Chiesa di
Santa Maria del Sepolcro
Dai Templari ai
Francescani
S. Maria del Sepolcro
dall'epoca della Riforma Francescana
Sin dalla prima metà del ‘500, il Francescanesimo conobbe un potente impulso di
rinnovamento spirituale, prima per opera della Famiglia dei Frati Minori
Cappuccini sbocciata, nel 1528, dal vetusto tronco francescano e poi per opera
della stessa Osservanza che ritrovò in sé le forze meravigliose del suo primo
rigoglio quattrocentesco, con un nuovo ritorno alle origini: « la Riforma »,
detta anche « Stretta Osservanza ».
Alcuni Frati, desiderando vivere pienamente la propria vocazione francescana,
chiesero ed ottennero di vivere insieme in alcuni conventi scelti da loro
stessi, anche in Basilicata.
Avvenne così che, il 14 maggio 1593, « alli Frati Osservanti che si
dichiararono Riformati, furono assignati cinque conventi cioè: S. Maria del
Sepolcro della città di Potenza, S. Maria di Gesù di Oppido, S. Antonio del
Tito, S. Antonio della città di Tricarico e S. Maria Maddalena della città di
Acerenza; e ne fu fatto per primo Custode Provinciale il P. Girolamo da
Pisticci. » Così si legge in una relazione del primo ‘700 pubblicata dal P.
Primaldo Coco.
Dopo un paio d’anni, a causa del soverchio rigore nel vivere riformato, continua
la succitata relazione, rientrarono nell’Osservanza più di cinquanta Frati
insieme ai conventi di Tito, Tricarico e Acerenza ove essi dimoravano.
Nonostante le difficoltà iniziali, la Riforma proprio nell’anno 1600, incominciò
ad attecchire in Basilicata suscitando presso principi e popolazioni un
entusiasmo mai prima conosciuto per cui essi fecero a gara nel costruire chiese
e conventi per questi Frati umili e penitenti che volevano far rivivere in mezzo
a loro lo spirito del loro Serafico Fondatore.
I Frati Riformati, nel ‘600, oltre a S. Maria del Sepolcro di Potenza, loro sede
principale, e a S. Maria di Gesù di Oppido Lucano, fondarono una ventina di
nuovi conventi in tutta la regione lucana.
Accanto all’Osservanza e ai Frati Minori Cappuccini, il nuovo virgulto della
Stretta Osservanza o Riforma crebbe e si sviluppò ogni giorno più, producendo
frutti meravigliosi di santità, di apostolato e di cultura.
Citiamo solo alcuni nomi di religiosi, fratelli e sacerdoti, morti in concetto
di santità e sepolti un po’ dappertutto, nei conventi della Riforma sorti in
Basilicata, nel ‘600 e nel ‘700.
Fra Ginepro da Potenza (1663), religioso dotato di spirito profetico e del dono
dell’estasi; fra Angelico da Laurenzana che operò anche dei miracoli; fra Diego
da Picerno, religioso di santa vita che brillò per la devozione al Mistero
Eucaristico; fra Matteo da Tito, uomo di grande mortificazione e dotato del dono
della profezia; il M. R. P. Arcangelo da Caggiano morto nel 1715, durante il suo
provincialato, religioso dotto e di santa vita che scrisse un apprezzato volume
di teologia dal titolo Statera Veritatis e il M. R. P. Clemente da Potenza,
prefetto delle Missioni in Albania, uomo esemplare e ripieno di zelo apostolico.
Inoltre, altri ventidue religiosi i cui nomi sono scritti quasi tutti nel
Leggendario Francescano, ove sono ricordati religiosi insigni per virtù ed
esemplarità di vita.
Di essi ne citiamo solo tre: P. Ludovico da Laurenzana che, recatosi in Etiopia
a predicare il Vangelo agli infedeli, ricevette la palma del martirio; il M. R.
P. Giambattista da Montemurro, segretario generale dell’Ordine per molti anni,
poi vescovo di Gallipoli, religioso di santa vita, morto nel 1709 e il P. Egidio
da Armento, missionario in Albania, prima vescovo di Xappa, poi arcivescovo di
Antivari, morto in concetto di santità, nel 1716.
Fra gli uomini di cultura, basti ricordare il P. Serafino da Salandra,
definitore provinciale, il quale, nel 1647, pubblicò « L’Adamo caduto », una
tragedia sacra in versi che fu presa a modello dal grande poeta inglese Milton
per il suo « Paradiso perduto ».
Dato il carattere storico-artistico del nostro studio, ci preme a questo punto
parlare delle vicende di cui fu protagonista la nostra chiesa verso la metà del
‘600, vicende che determinarono la ristrutturazione in stile barocco di buona
parte della chiesa stessa.
Nel 1647, Mons. Bonaventura Claverio, frate minore conventuale, vescovo di
Potenza dal 1646 al 1672, fu inviato a Grumento da Innocenzo I quale Visitatore
Apostolico per dirimere alcune questioni di carattere giurisdizionale.
