiti i lavori per il recupero funzionale dei locali sottostanti l'abside, aventi accesso direttamente dall'esterno, adibiti in passato, con ogni probabilità all'antica sacrestia e collegata, attraverso una scala interna, direttamente con la Chiesa. È stata, infine, realizzata una serie di interventi, indispensabili per il funzionamento dell'Edificio Sacro; questi lavori quali il rifacimento dell'impianto elettrico, di illuminazione e di emergenza, la realizzazione dell'impianto di protezione contro le scariche atmosferiche, dell'impianto di riscaldamento e dell'impianto di allarme antintrusione.
Tutti gli interventi sono stati finanziati con i fondi assegnati al Ministero dei Lavori Pubblici e realizzati dall'Ufficio di Matera del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Basilicata.
Il progetto di consolidamento statico e di restauro è stato redatto dall'ingegnere Saverio Riccardi e dall'ingegnere capo Antonio Bruno Zagaria. I lavori sono stati eseguiti sotto la direzione dell'ing. Saverio Riccardi coadiuvato, nella contabilizazione dei lavori, dal geom. Mario Franco Montesano e dall'assistente tecnico Mario Arteria. Il delicato lavoro di coordinamento è stato effettuato dagli ingegneri capo Antonio Bruno Zagaria, dall'inizio al 199. . ., Sergio Fittipaldi sino al 1993, Mario Martorano sino all'ultimazione.



Testo di Pietro Varuolo
tratto da "LA CHIESA MADRE - POMARICO - Riapertura al Culto" di AA.VV.
Pubblicazione autorizzata dagli autori



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Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo


Tele importanti

La Vergine incoronata tra angeli, S. Francesco e l'Eterno Padre.
L'opera, inserita in una cornice settecentesca costituisce la nota più acuta e divergente nel panorama artistico della regione sul finire del '500, per il suo carico di novità in assoluto contrasto con le caratteristiche tipizzanti del linguaggio figurativo locale. In quest'opera si può riconoscere il tenero pittoricismo del Teodoro D'Errico (DIRCK ENDRICKSZ di Amsterdam) pittore fiammingo alla moda presso Filippo II (1554-1598). Nella parte superiore due angeli incarnano la Vergine, sulle cui ginocchia poggia il Bambino; in alto l'Eterno Padre benedicente regge la sfera simboleggiante l'universo; quindi una folla di figure tra le quali si scorge un carnefice che sembra trattenere un bambino ed una figura femminile che guarda lo spettatore.


La Maddalena
La Maddalena di Andrea Vaccaro è un'opera di notevole interesse per la storia artistica della Basilicata. Il dipinto, insieme alla "Testa di Apostolo" di Francesco Francanzano, era custodito nell'antica sagrestia abbattuta negli anni '50. La figura è rappresentata secondo il tipo penitente: ha infatti innanzi a se un teschio sul quale medita. Tale metodo di rappresentazione si sviluppò durante il periodo controriformistico. I caratteri stilistici dell'opera, in particolare le reminiscenze luministiche caravaggesche, rimandano alla scuola napoletana del XVII secolo.


