BRINDISI DI MONTAGNA -
Stato fisico Condizioni economiche e
politiche
Brindisi, come altri comuni del Regno con popolazione non superiore a 5000
abitanti, per effetto della nuova legge fascista del 4 febbraio 1926, N.
237, ha dal giugno successivo per capo di amministrazione non più un
Sindaco, ma un Podestà.
Trovasi nella regione di Basilicata, nell'antica e romana Lucania, fra il
40° e il 41° parallelo terrestre, nella provincia, nel distretto militare,
nel mandamento, nel circolo giudiziario, nel collegio elettorale di Potenza.
Per la gerarchia ecclesiastica forma la parrocchia di S. Nicola, che è
compresa nell'archidiocesi di ACERENZA MATERA: come da tempi remoti.
Il Summonte (a pag. 272 della Storia del Regno di Napoli) dice che in
provincia di Lucania, fra le sue città, solo CIRENZA era arcivescovado.
Il Dott. Sergio De Pilato (nelle Leggende Sacre di Basilicata) spiega:
Nella nostra regione «si costituirono presto comunità cristiane organizzate
con qualche vescovo residente assai probabilmente in Potenza, vescovato
forse fin dal III secolo. Acerenza che anch'essa, pare, ebbe vescovato prima
del IV secolo, e Venosa dapprima appartenevano all'Apulia, ma già nel IV
secolo Acerenza faceva parte della Lucania ecc.»
Non ho fatto cenno al circondario di Potenza, perchè aboliti i circondarii.
Fino al 1922 il nostro Comune era compreso nel mandamento di Trivigno, nella
cui giurisdizione vi erano inoltre: Castelmezzano, Campomaggiore, Albano.
Ora per tutte le cause civili e penali la sede dei nostri giudici naturali,
di prima e seconda istanza, è Potenza.
Dal 1924, in esecuzione del R.D. 10 settembre 1923, N. 2558, anche gli
ufficii del demanio, del registro e bollo, quello del catasto, non sono più
a Trivigno ed a Laurenzana, ma nel Capoluogo di Provincia, nella sede stessa
dell'Intendenza di finanze.
Dal 1861 il suggello del Municipio porta inciso lo stemma sabaudo; prima
portava quello borbonico. Nel suggello antico, usato dal 1600 sino al 1804,
si vedeva un leone rampante versa la stella polare: significava la fortezza
dei popoli coronei di Morea, fortezza serbata tanto sotto il dominio dei
Veneziani, quanto sotto il dominio di Carlo V e del grande Solimano. La
stella simboleggiava lalta protezione dei Re di Napoli.
Lo stemma antico si vede anche ora scolpito nel frontale (sulla chiave
dell'arco) della porta di Nicola Maria Damiani del fu Luigi: pietra che era
stata sino a pochi anni addietro sul portone di casa Montulli, in via
Magenta.
Non si sa da quale documento il dottor Michele Lacava, o colui che gli fornì
la notizia, abbia avuto certezza che lo stemma antico di Brindisi era di due
covoni di spighe sormontati da una croce (1).
E' una riproduzione infondata.
Il comune ha nel centro tre scuole di Stato con le prime quattro classi
elementari e con tre insegnanti; al Casone è stata istituita una scuola
unica con tre classi dall'Associazione nazionale per gli Interessi del
Mezzogiorno d'Italia.
Al servizio sanitario attendono un medico condotto, un farmacista ed una
levatrice.
Il servizio veterinario è consorziato con alcuni comuni vicini.
Vi sono, inoltre, un uffizio di ricevitoria postale di seconda classe, una
caserma di Reali Carabinieri, un ufficio di guardia forestale, una Cassa di
prestanze agrarie.
La superficie del nostro territorio, compresi i letti dei fiumi e torrenti,
è di ettare 5975,83, cioè di Kmq 60 circa, ossia di tomoli 14522, secondo
l'antica misura agraria napoletana (2).
Nell'antico catasto figurava, per quanto è gravata di imposte, di Ea
5343,50, con una differenza in meno di Ea. 389,03.
Secondo il nuovo catasto risulta di Ea. 5732,53 (vedasi a pag. 171 della
Relazione 1915 della Commissione Censuaria vol. 1°).
Il territorio è molto esteso in rapporto ai suoi indigeni abitatori, ad uno
dei quali, piccoli ed adulti, corrisponde una superficie di Ea. 4,54; la
popolazione legale è oggi appena di 29 abitanti per ogni chilometro
quadrato. Ecco perchè vi trovano campo spazioso di attività altre quaranta
famiglie, e più, di paesi vicini.