Il vescovo di Potenza, nota il Ramaglia, restò ammirato di una nobile Reliquia
del Sangue di Cristo ivi venerata da antichissimo tempo per cui, preso da
fervente devozione e volendo pure eccitarla nella città donde mosse, ne chiese
una parte ai Canonici che l’avevano in custodia e l’ottenne, seco portandola in
un calice coperto da patena.
Per alcuni anni, il Claverio la tenne gelosamente custodita presso di sé. Verso
la metà del ‘600, quando i Frati di S. Maria del Sepolcro diedero il via ai
lavori di restauro del loro convento ormai fatiscente, Mons. Claverio pensò, di
sistemare la preziosa Reliquia del Sangue di Cristo in quella chiesa che era
chiamata « del Sepolcro » non perché i Guevara, dalla fine del ‘400 in poi, vi
avevano creato il sepolcro gentilizio della loro famiglia, come afferma il
Ricotti, ma perché essa e per il titolo e per la sua storia era legata al
Sepolcro di Cristo e ai Luoghi Santi donde detta Reliquia proveniva. E ciò è
stato ampiamente dimostrato all’inizio di questo studio, sulla scorta di ricca
documentazione.
D’altra parte, questa tesi è confortata anche da un altro elemento importante,
presente nella struttura stessa della chiesa quattrocentesca.
Nella chiave dell’arco maggiore, è scolpita l’immagine del Cristo morto che
emerge dal sepolcro dalla vita in su.
Questa rappresentazione, di sapore gioacchimita, venne di moda nel ‘400 col nome
di « Christ de Pitié ». L’iconografia è antica e si ricollega alla visione avuta
da S. Gregorio: in essa, gli attributi della passione (flagello, chiodi,
martello, scala, spugna, lancia) sono appesi alla Croce e fanno da sfondo al
Cristo morto che emerge dal sepolcro.
Nel caso nostro, questi elementi secondari, data la ristrettezza dello spazio,
mancano; tuttavia, sembra che il lapicida catalano vi abbia rimediato con la
scritta I.N.R.I. che, se non andiamo errati, si legge nel piccolo timpano che
sovrasta la figura del Cristo.
Da ciò si ricava che, verso la fine del sec. XV, tra la chiesa di S. Maria del
Sepolcro e il Sepolcro di Cristo esisteva un legame storico.
Molto si è scritto, specie in questi ultimi decenni, intorno a questa preziosa
Reliquia della Passione di Cristo. A parte il giudizio sulla autenticità di tale
prezioso cimelio, documentato solo dal 1278 in poi, non si può negare che esso,
per circa sette secoli, ha determinato eventi religiosi, storici e artistici di
notevole rilievo.
Di questa preziosa Reliquia venne in possesso Ruggero di Sanseverino, signore di
Grumento e Marsico, nel 1278, quando col titolo di Vicerè di Gerusalemme, da
Carlo I d’Angiò fu inviato in Palestina per consolidargli il dominio di quella
regione di cui era venuto in possesso, dopo la sconfitta della casa sveva.
Di ritorno dalla Palestina, Ruggero donò parte notevole della Reliquia in parola
alla città di Grumento in premio della sua fedeltà alla famiglia Sanseverino e
alla causa angioina, mentre una parte molto piccola volle conservare nella
cappella gentilizia del suo castello, a Grumento.
La donazione della parte più grande della Reliquia alla Collegiata di Grumento
da parte di Ruggero avvenne il 27.XI.1284, come risultava da Una pergamena
conservata, sino alla metà del ‘700, nell’archivio di detta Collegiata, a quanto
attestano il succitato Ramaghia, Costantino Gatta e il Pacichelli.
Quest’ultimo anzi, dichiara di aver trascritto fedelmente il testo della
pergamena dall’originale che, purtroppo, non siamo riusciti a rintracciare.
In tale pergamena si afferma che la Reliquia in parola è costituita da un po’ di
terra mista al Sangue di Cristo, raccolta e conservata dalle pie donne, Maria di
Giacomo e Salome, presenti con la Madre di Gesù, alla sua crocifissione e morte
sul Calvario.
Uomo di grande cultura non solo teologica ma anche umanistica, il Claverio,
celebre per le nobili soffitte lasciate nelle chiese del suo Ordine, volle
arricchire, a sue spese, la navata centrale della chiesa di S. Maria del
Sepolcro di un’artistica soffitta a cassettoni ottagonali in legno intagliato e
dorato, uno dei pezzi più pregevoli di tutta la scultura lignea del seicento
lucano.
Sulla parete destra di detta navata, dal maestro napoletano Masillus de Faiella
fece costruire il monumentale altare barocco con sfarzose decorazioni di stucchi
al cui centro, in un’urna munita di due porticine con tre chiavi, il 4 giugno
1656, depose la preziosa Reliquia conservata in un piccolo calice d’argento
finemente cesellato.