L'Immacolata di Pietro Antonio Ferro
Una maestosa cornice, collocata nel braccio destro del transetto, racchiude una grande tela raffigurante "l'Immacolata", brulicante opera di Putti scatenati e romanzanti, del noto pittore Pietro Antonio Ferro (doc. 1601-1634). Il Ferro è il maggiore pittore lucano che agli inizi del XVII sec., si impose, sul panorama regionale, in maniera perentoria rispetto agli altri artisti coevi. Ricalcando echi emiliani, romani e napoletani, egli diffuse in Basilicata il gusto per il quadro a soggetto religioso, tipico della Controriforma, riproducendo brani pittorici che andavano per la maggiore nelle capitali dell'arte barocca. I suoi nobili natali e la sua agiatezza dovettero essergli di grande aiuto, sia per procurargli la committenza delle opere, sia per i viaggi di studio, che fruttarono alla nostra regione un aggiornamento artistico. Dello stesso artista, a Pomarico, troviamo altre opere nelle Chiese di S. Rocco e S. Antonio. L'Immacolata della Chiesa Madre può accostarsi, per i caratteri stilistici affini e per l'analogo potenziale devoto che la sottende, a quella della Chiesa dei Cappuccini di Ferrandina. Iconograficamente, infatti, l'Immacolata è rappresentata secondo le Litanie lauretane del 1576; essa è assimilata alla SULAMMITA del Cantico dei Cantici, i cui attributi si identificano con quelli della Vergine nelle litanie. L'opera realizzata secondo stilemi tardo-manieristici, appare sostenuta da notazioni fiammincheggianti nell'insito grafismo con cui sono indagate le vesti delle Vergini. La grande tela rappresenta: in alto, l'Eterno Padre che regge una sfera simboleggiante l'universo; al centro la Vergine circondata da angeli che reggono i simboli delle Laudi; in basso, le immagini di S. Francesco, che reca nella mano sinistra una croce, e S. Antonio che mantiene un giglio. Sul fondo, su una collina le mura di un abitato, forse Pomarico, e in primo piano una Chiesa.
Il dipinto proviene dalla vecchia Chiesa Madre.


Gli altari


Altare dell'Immacolata
La ricca e monumentale cornice per l'immacolata di P A. Ferro, si articola su un altare in pietra dipinta, campito nella specchiatura centrale da uno stemma a rilievo. I due gradini della mensa presentano una fastosa decorazione vegetale. Su di essi poggia l'ancona, composta da quattro colonne carinzie a torciglione sulle quali si snoda un intreccio vegetale. Sull'architrave si sviluppa un intricato intreccio vegetale a traforo che sostiene una cimasa rettangolare con una tela dell'Annunciazione, anch'essa del Ferro. Ai lati di questa, sono collocati sinuosi tralci intrecciati e due putti seduti all'interno di uno svettante serto vegetale ricurvo. Un altro serto floreale a volute, con cherubini, delimita i fianchi del manufatto. La ricercatezza