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Chiesa di Santa Maria del Sepolcro

 

I quadri artistici

 

La chiesa di S. Maria del Sepolcro che tanta parte ha avuto nella storia della città di Potenza per circa quattro secoli, ha conosciuto il suo massimo splendore di santità, di apostolato, di cultura e di arte tra il ‘500 e il ‘700.
In un inventano conservato presso l’Archivio di Stato di Potenza, redatto il 18 agosto 1808 per ordine del governo napoleonico, si parla di sessantadue quadri artistici, tra piccoli e grandi, allora conservati nel convento e nella chiesa di S. Maria del Sepolcro.
Il Ricotti, citando il Lacava, nota che si trattava di « molti e pregevoli quadri di distinti artisti: di Paolo Veronese, dello Zingaro, dei fratelli Pietro e Potito Donzelli, della Scuola Fiorentina, Romana, Napoletana, di Paolo De Matteis ed altri, e fra tutti primeggiano quello dipinto su legno, rappresentante la Concezione con S. Francesco e S. Rocco, che dicesi essere della Scuola di Raffaello; quello su tela, la Natività, che vuolsi essere proprio originale di Ribera detto lo Spagnoletto; e quello del Popolo Ebreo dopo il passaggio del mar Rosso, che viene attribuito alla Scuola Caraccesca o di Luca Giordano ».
Se la soppressione napoleonica risparmiò questo complesso conventuale, quella del 1866 ne segnò la rovina quasi completa.
Diecine e diecine di quadri artistici sparirono; moltissimi libri e documenti di archivio andarono dispersi o distrutti.

« La chiesa venne spogliata di tutti gli arredi e paramenti sacri ed argenterie diverse che servivano per le sacri funzioni.., ed il Municipio si ebbe in consegna la chiave della custodia della Reliquia tolta al Superiore dell’espulsa famiglia, ed in conseguenza il Convento divenne proprietà del Demanio dello Stato e la spogliata Chiesa passò in potere del Municipio. »
Se qualcosa del ricco patrimonio culturale-artistico di S. Maria del Sepolcro è giunto a noi, dobbiamo esserne grati ai Padri Michele da Moliterno e Luigi da Gallicchio che, sistematisi alla meglio, in un cantuccio della sagrestia, continuarono ad officiare la chiesa per incarico del Municipio sino al 1886 quando questa passò nelle mani dell’Arciconfraternita del Gonfalone di S. Nicola di Bari che se ne prese cura sino al 1936, epoca in cui vi fecero ritorno i figli di S. Francesco.

 

 

Il polittico smembrato del primo ‘500
L’opera pittorica più importante conservata in questa chiesa è certamente il polittico smembrato del primo ‘500 che, all’inizio del secolo scorso, il Viggiani per primo attribuì ad Antonio Solario detto Lo Zingaro.

 


S I M O N E   D A   F I R E N Z E
CHIESA DI S. MARIA DEL SEPOLCRO - POTENZA
Polittico smembrato del primo ‘500

 


« . ..il polittico potentino rivela una maturazione del linguaggio pittorico di Simone da Firenze, una scioltezza compositiva e una fluidità di pennellata che crea vivacissimi effetti di tocco, specie nelle mirabili teste degli apostoli. »
 