Toponomastica
I vocaboli delle contrade più comunemente conosciute sono: Chiaffa, Garoio,
Coste di Giannangelo, Difesa, Calia, Farneta, Tempa S. Nicola, Cupolo,
Scorziello, Calanche, Porcile Potenza, Ciux, Bosco Caterina, Neviera,
Piscilicchio, Serra, Facciate d'Anzi, Bosco Cute, Cugno d'Orlando, Serro
Tedisco, Magagna, S. Croce, Serro Grande, Fontana La Vecchia, Massaracchìo,
Policastro, Fontana di Rimmo, Pietra di Bacco, Calanche d'Avigliano, Coste
di Fonzo, Piano di Mincio, Aia di Brindisi, Acqua di Carlone, Facciate di
Trivigno, Gianconte, Caprarizza, Fiumana, Molinello, Le Grotte, Romito,
Sativo, S. Demetrio, Varrata, Ischia di Conzo, Serra Nuda, Facciate di
Vaglio, Pallareta, Casone, Fornaci, Ebraica, Grancia, Bosco di Materi, Bosco
di Blasi, Bosco di Martinelli, e in questi boschi, Vallone dei Frusci, Piano
dei Salici, Montegrosso, Vallone Oscuro.
Molti di questi vocaboli, sono appropriati alla particolare conformazione
del luogo: Tempa, monticello; Calanche, valanghe; Serra, altura netta e a
denti, Montegrosso, Vallone oscurò ecc.; all'uso: Porcile di Potenza, Aia di
Brindisi, Molinello, Sativo, Ischia di Conzo, Fornaci, Grancia, Pietra di
Bacco; altri a sorgenti : Cupolo, Piscilicchio, Fontana La Vecchia; la
maggior parte di essi ricorda paesi vicini, professioni o cognomi di
proprietari: Facciate di Anzi, di Trivigno, di Vaglio, Porcile di Potenza;
Gianconte, detto da Giovanni conte di Sanseverino, che, erede del fratello
Pietro, conte di Salerno, nel 1512 fece in quella contrada un magnifico
vigneto.
Il fiume Basento, parallelo al Bradano nel suo corso inferiore, nasce dalla
Serra del Cerro ad 871 metri di altitudine e scende per 149 chilometri fino
al Golfo di Taranto.
Prima di lambire le nostre terre, che sono in parte di quaternario antico, è
alimentato dalle acque della Fossa Cupa, da quelle del Tiera, che vien dai
monti Li Foi di Potenza; cresce con le acque della Camastra, più in là di
Trivigno.
Il territorio è limitato a nord est, per circa otto chilometri, da un tratto
del Basento, che non si contenta di lambirlo, ma lo corrode con le torbide
piene invernali e devasta i brevi piani indifesi della riva destra, essendo
la riva sinistra forte di muraglioni, di dighe e di sproni della ferrovia.
Niuno studio o progetto è stato fatto, per quanto sappiamo, allo scopo di
contenere il fiume nel suo alveo e di correggere il suo corso.
Pel declivio delle nostre contrade scende al fiume una sequela di torrenti e
torrentelli, detti volgarmente valloni. Fra essi:
il vallone della Lucerna che, nel Sativo S. Demetrio, taglia la strada
mulattiera Brindisi Vaglio e va in linea parallela alla strada vicinale del
Ciucciaro di Serranuda ;
il vallone Monaco che nasce con l'antica denominazione di vallone delle
Corna, perchè si biforca, ed ha diverse scaturigini nei boschi di Materi, di
Caterina, del Comune e di Fittipaldi;
il vallone di Caprarizza, che nasce col nome di vallone della Magagna,
continua con quello di Fontana La Vecchia e termina col suo nome;
il vallone di S. Giovanni, che, deriva dal bosco Cute e segna, in tutta la
sua discesa, il confine fra il tenimento nostro e quello di Trivigno;
il vallone dell'Inferno, che scende dai Tre Confini, punto di divisione tra
i boschi di Brindisi, di Anzi e di Potenza, continua verso sud est,
delimitando il nostro territorio da quello di Anzi fino alla confluenza del
vallone di S. Lucia, e, percorrendo poi il solo territorio di Anzi, va a
sboccare, quale sub affluente, nel fiume Camastra, affluente del Basento.
In pochi e piccolissimi punti l'acqua si stagna, né per ciò occorrerebbero
molte spese di bonifiche.
La linea di displuvio, o spartiacque, ha capo sul Romito, alto m. 865 sul
livello del mare; si stende per la Serra di Mastrocianni, per la
scriminatura dei boschi fra la Pallareta e il Casone, detta Strada della
Tempa; fa gomito ai Tre Confini, all'altezza di m. 1160, e col nome di
Tratturo della Serra passa per la Niviera, per Scorziello, per la Croce
della Serra e si mette con altro capo al bosco Cute (Tuppo della Cute), alto
1190 metri: somma linea curva che ai monti dà aspetto di anfiteatro, che
abbraccia e protegge il monte minore su cui s'aderge l'abitato, lasciandolo
però esposto ai venti sciroccali e boreali, dai quali non puó difenderlo la
più lontana catena appenninica di Pazzano e di Albano.
