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SAN LUCA - SAN VITALE - MONACHESIMO

CENNI SULLA VITA DI SAN LUCA

In Sicilia, dalla città di Demenna presso Alcara nacque il Santo Monaco Basiliano Luca, figlio di Giovanni e Tedibia nobilissimi e mutissimi genitori che più con l'esempio educarono il figlio nella fede e nella scienza divina. Giunto alla giusta età essi lo sollecitavano per il matrimonio, ma Luca non volle aderire perché desiderava dedicarsi a Dio e al prossimo con amore indiviso e così fondare l'edificio della propria santificazione non sulla sabbia dei piaceri mondani, ma sulla pietra della vita religiosa: non super areman, sed supra firman petram. Per desiderio di evangelica perfezione venne al monastero di S. Filippo in Agira dove fu ricevuto affettuosamente da quell'abate e istruito nei divini precetti per due anni, ne partì dopo aver ricevuto il piccolo abito per ricevere in seguito l'abito angelico con la professione solenne dei voti monastici nelle mani di San Saba.
Lasciata la Sicilia giunse in Calabria presso il Beato Elia, vero Elio o Sole, circondato da una moltitudine di discepoli come il sole dalle stelle, che dell'oro della indole di Luca, ne fece un vaso prezioso. Infestando i Saraceni quella parte della Calabria. Luca riparò a Noia, l odierna Noepoli di Basilicata e vi dimorò sette anni, presso una Chiesa dedicata a S. Pietro. Salito in gran fama per le virtù e i prodigi in tutti quei luoghi, egli, che aborriva la vana gloria e fuggiva gli onori si ritirò presso il fiume Agri nelle vicinanze di Armento dove ricostruì il Monastero diroccato di S. Giuliano, che presto rifiorì a nuova vita. In quel tempo una gravissima carestia venne a funestare la regione e ai poveri che accorrevano per soccorso da ogni parte, il Santo ordinò che si desse senza risparmio.
Mirabil cosa! avveniva come nella moltiplicazione di pani del Vangelo. Quando più si abbondava nella distribuzione, tanto più le provviste aumentavano. Res domestica maxima elargitione augebatur'. Abbiamo visto come la popolazione, minacciata da un pericolo incombente di un orda di saraceni, disposta ad uccidere, depredare e ridurre in schiavitù i superstiti, indifesa e atterrita, ricorresse a S. Luca che invocato faccia per terra l'aiuto divino, lasciati al riparo nel convento-fortezza i vecchi, le donne e i bambini, prese con se gli uomini validi, ne rianimò la fiducia in Dio e il coraggio, montato un cavallo bianco, l'intrepido Abate si pose a guida di quel drappello che alto levando il labbaro della Santissima Croce pervenne alla vittoria e il paese fu salvo, il fatto è storico avvenuto nel 972, ricordato in tutte le cronache, effigiato nel polittico del 1400, vivo nella tradizione popolare di Armento che indica il luogo dove avvenne lo scontro, almeno nella sua fase terminale, detto ancora oggi Serra di S. Luca o Pietra di S. Luca, in territorio di Armento.
Non c'è vero amore di Dio senza amore del prossimo e da quando si è detto emerge che Luca univa alla vita contemplativa fatta di preghiera e penitenze anche la vita attiva. Proveniente da quella come da sorgente con l'esempio luminoso di evangeliche virtù col dono dei miracoli e con opere egregie a favore del prossimo. Chiuse la sua Santa Vita il 13 Ottobre 993, assistito da San Saba venuto appositamente dal suo Monastero di Sisinni presso Lagonegro.
Le sue reliquie conservate dietro l'Altare Maggiore dell'antica Chiesa Madre di Armento, sono collocate sotto l'altare principale della nuova Chiesa quale sacro e venerato deposito.
Aggiungiamo che nella città di Demenna ebbe i natali anche una sorella di S. Luca di nome Caterina la quale, rimasta vedova con due figli, Antonio e Teodoro, lasciò il paese natio insieme ai due figli e raggiunse il proprio fratello ad Armento in Lucania, dove, tanto lei quanto i figli vestirono l abito monastico e con la loro virtù e la loro Santa vita illustrarono l'Ordine Basiliano.