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L’opera pittorica più importante conservata in questa chiesa è certamente il polittico smembrato del primo ‘500 che, all’inizio del secolo scorso, il Viggiani per primo attribuì ad Antonio Solario detto Lo Zingaro (79).
Si tratta di quattro tavole ove, su fondo dorato, sono raffigurati S. Pietro apostolo, S. Girolamo penitente, la Maddalena e S. Caterina d’Alessandria e di due frammenti di predella con i dodici apostoli a gruppi ternari.
Da qualche anno, uno studioso veneto, il Rizzi, ha messo in discussione l’attribuzione del polittico in parola allo Zingaro, attribuendone la paternità a Simone da Firenze, il più importante pittore rinascimentale operante in Lucania nel primo ‘500.
Fiorentino di nascita e di formazione per aver assimilato le lezioni del Botticelli, del Ghirlandaio e di Filippino Lippi, ecletticamente filtrate anche attraverso i modi di vari pittori minori centro-italici, Simone da Firenze si presenta in Lucania, nel primo ‘500, ricco di tale cultura in cui innesta una carica personale di realismo nordicheggiante piegato alla resa di effetti drammatici.
E’ certamente suo il grandioso polittico di Senise in quanto da lui firmato e datato: 1523.
Ora, il medesimo linguaggio che informa quest’opera, nota il Rizzi, si ritrova nello smembrato polittico potentino che, posteriore di 14 anni, rivela una maturazione del linguaggio pittorico di Simone da Firenze, una scioltezza compositiva e una fluidità di pennellata che crea vivacissimi effetti di tocco, specie nelle mirabili teste degli apostoli.
Oltre al linguaggio, evidenti sono le affinità stilistiche e formali esistenti nelle due opere in parola: la Maddalena potentina si richiama chiaramente alla S. Caterina senisese mentre il volto e la barba del S. Girolamo penitente di Potenza riecheggiano quelli dell’Abramo nella predella del polittico di Senise.
Secondo il Rizzi, lo scomparto centrale del polittico smembrato di S. Maria del Sepolcro sarebbe costituito da un dipinto su tavola a fondo dorato, raffigurante la Madonna col Bambino a mezza figura, conservato nell’altro convento francescano potentino di S. Michele.
Nella parte inferiore di questa tavola, si nota un frate con una scritta e la data: « 1537 » anno in cui Simone da Firenze avrebbe dipinto l’intero polittico potentino.
Il Rizzi inoltre, attribuisce a questo pittore anche un terzo polittico: quello conservato nella chiesa parrocchiale di S. Chirico Raparo, proveniente dell’ex abbazia di S. Angelo al Raparo.
Questo polittico che andrebbe datato dopo quello di Senise cui si collega per evidenti affinità, ma prima di quello smembrato di Potenza, ne costituirebbe il trait-d’union.
Anche qui, l’autografia di Simone è riconoscibile nelle strutture delle figure e in più di qualche particolare come le striature sulle vesti, nei raffinati fondi oro e soprattutto nella composizione della predella dove gli apostoli sembrano studi preparatori di quello di Potenza.
Sorprendente poi è la rassomiglianza tra il S. Giovanni apostolo della predella dello smembrato polittico potentino e quello che si ammira nel polittico sanchirichese. Anche Giuda, il traditore, emarginato dal contesto degli altri apostoli, occhi torbidi, barba e capelli ispidi, mani incatenate fra di loro e fortemente compresse sul petto... rivela il medesimo statod’animo, in ambedue i polittici.
Prima di passare all’illustrazione dei singoli pezzi del polittico smembrato di S. Maria del Sepolcro, ci si permetta un’ultima annotazione. Nelle ricerche ultimamente da noi compiute a Moliterno, ci siamo imbattuti in una tavola isolata con la figura di S. Pietro apostolo su fondo dorato, molto vicina a quella appartenente al polittico potentino.
Detta tavola era sistemata sull’altare della cinquecentesca cappella gentilizia Parisi, dedicata a S. Pietro apostolo e sita nel borgo medioevale moliternese. Attualmente, essa è in restauro presso la Soprintendenza alle Gallerie per la Basilicata di Matera.