I limiti del nostro territorio sono segnati, dunque, dai Tre Confini, tra il
Cugno della Differenza e il bosco di Anzi, dal Vallone dell'Inferno e dal
Vallone di S. Lucia, fra Brindisi ed Anzi;
dal bosco di Trivigno, o di Torricella, e dal Vallone di S. Giovanni, fra
Brindisi e Trivigno;
dal Basento, fra Brindisi, Tricarico e Vaglio;
dalla linea che sale dal Basento, e va con la strada comunale per la pietra
di Scirocco alla Tempa, nel bosco Blasi, e prosegue per la linea di
scriminatura dei boschi dinanzi descritta, che è fra la Pallareta e la
proprietà del Demanio, una volta di Materi, e torna ai Tre Confini, punto di
partenza.
Tali confini sono inequivocabili.
Nel 1475, per ordine del Re Fernando I, Giovan Battista De Orlandis fece
rassegna dei feudi del Principe di Bisignano, come risulta da un libro di
reintegrazione conservato nell'archivio della Regia Camera. Il nostro
territorio, allora disabitato e boscoso, così vi è descritto : «Tenimentum
Brundusi inabitatum, quod defendit ad opus animaliu Domini Principis
Bisiniani, sic concluditur Curia ipse habet distum territorium, quod incipit
a quodam flamine Basenti, ubi iungitur Vallones Sancti Ioannis ; per ipsum
vallonum sursum dividendo ipsum tenimentum Brundusi a tenimento Trivinei;
vadit usque ad serram della Cute; et deinde descendit ad quondam vallonum,
qui dicitur Vallone dell'Inferno; et per ipsum vallonum ascendente,
dividendo dictum tenimentum a tenimento Terre Anzi; et per dictum vallonum
sursum tendendo usque ad locum, qui dicitur Montegrosso ubi finiunt
tenimenta dicta Terre Anzi, Vignole et Potentie, et ferit ad viam pubblicam;
et a ipsa via ferit ad quondam vallonum dictum delle Corna; et per ipsum
Vallonum delle Corna descendit ad flumen Basenti, et per ipsum flumen
decorsum vadit usque ad dictum Vallonum Sancti loannis primum finem, et
defenditur toto tempore ». (3)
Le stesse delimitazioni furono cosi riprodotte nella cessione del feudo ai
D'Erario, e con disegni e con più particolari indicazioni nell'attuale
catasto.
Verso il 1895, se ben ricordiamo, nacque divergenza fra il nostro Comune ed
il Barone Fittipaldi per un punto di confine tra i boschi, sul vallone dei
Filici (forse Felci); ma non intendiamo di riesumarla per non far nomi di
testimoni ai quali venne meno il coraggio di dire la verità, al solo ricordo
dei flagelli giudiziarii inflitti dal Barone; né, d'altro canto, il
risultato di tale vertenza influisce sulla configurazione periferica del
tenimento.
Questo è nel centro di Basilicata, geologicamente nella Zona Eomiocenica,
che è di conglomerato, marne, arenarie, molasse con lignite, zolfo, gessi
intercalati. Il terreno agrario muta di valle in valle, di collina in
collina, secondo che affiora l'uno o l'altro dei diversi strati. Quanto
diverso il terreno di Gianconte da quello del Sativo di S. Demetrio, nel
colore e nelle sostanze!
Nelle vallate più basse prevalgono i terreni argillosi; mentre quelli che
più salgono verso il blocco roccioso del monte abitato e verso le pendici
del Romito sono misti: calcarei e silicei in prevalenza.
I boschi che si stendevano verso le alture per circa Ea. 1626, quasi per
tutta la conca, ed anche sugli altri versanti, sono stati via via abbattuti
o diradati con tagli, dissodamenti ed incendi, in barba alle leggi
forestali. Il denaro ricavato dalla vendita del legname e dall'esazione dei
fitti, anziché essere destinato a migliorare la produzione e l'industria
locale, è andato ad impigrirsi nelle casse di deposito ed a sfumare chi sa
come. I nostri agricoltori, privi di ogni elementare conoscenza di
agricoltura razionale, increduli e refrattarii ai suggerimenti ed alle prove
di concimazioni chimiche, di sovesci e di rotazioni diverse e più
compensative, poveri di mezzi e di aiuti, si riversarono nei terreni vergini
boscosi per dissodarli e per sfruttare in pochi anni l'humus accumolato
dalla sapiente natura. E, scheggiando gli ultimi ceppi, scavando e spezzando
le ultime radici per alimentare il fuoco domestico, manomettevano e
sterilizzavano i visceri più interni della terra vergine, di Cerere.