Esternamente, intorno alla coppa, sono incise quattro scene del Mistero Pasquale
di Cristo: l’agonia nell’orto del Getsémani durante la quale sudò sangue, la
flagellazione alla colonna, una caduta di Gesù sotto la croce e la sua
risurrezione dal sepolcro.
Il coperchio che chiude l’apertura del calice-reliquiario, reca inciso il
sigillo di mons. Claverio mentre tutt’intorno ha una corona con piccoli merli
sporgenti e, al centro, una croce.
In seguito, questo calice-reliquiario fu sostituito da un vero e proprio
reliquiario a guglie di sapore gotico, anch’esso d’argento, ove tuttora si
conserva la preziosa Reliquia.
Il Claverio stabilì che una delle tre chiavi dell’urna ove era conservata la
Reliquia, venisse custodita dalla prima Dignità della Cattedrale, un’altra dal
Superiore del convento di S. Maria del Sepolcro e la terza dal primo Cittadino
di Potenza.
Ordinò poi, che ogni venerdì santo, con l’intervento del clero cittadino e di
tutti i religiosi, la Reliquia venisse prima esposta alla venerazione dei fedeli
e poi portata solennemente in processione per le vie della città fino alla
Cattedrale.
Per molti anni, la processione si svolse come prescritto e la chiesa di S. Maria
del Sepolcro, divenuta mèta di continui pellegrinaggi non solo lucani ma anche
pugliesi e campani, acquistò la fisionomia di santuario.
In seguito, istituendosi solenni funzioni per il venerdì santo, nella
Cattedrale, la processione della Reliquia per le vie della città non ebbe più
luogo ma fu limitata al piazzale antistante alla chiesa di S. Maria del Sepolcro
con la benedizione del Vescovo impartita dai gradini della croce tuttora ivi
esistente.
Nella ricorrenza della festa del Sangue di Cristo, si teneva anche una specie di
fiera ove si vendevano i prodotti della terra o del proprio mestiere oltre a
salami di ogni genere.
Il Riviello annota che « veniva gente in costume da molti paesi della
provincia, lungo la via stavano in fila scagni e buffette cariche d’ogni specie
di salami affumicati, di granaglie, ferramenta, barili, secchi e fiaschi ».
Nel 1827, il vescovo Marolda venendo a conoscenza che, in detta fiera, si
consumava abbondantemente il salame acquistato, violando così l’obbligo
dell’astinenza dalle carni proprio nel giorno dedicato alla memoria della
Passione e Morte del Signore, chiese e ottenne un R. Assenso datato 14 marzo
1828, col quale si disponeva che la festa del Sangue di Cristo venisse celebrata
il primo giovedì dopo Pasqua.
Il decreto « Urbis et Orbis » del 10 agosto 1849 infine, fissò definitivamente
la festa liturgica del Sangue di Cristo alla prima domenica di luglio. Da
quell’anno, i Frati cercarono di incrementare sempre di più il culto al Sangue
di Cristo, celebrandone la festa con sempre maggiore solennità e invitando anche
il M° Francesco Stabile che componeva i canti per la Via Crucis, per la
Settimana Santa, per la Pasqua e per la festa del Sangue di Cristo e li faceva
eseguire con arte e gusto dalla schola cantorum dei Frati e dal popolo tutto.
Dal 1865 in poi, per la morte del M° Stabile e soprattutto a causa della
soppressione degli Ordini Religiosi, il culto al Sangue di Cristo decadde sempre
di più anche se la festa veniva celebrata in tono minore dai due Padri
incaricati dal Municipio a custodire e officiare la chiesa.
Dal 16 giugno 1886, la chiesa di S. Maria del Sepolcro venne affidata alla cura
dell’Arciconfraternità del Gonfalone di S. Nicola di Bari che cercò di
incrementare di nuovo il culto al Sangue di Cristo, di celebrarne solennemente
la festa e di restaurare e abbellire la chiesa sino al 1936 quando vi fecero
ritorno i francescani.
Il 16 novembre del 1886, Mons. Tiberio Durante, vescovo di Potenza, fece la
prima ricognizione della Reliquia e vi inserì una seconda pergamena firmata da
lui e dai testimoni presenti.
Nel 1933, in occasione del XIX Centenario della nostra Redenzione, mons. Augusto
Bertazzoni, vescovo di Potenza e Marsico, richiamando i suoi fedeli alla
devozione del Sangue di Cristo, li invitò ad una raccolta di oggetti d’oro per
un Reliquiario più artistico che fu pronto nel 1937.
Esso è costituito da un lucernario quadrangolare con quattro cristalli al centro
delle pareti e graziose colonnine ritorte sugli spigoli, poggiato su di un piede
maneggevole, mentre nella parte superiore presenta una cupoletta ricca di pietre
preziose e sormontata da una croce.
All’interno, inginocchiato, un angioletto con le mani protese in alto regge una
piccola coppa ovale in cui è riposta e suggellata la preziosa Reliquia.
testo
tratto da: Chiesa di S.
Maria del Sepolcro "1974"
di P. Daniele Murno O.F.M.
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