CENNI SULLA VITA DI SAN VITALE

Dalle agiografie del Gaetani e dagli annuali del Baronio, nonché dalle tradizioni di Castronuovo di Sicilia e di Armento di Basilicata, è noto come nella metà del secolo IX in Castronuovo di Palermo nacque Vitale dai nobili e ricchi genitori Sergio e Crisonica, si ignora il nome storico del casato, però da vari autori si vuole attribuire alla famiglia De Mennita. Senza addentrarci in discussioni critiche, non si può disputare l'onore alla città di Castronuovo di avergli dato i natali e di averlo come celeste Patrono.
Educato religiosamente dai più genitori fu messo a scuola dei preti di rito greco che allora officiavano la matrice di Santa Maria dell'Udienza dove per la frequenza con quei Padri Basiliani, si formò in lui la vocazione allo stato religioso per cui dai genitori gli fu permesso di bussare al Monastero Basiliano di Media dove fu ricevuto e in seguito trasferito nel Monastero Basilino di San Filippo nella città di Agira dove vestì l abito monastico, votandosi senza riserva all'osservanza dei consigli evangelici. Dopo cinque anni, presa licenza, con alcuni frati si avvia pellegrino a Roma "dove siede il Successor del Maggior Pietro", per venerare le tombe degli Apostoli, in quella Roma onde Cristo è romano, il cui suolo fu santificato dal sangue dei martiri e dalle orme dei Santi, patria spirituale di ogni cristiano. Passando per Terracina fu morso al piede da un serpe velenoso, ma Dio permise che ne guarisse da se con un semplice segno di Croce. Prosegue per Roma, meta dei suoi desideri e adempiuto il voto si mette sulla via del ritorno.
Prima che si fermasse inter asperas rupes Armenti, la cui boscosità dovette sembrargli assai propizia al suo ideale di contemplazione, lo troviamo per un biennio a S. Severino e poi nella sua Sicilia, l'isola del sole e del fuoco, preso dalla nostalgia di Agira nel cui Monastero aveva preso l'abito Monastico di fronte al quale ai piedi dell'Etna o Mongibello, prende dimora per lo spazio di dodici anni.
A quale elevazioni di spirito raggiungesse la sua contemplazione, non disgiunta dall'azione caritativa verso il prossimo, solo le anime perfette possono immaginare e comprendere. Ed ecco che si porta in Calabria, ai confini della città di Cassano, sul monte Leporaco in Santi colloqui con l'Abate Antonio, da cui si separa per passare in luoghi impervi e inaccessibili di Pietra di Roseto e omicidi e con le sue preghiere e penitenze da inaccessibili che erano le rese abitabili e in pace. Pensò allora di costruirvi un Monastero che dedicò alla Regola di S. Basilio e vi ottenne da Dio una sorgiva di acqua medicinale che curava i malati che a lui ricorrevano.
Fedele al suo programma di sfuggire ammirazione e lodi, dovute a Dio solo troviamo Vitale sul Monte Raparo di fronte a San Chirico, sul Monte S. Giuliano, nel Monastero di Sant'Elia a Missanello, in orazione e aspre penitenze, infine in una valle fra Tursi e Armento in una spelonga visitata dagli animali selvatici che deposta la loro nativa ferocia, gli lambivano i piedi e non si dipartivano senza la sua benedizione. Anche gli uccelli venivano a tenergli compagnia e dopo avere diviso con loro il cibo consueto, li licenziava dicendo: Ora andatevene voi, perché vengono altri. Si rinnovava cosi lo spettacolo di quando l'uomo era innocente e anche la natura gli era amica.
Qui non si può tralasciare un episodio che spiega la cipolla degli agiografi e della iconografia che parrebbe piuttosto una stranezza. Presso Armento, nel Monastero di Carbone era Abate un Santo religioso di nome Luca che avendo intese le voci sulla Santità di Vitale volle sincerarsene di persone e, montato a cavallo, andò a trovarlo. Incontrarsi si salutarono con la consueta inclinazione del capo e la reciproca genuflessione e seduti all'ingresso della spelonca, aprirono le più sante conversazioni. Intanto Vitale ordina al nipote frate Elio di preparare la mensa per fare onore all'ospite. Fu imbandito grano di frumento e pane e a un cenno di Vitale delle cipolle dell'orto, che il Santo soleva mangiarne e presane una, la divise in quattro parti. Non erano le nostre cipolle, ma cipollacce, che Luca pregò di allontanarle perché mortifere per chi ne gustava. Vitale in risposta prese a mangiare e Luca per non parere di meno, ne mangiò pure lui, ma subito cadde come morto a terra. Vitale, fatta una breve preghiera, con un segno di croce, lo rinvenne e Luca così ne confessò la santità, e presa licenza, ritornò al suo Monastero rimanendo legato a Vitale da affettuosa e ammirata amicizia.