del disegno e degli ornati, la preziosità dell'oro zecchino, presuppongono una committenza prestigiosa e fanno di questo pregevole altare uno dei più splendidi esemplari dell'arte lignea lucana. Il maestoso intaglio è opera di Antonio Paradiso da Picerno, attivo in Basilicata alla fine del XVII e la prima metà del XVIII sec.. L'opera, realizzata insieme all'altare del Patrono, costò 120 ducati. In entrambi gli altari la doratura venne affidata a Vincenzo de Rosatis, del quale si ignora la provenienza, ma che probabilmente fu socio o comunque strettamente legato alle imprese del frate di Picerno. L'altare fu traslato, insieme a quello di S. Michele, dalla Chiesa vecchia.


Altare di S. Michele
La festosa macchina dell'altare di S. Michele, riccamente intagliata, poggia su un paliotto in pietra dipinta. La mensa che sostiene l'ancona è delimitata lateralmente da due colonne con cherubini. Al centro del manufatto, tra rami con fiori e foglie che s'attorcigliano, si inquadra una nicchia dove alloga la statua dell'Arcangelo. La trabeazione superiore è caratterizzata da testine di cherubini a rilievo e dal ricco simbolo di Pomarico: un albero di pomo. Il fastigio è costituito da motivi fogliacei e putti, nei quali si intravede il repertorio ornamentale e la qualità dell'intaglio di Antonio Paradiso, al quale spetta il merito di aver reso quest'arte una delle manifestazioni artistiche più autentiche della regione. L'opera, commissionata tra il 1698 e il 1699 fu pagata, all'intagliatore, ottanta ducati. Ad Antonio Paradiso, il teologo e letterato sacerdote, Canio Pacilio nel 1719, nella sua raccolta "Poesie", dedicò alcuni versi per esaltare il lavoro realizzato per l'altare del Patrono di Pomarico.
L'altare maggiore
L'imponente altare maggiore, in pietra dipinta, è un'imitazione dei ricchi altari in marmi policromi intarsiati diffusi in ambienti napoletani, ad eccezione del tabernacolo centrale, che è scolpito in marmo e adornato da testine di cherubini. Sulla porta del tabernacolo, in argento sbalzato, cinta da una cornice mistilinea, è raffigurato S. Michele; egli vestito da guerriero, uccide il drago tra le fiamme dell'inferno. Dal punzone impresso sull'opera si ricava che essa fu realizzata nelle officine argentiere napoletane nel 1768. La macchina dell'altare, in ferro battuto, presenta girali a volute che costituiscono il motivo dominante nella decorazione, cimata da una croce terminale. Essa presenta, tra l'altro, nella parte centrale, una esuberante nicchia decorata nella quale era collocata la quattrocentesca statua di S. Michele Arcangelo. Secondo i documenti, la macchina fu manifatturata in Andria dal maestro Francesco Paolo Giordano nel 1789 e fu illuminata per la prima volta, dalle candele infissavi l'otto maggio 1790.