Predella con i dodici Apostoli
In questi due frammenti di predella evidente appare lo influsso del grande Leonardo che, tra il 1497 e il 1498, affrescò la famosa Cena, nel refettorio domenicano di S. Maria delle Grazie in Milano.
Non esiste, purtroppo, la parte centrale ove doveva esserci Gesù, maestoso, quasi immobile nel suo tremendo isolamento, con i segni di una profonda tristezza sul volto, mentre con accento accorato dice agli Apostoli: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà. A queste parole, un brivido violento e intenso sembra muovere, simili a flutti, i gruppi ternari degli Apostoli i cui tratti fisionomici sono espressi con pungente realismo e forte carica emotiva. Vivacissimo ne è il dialogo formale per cui si avverte la traduzione del movimento in moto spirituale di cuori, di coscienze, di anime.
Il dramma ha la perfezione dell’insieme nella istantaneità dei sentimenti: stupore, sdegno, dolore, discolpa.
Particolarmente tipica, nota il Rizzi, è la resa dei capelli descritti mediante veloci tocchi, ricadenti sulla fronte e come agitati dal vento... Anche nelle vesti, la pennellata si fa vorticosa con l’impiego di linee serpentinate e frequenti striature per cui netta nell’insieme risulta la prevalenza del disegno sulla tessitura cromatica (fortemente incise le linee delimitanti le figure) modulata su delicate tonalità gialle, cilestrine e rosee.
L’assenza della parte centrale impedisce di evidenziare gli estremi del dramma: il vertice, nella profonda sofferenza morale di Gesù che, proprio nel momento in cui sta dando la prova suprema del suo amore, sa di essere tradito da uno dei suoi più intimi; l’abisso, nella perfidia diabolica di Giuda, materialmente isolato, ben evidenziato nei lineamenti marcati del suo volto grifagno, gli occhi torbidi, i capelli arruffati, la barba ispida, le mani incatenate fra di loro e fortemente compresse sul petto, quasi a contenere il lancinante rimorso causatogli dalla volontà decisa di tradire il Maestro.
Pietro, dalla folta capigliatura argentea, sembra aver individuato il traditore in Giuda cui rivolge di scatto il suo sguardo severo e indignato mentre l’indice sinistro è puntato verso il centro della scena ove doveva esserci il Maestro divino.
A questo gesto rivelatore, l’apostolo che sta accanto a Giuda, si porta istintivamente la destra al capo mentre con la sinistra sembra chiedere spiegazione ad un altro apostolo dagli occhi smarriti che sta dietro la tozza figura del traditore.
Molto espressive le figure degli altri apostoli, specialmente quella di Giovanni, il viso di adolescente incorniciato da una fluente capigliatura, nelle mani un calice da cui esce un serpentello velenoso che lambisce, senza nuocere, l’indice della sua destra.

S. Girolamo penitente
La vigorosa figura di questo S. Girolamo che, iconograficamente, si rifà al cosiddetto « periodo della penitenza »trascorso dal Santo nel deserto del Sinai, presenta i lineamenti ben modellati, i contorni cesellati. Le occhiaie sono incavate, le pupille vivaci e le palpebre pesanti e socchiuse mentre la fluente capigliatura e la barba bipartita dal naso aquilino, ambedue di colore argenteo, sembrano filamenti lanosi fra cui, solo in parte ben evidenziato, appare il labbro tumido e serrato dal forte accento espressivo.
Sul volto, i segni di una profonda commozione rivelano il dramma interiore di questo grande penitente nell’atto di muovere vigorosamente verso il petto il pugno destro armato di un sasso, sforzo che causa una stiratura muscolosa sul braccio e imprime un movimento rotatorio a tutto il corpo e alle vesti lacere.
Nell’angolo, in basso, a sinistra, un leone dall’aspetto mansueto, lo sguardo in alto verso il Santo, suo benefattore, quasi partecipe dei suoi sentimenti.
Ci permettiamo di dissentire dal Rizzi il quale afferma che questo « S. Girolamo in tralice pare concepito in funzione della virtuosistica resa della barba e dei capelli fluenti ».
A noi sembra che l’artista abbia voluto raccogliere ha ricca e vibrante personalità del Santo nell’intenso e commosso ritmo interiore per poi esprimerla, con evidente efficacia, nel movimento che ne investe e scuote non solo la barba e i capelli fluenti ma tutta l’atletica figura. Il giuoco della luce sui risvolti quasi metallici del mantello crea un violento chiaroscuro dagli effetti stupendi.

La Maddalena
Maria di Màgdala ha, nella destra, un artistico vasetto d’alabastro ripieno di profumo di nardo puro molto prezioso con cui si appresta ad ungere i piedi di Gesù mentre con la sinistra tiene stretto l’estremo lembo del velo che svolazza intorno al braccio.
La sua figura risalta subito per un’aristocratica acconciatura dei capelli di gusto peruginesco, un’ideale purezza di linea nelle labbra e negli occhi atteggiati a profonda mestizia, una leggiadria primaverile di sapore botticelliano nel sinuoso e ricorrente movimento a spirale del velo.
Sembra che l’artista abbia voluto servirsi della linea morbida, sinuosa, ricorrente per esprimere la formidabile carica di femminilità di cui è ricca la peccatrice di Màgdala.
E’ il senso della musicalità della linea usata come suggeritrice di movimento cui sottendono profondi sentimenti dell’animo umano, qualità che il nostro artista avrà mutuato dal Ghirlandaio, dal Perugino, da Filippino Lippi e, soprattutto, da Filippo Lippi che, nel fruscio delle vesti e dei nastri svolazzanti della danzatrice del banchetto di Erode, nel duomo di Prato, ne ha dato forse il saggio più eloquente .
L’equilibrio nell’uso dei colori caldi e variati, il vigore plastico unito ad una tecnica d’avanguardia, nel primo ‘500, per l’uso dell’azzurro smalto diffusosi in Italia verso la fine di quel secolo, contribuiscono a rendere questo dipinto su tavola a fondo dorato un vero gioiello ricco di interiorità e di contenuto lirico.