Ritorna l'episodio delle cipolle, simbolo di vita parca e penitente sia del Santo che dei fedeli, a proposito di due sacerdoti Leonzio di Petra e Ilario di Galasso, i quali si mostrarono scandalizzati di Vitale che, nel ministero delle confessioni, lui, così severo con se, assegnava penitenze leggere anche ai peccatori più grandi per non scoraggiarli. Si recarono infatti alla spelonca di Vitale il quale, saputo il motivo, della loro visita, mise davanti a loro il consueto suo cibo, dal quale, quei padri, appena appressatisi, indietreggiano. Da ciò Vitale prese argomento che come essi non poterono soffrire il solo odore, così gli uomini non possono sostenere le grandi leggi della penitenza e di questi e di altri esempi quei padri ritornarono ricreduti e ammirati. Troppo lungo sarebbe narrare l'amicizia di Vitale col Catapano (Governatore) di Bari, di nome Basilio che lo scelse a suo consigliere e fu testimone di un prodigio operato dal Santo che liberò l'intera regione dagli effetti disastrosi di una improvvisa grandinata. Così si confermò nel concetto che ne aveva di godere dell'amicizia di un gran Santo cui offerse donativi di ori e di argento, ma Vitale li rifiutò accettando solo alcune sacre immagini e vasi liturgici.
Tralascio il miracolo operato da Vitale che concesse, ad una coppia sterile la gioia di un figlio, la guarigione di una donna da, grave tumore alla gola (rappresentato da un serpe al collo, nello stile immaginifico dell'epoca). Andò essa da Vitale ma non trovò e con grande fede si pose attorno al collo malato il cingolo della veste di lui e subito il male, che da un anno l'affliggeva sparì: il musulmano che aveva brandito la scimitarra contro di lui e che folgorato da luce sovrumana gli cadde ai piedi. Vistasi vicina la morte, Vitale dette gli ultimi ricordi ai suoi frati, affidando ad Elia la successione del suo ufficio di Abate. Morì il nove di Marzo di venerdì ad un ora di notte nel 994, altri scrivono nel 990 nel Monastero di Rapolla da lui fondato. E' tradizione che sia emigrato al Signore all'età di 75 anni, per cui se ne può assegnare la data di nascita nel 929. Fu volontà di Vitale, espressa al nipote Elia che il suo corpo, sepolto in Rapolla fosse traslato trent'anni dopo nel Monastero di Tursi e tale comando fu esempio segretamente fra il pianto dei Monaci quando rinvennero il sepolcro vuoto. Giunti nei pressi di Guardia, al corteo recante le Sacre Spoglie trainante dagli animali che non vollero più muoversi, si avvicinò il Vescovo Giovanni con clero, popolo e luminarie, il sacro corpo nella sua città episcopale di Tursi e lo depose in sepolcro nuovo, irrompendo i musulmani dalla Sicilia in Calabria il Vescovo Giovanni pensò di salvare le sacre Reliquie. Inutilmente tentò una prima volta di aprire la cassa con un ferro e solo dopo molte preghiere, la cassa si aprì mostrando il corpo intatto e la destra in atto di benedire. Riposto in uno scrigno di legno fu portato da quattro sacerdoti in ma Chiesa più sicura ad oriente di Tursi.
Il conte Tuscano signore di Tursi, di Petra e di Armento, volle che il corpo di S. Vitale fosse trasportato in Armento. In un ora canicolare quando il popolo era intento alla mietitura, aiutato da alcuni col pretesto di pregare in Chiesa, minacciò di morte il sacrista che dovette subire il trafugamento. Giunti di fronte ad Armento, in un luogo detto Vigilia, tutto il popolo vi andò incontro al canto delle litanie fino al tempio di S. Luca.
Gli abitanti di Tursi si confortarono a malapena di tanta perdita quando seppero che Vitale aveva rivelato in sogno, ad alcuni ragguardevoli ecclesiastici della città che per disposizione divina il suo corpo doveva riposare vicino a quello di Luca, suo conterraneo e confratello nella santità e nella Gloria.