Pulpito
Il meraviglioso pulpito è costituito da un parapetto sormontato da baldacchino. E' decorato con intagli a motivi floreali che serrano dei cherubini dipinti in oro zecchino. Al centro del parapetto è dipinta la figura di S. Carlo Borromeo. Nella parte superiore è collocato lo stemma del fastigio che rappresenta l'emblema della città di Pomarico. L'opera si inserisce nella produzione tardo-barocca napoletana.
Organo
Il pregevole organo, intagliato e dipinto, fu acquistato dai Padri Benedettini di Montescaglioso il 25 luglio 1786, al prezzo di mille ducati da pagarsi in dieci rate annuali. Esso è collocato sulla cantoria della porta maggiore ed è racchiuso in una cassa lignea dipinta. Quest'ultima è costituito da lesene con scanalature sormontate da capitelli corinzi che lateralmente si trasformano in motivi fogliacei. La facciata è composta da 25 canne in stagno disposte a cuspide su tre campate. Alla sommità, un elegante fastigio a volute riccamente intagliate.
L'opera è stata attribuita all'organaro Giuseppe Rubino della città di Castellaneta, in quel tempo residente ad Acquaviva delle Fonti. Questo sacerdote fu costruttore che godette di buona fama in Basilicata, per aver realizzato strumenti di pregevole fattura e qualità fonica.


Gli stucchi
L'apparato decorativo in stucco che investe tutta la chiesa è opera di un gruppo di stuccatori milanesi: i fratelli Santillo, Giuseppe e Bernardino Tabacco e Sante Regolo. Così risulta da documenti dell'archivio parrocchiale visionati da me e dal prof. Varuolo.
Detti artisti, facevano parte di quelle famiglie di stuccatori lombardi, che per tradizione producevano artisti a schiere, che lavoravano insieme, si sostenevano a vicenda, doppiamente uniti nella solidarietà dell'arte e della parentela.
Tra queste famiglie, quella dei Tabacco è una delle più attive nell'Italia Meridionale, in un arco di tempo che va dal 1774 al 1786.
I lavori realizzati nella chiesa Madre di Pomarico, furono iniziati con la decorazione del coro, del presbiterio, della cupola, della navata maggiore e della cappella della Concezione, con un costo complessivo di 796 ducati e 243 grana. Il contratto fu stipulato il 23 agosto 1796 dall'arciprete Don Tommaso Pizzolla.
Il partito decorativo si presenta ricco sulle volte e sulle pareti con motivi floreali ed architettonici. Suggestivi sono i cartigli simmetricamente disposti sulle sommità degli archi, a volte arricchiti della presenza di puttini alati e di corposi festoni.
Il modellato dei festoni fioriti e gonfi, del capitello a grosse volute, dei putti grassottelli, dei cartigli, dei rami di rose e di altri ornamenti vegetali ricordano i motivi ricorrenti nel repertorio lombardo di quegli anni.
Tra le composizioni più movimentate, troviamo gli angeli collocati ai quattro angoli della volta dai panni svolazzanti alle spalle in un risvolto finale e tradotte con una esuberante vena popolare.
Da segnalare come elemento importante, nel repertorio iconografico dei Tabacco, le cariatidi che sostengono sul capo capitelli corinzi. Questi, adottati in larga misura dagli stuccatori intervesi, valdostani e ticinesi appaiono per la prima volta, così vivacemente inseriti nella cornice architettonica degli altari, nelle opere dei Ratti, eseguite nel 1699 nella cappella Beccaria in S. Vitale a Parma e più tardi da Benedetto Silva, nella Chiesa del Carmine a Imola.
Ispirandosi alla stessa matrice e con accento sufficientemente marcato da far conoscere la cadenza tipica dei loro maestri, gli stuccatori milanesi propongono a Pomarico le popolaresche figure cariatidi degli altari, trattati con plastica corposità ed esuberanza carnosa nei putti.
Sobrie nell'impostazione, nei movimenti delle braccia, nelle larghe pieghe delle vesti, nel rilievo saldo e denso, appaiono le figure della Passione collocate sul timpano degli altari minori.
Gli innumerevoli ornamenti di cui la Chiesa si arricchisce sono simili a quelli realizzati dai Tabacco a Ferrandina e a Molfetta.