S. Caterina d ‘Alessandria
Appoggiata ad una grossa ruota dalle punte acuminate che avrebbe dovuto straziare le sue fragili membra giovanili, una ghirlanda di fiori campestri intorno al capo martoriato da cui scendono due rivoli di sangue che ne macchiano il collo e le vesti, nella destra una spada affilata puntata verso il corpo di un vegliardo che giace sotto i suoi piedi: così ci appare, in questo dipinto su tavola a fondo dorato, Caterina d’Alessandria, giovane colta e bella, decapitata nel 305 dopo Cristo.
L’effetto pittorico è affidato alla calda tonalità del colore e ad una squisita sottigliezza di linea nell’arco degli occhi e delle labbra e negli altri particolari, tutti ben curati, del viso e delle vesti aristocratiche modellate, alla vita, proprio come nella citata danzatrice del Lippi.
Il vegliardo che giace sotto i suoi piedi, il capo coperto da un nero turbante dai bianchi risvolti, simbolo della sapienza umana da lei debellata, ha una fluente barba argentea bipartita dal naso aquilino che ci rimanda subito al S. Girolamo dello stesso polittico e all’Abramo della predella del polittico di Senise, firmato da Simone da Firenze.

Immacolata con S. Francesco e S. Rocco
In questo grande dipinto su tavola, staccandosi dai precedenti modelli cinquecenteschi detti « apologetici » in cui si preferiva arricchire la figura della Vergine Immacolata con riferimenti biblici e dottrinali, l’artista presenta la Vergine isolata in una mandorla di nubi mentre, sullo sfondo azzurrino variato da qualche nuvoletta, si staglia nitido un paesaggio alpestre.
E’ il cosiddetto « modello contemplativo » dell’Immacolata che, nella seconda metà del ‘500, incomincia a sostituire quello apologetico e di cui fu divulgatore, specialmente Guido Reni.
Il sentimento della bellezza, qui, non ha nulla di manierato: il volto di Maria si cobra dei riflessi tonali della veste e dell’ammanto, che irrorano le gote come un tiepido pianto di Grazia.
La figura della Vergine è delicatamente ravvivata dal gesto delle mani giunte sul petto e dal movimento del ginocchio destro che, nello spingersi in avanti ad arco, modella le vesti in pieghe profonde leggermente movimentate.
In alto, inserito in un arco di nuvolette, l’Eterno Padre, nella sinistra il globo terrestre sormontato dalla croce, in atto di contemplare la sublime Creatura che, sin dall’eternità, ha vagheggiato come Madre del suo Figliuolo.
Sotto, a sinistra, la dolce figura di Francesco d’Assisi che ebbe a cuore il privilegio dell’Immacolato concepimento di Maria strenuamente difeso e dappertutto divulgato dai suoi figli, mentre, a destra, S. Rocco, « il pellegrino di messer Iddio e di Madonna, la benedetta Madre di Gesù », ambedue in ginocchio, rivolti in atteggiamento contemplativo verso la Vergine Immacolata.
Una costruzione piramidale perfetta che ha il suo vertice ideale nella figura dell’Eterno Padre, conferisce all’intera composizione un moto ascensionale di gusto classicheggiante.
La serena compostezza della Vergine, la dolcezza celestiale del suo volto aperto sull’infinito e ricco di vibrazioni tonali, l’apertura degli spazi, l’impostazione classica di tutta la composizione in cui il libero equilibrio di masse e di luci modera il giuoco delle forme.., sono evidenti richiami all’arte del divin Raffaello.