CENNI SUL MONACHESIMO

Terminati i brevi accenni sulla vita dei Santi Abati Luca e Vitale, oriundi di Sicilia, onore e vanto di Armento le cui contrade furono santificate con le opere e gli esempi delle loro evangeliche virtù, poiché entrambi furono Abati dell'ordine Basiliano, di esso ritengo opportuno dare qualche notizia delle sue benemerenze religiose e sociali. Sono detti Basiliani quei Monaci che si ispirano nelle loro costituzioni alla Regola di San Basilio Magno, nato a Cesarea di Cappadocia il 330.
Convertitosi alla fede cristiana, ricevuto il battesimo a 27 anni vendette i suoi beni, ne distribuì il ricavato ai poveri e si ritirò in solitudine presso Neocesarea dove, raggiunto da ferventi cristiani, aspiranti alla perfezione, li raggruppo in conventi, meno numerosi di quelli del suo contemporaneo S. Pacomio, organizzandovi con le sue Grandi Regole, famose, che gli procurarono il titolo di Legislatore del Monachesimo Orientale, unendo saggiamente lavoro manuale, preghiera e studio.
Ordinato prete nel 362, vescovo di Cesarea nel 370, organizzò la vita monastica nella Cappadoccia e nel Ponto e la Liturgia che porta ancora il suo nome.
Non si creda che San Basilio sia fondatore di un ordine vero e proprio. I Monaci Basiliani appartengono ad un determinato Monastero ma non ad un ordine vero e proprio. Monasteri Basiliani greco-bizantini, detti Laure, sorsero ben presto e si diffusero in Sicilia, nell'Italia meridionale e centrale, fino a Grottaferrata, il più antico, dove nel 1579 Papa Gregorio XIII riunì tutti i Monasteri Basiliani dell'Italia meridionale e nacque l'ordine Basiliano italiano di Grottaferrata, che ha per scopo preghiera, studio, lavoro, ecumenismo. I Monasteri Basiliani sono centri di cultura e di civiltà, ma soprattutto nei secoli bui dell'antichità furono cattedra e faro di civiltà, spesso unico presidio di popolazioni indifese e afflitte da ogni sorta di calamità, come abbiamo potuto rilevare da alcuni episodi della vita di S. Luca.


Testi di Don Domenico Angerosa
tratto da "cenni storici e artistici del patrimonio culturale di Armento"
Pubblicazione autorizzata

Autore: Don Domenico Angerosa

 

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