Testo di Antonio Bonavista
tratto da "LA CHIESA MADRE - POMARICO - Riapertura al Culto" di AA.VV.
Pubblicazione autorizzata dagli autori



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Chiesa di S. Antonio e Convento

Si ignorano le ragioni per cui non andò in attuazione tale contratto; ma è certo, che il lavoro fu eseguito da altri muratori, come dal seguente istrumento, redatto dall'istesso notaro nel 1604, foglio 84, tra il Sindaco, notar Geronimo Minora, ed i mastri muratori, Giovanni Martino e Lucio da S. Nicola "...di costruire il Monastero in contrada "La Piana" o , secondo il modello del Monastero dei Cappuccini di Grottole, a carlini 5 e mezzo la canna, come si era stabilito nel primitivo contratto....". Nel 1610 il clero concesse circa di terreno nella sua vigna, in contrada richiesti dal Padre Guardiano del Monastero per ampliare il relativo orto.
Per notar Francescantonio Petrarca, 1622 "...contratto tra il pittore, Ferro Pietrantonio di Tricarico e D. Tiberio Vinciprova, per sé e per i suoi nipoti, Cornelia e Francescantonio Recco, figli del fu notar Guglielmo, per far dipingere un quadro su tela nella Chiesa del Monastero, a mano sinistra entrando, grande e largo tanto da coprire il muro sottoposto all'arco, rappresentante la SS. Vergine col Bambino in seno, che porge la croce a S. Francesco d'Assisi alla sua destra, mentre alla sua sinistra sta S. Antonio di Padova, ed ai piedi un angelo nell'atto di sollevare un'anima dal Purgatorio. Come compenso D. Tiberio dà un vecchio quadro e ducati ventiquattro....".
Per il notaro Pacilio D. Giuseppe, nel 1710, si stipulò l'atto di donazione tra D. Giovanni Damieno ed il Guardiano del Monastero in parola, Padre Bonaventura da Pomarico, di un calice di argento con nove statuette a basso rilievo al piede (tra le quali primeggiavano S. Francesco, S. Antonio e S. Bonaventura ), del valore di ducati sessanta in beneficio del Monastero.
Dall'Ughelli erroneamente è stato asserito, che il suddetto Monastero non fosse stato edificato, ex novo, nel 1604, bensì fosse sorto sui ruderi di un vetusto cenobio, fatto costruire dal venerabile S. Francesco nel transitare per queste contrade diretto in Palestina, e che, in tale evento, il Santo d'Assisi, scosso dalle lacrime e dalla fede di una madre, richiamò dalla morte alla vita una donzella che, nella bara, avvolta nel bianco sudario, era portata a seppellire.
Benché prestare fede a tale opinione ridondasse ad onore del paese, se veramente questo avesse avuto la somma ventura di ospitare, anche per poco tempo, nelle sue mura il gran Santo taumaturgo e fosse stato prescelto da lui luogo degno di essere celebrato per l'azione miracolosa, che egli si fosse benignato di fare, ad edificazione del popolo pomaricano in quei tempi di fede tiepida inquinata dalla sete dell'oro e del potere, pure non risponde a verità.
Il Monastero, come risulta dai su citati atti, fu edificato, e per la prima volta, nel 1604; mancando assolutamente qualsiasi notizia, anche tradizionale, sulla pregressa e remota esistenza di un altro, di cui gli avanzi murari i superstiti giammai hanno rivisto la luce.
Circa poi il miracolo, ecco quanto è scritto nelle Cronache dei Frati Minori: madre d'avere altri figliuoli, fu tanto il lor dolore, che furono per morire con essa lei; et venuti che furono gli amici ed i parenti al duolo, per seppellirla, la madre era talmente addolorata e dall'affanno oppressa, che tutto si struggeva in pianto, ed era così fattamente occupata dal dispiacere, che non vedea, né intendeva cosa alcuna, che ivi vi facesse. Ma mentre, ch'erano in tanta amaritudine, e tutti quanti come disperati, apparve a quella donna, sua devota, il glorioso Padre San Francesco con un compagno solo, e le disse con parlare pietosissimo: non piangere più o donna, perché il lume della tua candela, che tu piangi per morto, t'ha hora da essere per la mia intercessione, riacceso; ciò detto, disparve. Onde la donna fece sapere a tutti i circostanti quello, che gli disse allora il -Santo, ne volse che portassero più il corpo della figliuola a seppellire; ma con gran fede chiamando il nome del suo San Francesco,
ed accostatasi ai cataletto, né levò la sua figliuola viva e sana alla presenza dei parenti ed amici; i quali innalzarono le voci fino al Cielo dando gratie al Signore ed al suo servo Santo". Fu dunque un'apparizione e non la presenza reale di S. Francesco: ciò rilevasi da questa narrazione.