 


I M M A C O L A T A
(seconda metà del sec. XVI)

 


MADONNA DELLE GRAZIE
( 1 5 8 2 )

 


« ...il volto di Maria, aperto sull’infinito, si colora dei riflessi tonali della veste e dell’ammanto, che irrorano le gote come tiepido pianto di Grazia. »
 

« La sapiente distribuzione di ombre  e di luci, conferendo una equilibrata luminosità a tutta la scena, dona alle figure un senso di morbido volume. »

   


PASSAGGIO DEL MAR ROSSO

( sec. XVII )
 


N A T I V I T A'

( sec. XVII )
 


« L’impasto dei colori è abbondante e interamente ad esso è affidata la mode//azione delle singole minute figure per cui i valori cromatici prevalgono su quelli disegnativi. »
 


« ...la luce forma le immagini evocando/e da zone di brumosa penombra mediante tocchi luminosi da cui, come d’incanto, fioriscono i colori dalle gamme basse, cupi ma caldi. »
 


Madonna delle Grazie (1582)
Interessante, in questa grande tela, il disegno di sottile vena manieristica.
Al centro, assisa su di un trono artisticamente scolpito in legno, la Mater divinae Gratiae, lo sguardo rivolto al san Giovannino che, con la destra, porge al bambino Gesù un ramoscello di pere mentre, con la sinistra, regge una canna a forma di croce intorno alla quale svolazza un cartiglio con la scritta: Ecce Agnus Dei.
Il piccolo Gesù, seduto su di un cuscino rosso adagiato sulle ginocchia della Mamma, con la destra le cinge affettuosamente il collo mentre, con la sinistra, le preme delicatamente la mammella da cui gocciola del latte.
La solenne figura della Vergine è graziosamente ravvivata dalla vivacità infantile dei due bambini i quali imprimono ah gruppo centrale un movimento a spirale che si conclude nel gesto sincrono dei due angeli che si accingono a posare sul suo capo una corona tempestata di gemme preziose.
Ai lati, S. Francesco d’Assisi, i segni delle stimmate sulle mani e sul costato, contempla estatico il grazioso episodio che avviene sotto i suoi occhi e S. Patrizio vescovo, apostolo dell’Irlanda, di cui a S. Maria, nel ‘500, si venerava una miracolosa reliquia ancora oggi conservata in un reliquiario ligneo di discreta fattura.
Sullo sfondo, un paesaggio appena accennato con picchi azzurrini rischiarati da tenua luce.
La sapiente distribuzione di ombre e di luci, conferendo una equilibrata luminosità a tutta la scena, dona alle figure un senso di morbido volume. L’intera composizione tende a raggiungere unità ed armonia attraverso l’attento studio del ritmo.
L’ispirazione veneta, in questa tela, oltre che alle variazioni tonali del colore, è da collegarsi al senso della realtà umile e poetica della scena che acquista vivacità e grazia anche per le vibrazioni luminose che, insieme ad altri elementi compositivi, fanno pensare a derivazioni lottesche.
Allo stesso artista, forse locale ma di cui non si conosce il nome, dovrebbero essere attribuite almeno altre cinque opere in Lucania: la Madonna con Gesù bambino e san Giovannino del trittico della chiesa francescana di Oppido Lucano, la Madonna del Rosario, datata 1583, nella cappella destra del transetto della cattedrale di Acerenza, la pala centrale dell’altare maggiore di S. Maria d’Orsoleo presso S. Arcangelo, ha Madonna del Rosario, molto mal ridotta, nella sagrestia dell’ex chiesa francescana dell’Annunziata di Brienza e una tela con la Madonna del Rosario, da poco restaurata a cura della Soprintendenza alle Gallerie per la Basilicata di Matera, conservata nella chiesa di S. Michele in Potenza.