Testo tratto da "Cenni cronostorici di Pomarico" di Donato Pasquale
Pubblicazione autorizzata dall'autore



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Chiesa della SS. Addolorata

Leggendo i vecchi atti di costituzione di censi a favore della Chiesa Madre S. Michele Arcangelo si resta perplessi innanzi all'indifferentismo degli stipulatori nello scambiare i titoli della Chiesa Madre: in alcuni atti essa è dedicata a S. Angelo, ed in altri a S. Michele Arcangelo, come se fossero due chiese distinte. Il Tanzi nella storia del Monastero di Montescaglioso scrive sempre il medesimo titolo ; mentre su una copia, fatta nel 1584 da D. Angelillo di Todaro, di una antica pergamena (inventario dei beni della Chiesa Madre) è scritto: «anno incarnatione MCCCLVI fuit factuu ed memoriam terragii ecclesiae sanctii Angeli de Pomarico …». Evidentemente ciò è dovuto, o ad erronea dizione dei redattori, ovvero alla loro convinzione di trattarsi del medesimo santo, e quindi di potersi, indifferentemente, usare le due dediche. Una prova di questa seconda ipotesi si trova in due documenti del re Federico d'Aragona. Nell'Inventario dei beni della Contea di Montescaglioso redatto dal notar Caposanto di Andria, nel 1489 si legge: "...a terris Abbatiae Sancti Angeli de Monte Caveoso....", laddove nella concessione fatta dal re nel 1488 al Monastero dei Padri Benedettini di Montescaglioso è scritto: ".. confermiamo o di nuovo concediamo al detto Monastero di S. Michele Arcangelo posto nella nostra Terra di Montescaglioso...".
Dall'assoluta mancanza di notizie, anche tradizionali, di chiese anteriori a quelle di S. Margherita, dedicate a S. Angelo od a S. Michele Arcangelo, per quanto minute ed ansiose fossero state le ricerche fatte a cominciare dai più remoti atti notarili, convalidati dall'elenco delle chiese urbane e rurali annesso alla relazione del de Mutiis del 1667 all'arcivescovo Lanfranco, e dalla considerazione, che nella Platea di D. Angelillo di Todaro è scritto: "...lo illustro Francisco de Baucio 3. duca d'Andria et singhyore de Pomarico, et circa 1450 edificò la nova Chiesa d S. Michele Arcangelo, vicina al castello...." e non riedificò, nel caso che la vecchia fosse crollata, fa esulare dalla mente che in Pomarico vi fosse stata edificata altra chiesa precedentemente a quella di S. Margherita, ed a quella fatta costruire da Francesco Del Balzo; il quale spontaneamente venne incontro ai bisogni della popolazione aumentata, sia per il normale annuo aumento demografico, sia per l'immigrazione dei Castrocicuriensi avvenuta in quel tempo. Edificata la nuova, non si tenne più conto della vecchia Chiesa Madre di S. Margherita che fu abbandonata, fino al punto che nella predetta relazione dell'arciprete fu dichiarata: "...diruta da non potersi celebrare messe....". E ciò nel 1667, dopo circa due secoli di vita della nuova chiesa.
Dopo poco più di mezzo secolo, da tale data, nel 1741, già la Chiesa di S. Margherita era stata restaurata e dedicata alla SS. Addolorata, con la costituzione di una Confraternita; e nel 1765 fu ingrandita, come dall'atto per notar Goffredo Pantaleo a foglio 3. del protocollo: ....Convenzione tra il Dr. Antonio de Caniis e la Congrega della SS. Addolorata per l'ingrandimento della chiesa, mediante cessione di un casaleno di esso de Caniis".

Testo tratto da "Cenni cronostorici di Pomarico" di Donato Pasquale
Pubblicazione autorizzata dall'autore




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Chiesa della SS. Annunziata

La Chiesa detta SS. Annunziata, tuttora esistente; in origine modestissima, costituita da due case, e poscia, in tempi recentissimi, trasformata, abbellita e corredata di un'altro artistico altare in marmo dedicato ai Santi Medici, dal solerte sacerdote D. Gaetano Giugliano.

Testo tratto da "Cenni cronostorici di Pomarico" di Donato Pasquale
Pubblicazione autorizzata dall'autore




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Chiesa di S. Domenico

La Chiesa dedicata a S. Domenico fatta edificare da D. Giuseppe Astone, sita all'estremità dell'odierna Piazza Vittorio Veneto.




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Chiesa di S. Giovanni Evangelista

La Chiesa sotto il titolo di S. Giovanni Evangelista, nella contrada omonima, scomparve nella frana, che distrusse questa parte del paese. In tempo posteriore fu riedificata, nella via attuale di S. Giovanni, in più modeste proporzioni, giacché la prima era così vasta da farla prescegliere dall'arciprete Altobello Donati quale Parrocchia dipendente dalla Chiesa Madre, se il clero avesse dato favorevole parere.




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Chiesa di S. Rocco

La Chiesa di S. Rocco al Tempone, dedicata dapprima a S. Giacomo, fu rifatta dall'arciprete D. Altobello Donati nel 1607, è tuttora esistente.




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Chiesa di S. Vito

La Chiesa patronale, dedicata a S. Vito, tuttora esistente. "...il 28 marzo 1664 il sacerdote D. Vito Pantone supplicò l'arcivescovo Spinola per ottenere il permesso di erigere una cappella sotto il titolo di S. Vito. Edificata la Chiesa, il detto sacerdote pregò nel 1666 l'arcivescovo Lanfranco, per avere la Bolla, che ottenne, con l'obbligo di dotarla delle relative rendite ".

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