La Natività
In questa tela di incomparabile pregio artistico, vera protagonista è la luce che, secondo i canoni dell’arte caravaggesca, forma le immagini evocandole da zone di brumosa penombra mediante tocchi luminosi da cui, come d’incanto, fioriscono i colori dalle gamme basse, cupi ma caldi.
Un fascio di luce, piovendo obliquamente da sinistra, illumina di striscio prima due angioletti, poi una pecorella e due pastori in atteggiamento adorante, per posarsi infine, sul volto della Madonna e di S. Giuseppe e, nella pienezza del suo fulgore, sulla graziosa figura del bambino Gesù adagiato su di un po’ di paglia sparsa sopra un capitello corinzio ornato di foglie d’acanto.
La Vergine Madre, il viso invitante, mostra ai pastori il Bimbo divino mentre, con un gesto di estrema delicatezza, allontana il pannolino che ne ricopre le tenere membra.
Nello sfondo, a sinistra, una donna pare associarsi ai sentimenti dei due pastori adoranti mentre altre due sembrano scambiarsi le proprie impressioni. In alto, a destra, sempre nello sfondo brumoso, si intravedono in lontananza nitidi contorni di monti tenuamente illuminati dalle prime luci dell’alba, sotto un cielo denso di nubi.
Di incomparabile bellezza il pastorello adorante, una pelle ovina sulle spalle, le mani giunte, il viso atteggiato a profonda contemplazione, proteso nello spirito e nei muscoli verso il toccante mistero della Natività, centro ideale di questa pregevole opera pittorica, precisa nell’analisi descrittiva e armoniosa nella sintesi compositiva.

Il passaggio del Mare Rosso
Questo dipinto su tela raffigura l’episodio biblico del miracoloso passaggio del Mare Rosso da parte del popolo ebraico, una scena grandiosa popolata da diecine e diecine di figure in movimento.
In primo piano, Maria la profetessa, sorella di Aronne, dal volto ispirato, rivestita di broccati e ornata di gemme, danza al ritmo di un tamburello mentre eleva al Signore un inno di ringraziamento e di lode: Cantate al Signore poiché è veramente mirabile! Cavalli e cavalieri ha travolto in mare.
Intorno a lei altre donne, facendo eco al suo canto, suonano e danzano a ritmo frenetico che trova drammatico riscontro nel vorticoso mulinello delle onde furiose che travolgono inesorabilmente l’esercito egiziano.
A destra, due uomini dalle vigorose membra di sapore michelangiolesco, tesi nello sforzo di mettere in salvo un pesante baule mentre un terzo, stanco ma soddisfatto, si riposa seduto sulla sua mercanzia in salvo.
A sinistra, invece, accanto ad una figura barbata in ginocchio, forse dell’artista o del committente, fresche e formose donne rivestite di broccati o con le spalle e i seni scoperti e un vezzoso bambino in atteggiamento realistico.., e poi, asini e cammelli carichi di roba d’ogni genere.
Più in su, altra gente che si avvia verso un costone roccioso a picco sul mare ove, grandiosa, si staglia la figura di Mosé fra due leviti in ginocchio.
Circondato dal suo popolo ormai in salvo, il viso raggiante di splendore, Mosé, al suono delle trombe ricurve, con la verga comanda alle acque di ritornare al loro posto ed esse gli obbediscono.
Uno spettacolo così potentemente drammatico che sconcerta e stupisce.
L’impasto dei colori è abbondante e interamente ad esso è affidata la modellazione delle singole minute figure per cui i valori cromatici prevalgono su quelli disegnativi.
Una luce calda avvolge l’intera composizione mentre le leggi della spazialità si affermano per via di una prospettiva aerea ottenuta mediante suggestivi effetti di colore modulato sulla gamma delle terre.

Da alcuni questa tela è attribuita a Luca Giordano denominato « Lucafapresto » per la foga irrompente, ha vivida fantasia, la spontanea immediatezza, la facilità creativa e la sorprendente padronanza della tavolozza.
Con lui il concetto della composizione idealmente prefigurata, cede all’estro soggettivo, alla più libera ed improvvisa invenzione e tende a scene di grande respiro in un’ansia irrefrenata di svolgimento che è gioia della pittura, esaltazione della forma nella sua vitalità autonoma.
 


 

Madonna con Bambino tra Angeli

 

 

Trittico lapideo con Madonna e Bambino fra Angeli proveniente dalla matrice di Noepoli

 

Se può essere discutibile la datazione assegnata al sec. XIII, non può sfuggire la bellezza di questa composizione che rivela una finezza di esecuzione dovuta certamente ad un artista consumato che è riuscito ad equilibrare perfettamente, negli accenti di un linguaggio unitario, la vibrazione interiore dei personaggi commisurata ad una trasparente compostezza di raccolti pensieri ultraterreni.



 

   testi tratti da: Chiesa di S. Maria del Sepolcro "1974"
di  P. Daniele Murno O.F.M.         

 

 

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