E Diana, perduto il favore delle ombre e dei chioschi di fogliame, in cui
nascondeva il libro misterioso di rabeschi lunari, cede al bacio ardente del
sole il seno stanco.
La legna da ardere e il carbone vegetale, meno abbondanti, si fanno più
costosi.
Le acque piovane, senza freno, scorrono e devastano i pendii; l'atmosfera
rimane priva di molti benefici influssi di cui inconsapevolmente si giovava
la nostra vita e la nostra igiene vegetativa.
Di tutta l'estensione territoriale forse i due quinti appena sono
attivamente coltivati con sistemi primordiali a grano, orzo, avena,
granturco, fave, fagioli, lenticchie, piselli, cicerchie, veccia, a vigne.
Le vigne nel 1903 avevano un'estensione complessiva di Ea. 85,30; molte
erano invecchiate e son morte via via, né vengono rinnovate; poche son
quelle giovani e intristiscono, non coltivate con diligenti cure e con
assiduità; mentre la filossera, non prima conosciuta, da un decennio le
insidia inesorabilmente.
Nelle vigne e nei vignali, terreni questi più vicini all'abitato, liberi da
censi e da canoni, coltivati più intensivamente, vi sono alberi da frutto:
meli, peri, susini, melo cotogni, sorbi, ficaie, peschi, mandorli e
albicocchi, qualche gelso e qualche castagno; di alberi da frutto, più radi,
s'incontrano anche nei campi più lontani.
Orti irrigui, sin da tempi remoti, si vedono tra la Grancia e il Vallone
Monaco, verso lo sbocco del vallone stesso e sui fianchi del Basento in
brevi pianure. Pochi questi orti, mentre quelli a secco circondano
l'abitato, si diffondono nella discesa verso il fiume, popolati di mandorli,
che si moltiplicano spontanei e rigogliano e fruttificano in pochi anni.
I castagni, pochissimi, vegetano bene nelle vallate e nei luoghi bassi,
mentre restano nani verso le alture.
Poco in uso sono i prati artificiali.
Gran parte del territorio, più dei tre quinti, è nuda e incolta da molti
anni è utilizzata a solo pascolo.
L'abbandono di alcune zone è giustificato dal moto profondo e dallo
scombussolamento di antiche frane, dette in dialetto calanghe. Le maggiori
sono: quella che scende da Scorziello e prende via via i nomi di Giovannoni
e d'Allegretti; quelle di Bellezza e delle Calanche, propriamente
denominate, le quali si muovono da diversi punti, e, come un gran ventaglio,
dalla Croce della Serra si vanno restringendo sino al Piano del Poeta;
quella della Difesa è di breve corso; quella che dal Bosco Cute,
interrompendosi, si arresta al Cugno di Orlando. Tutte e quattro sono nelle
Facciate di Brindisi.
Altre sono nelle coste di Avigliano, altre tra la masseria di Pecora e di
Pietrantuono ed altre minori più in là nella contrada Gianconte.
Quelle di Franchini, della Varrata, del Romito e di Riccardi si muovono da
molti anni nel Sativo S. Demetrio.
Altre minori si vedono sull'orlo dei boschi di Materi e di Martinelli, altre
nelle Facciate d'Anzi; ma meno accentuate e di progresso più lento, perchè
in luoghi non coltivati e irretiti da molte radici.
A dir poco, le grandi frane con un'estensione complessiva di tomoli 500,
inutilizzano la 76° parte del territorio e costituiscono con l'aggiunzione
dei letti del fiume e dei torrenti la differenza fra l'estensione catastale
soggetta ad imposta quella totale del tenimento.
Crediamo utile a questo punto il prospettare esattamente alcuni dati copiati
dalla «Relazione 1915 della Commissione Censuaria di Basilicata», pubblicata
il 17 ottobre 1908.
Se vogliamo aggiustar fede alle tradizioni orali e scritte, dobbiamo
ritenere che il nostro territorio aveva molte e ricche sorgenti di acqua
potabile. Si sono disperse o disseccate? Piccole polle sono ancora
dappertutto; ma le sorgenti abbondanti, o almeno bastevoli ai bisogni della
contrada, sono poche e a gran distanza fra esse.
La penuria d'acqua che diremo dell'assoluta mancanza? rende inospitale il
luogo nel deserto e ovunque: non si può parlare di vita e d'industrie
agricole.
Nelle facciate di Brindisi e nel versante del Vallone Monaco, sorgono
tuttora: l'acqua di Fittipaldi, quella di Scorziello, quella del Cupolo,
quella di Rimmo, qualcuna del bosco Comunale, di Mariniello, del Ceraso.
Nelle Facciate di Trivigno l'acqua di Carlona: questa e l'altra del Cupolo
già prese e condotte nell'abitato. Più vicine al centro sono le fontane La
Vecchia e la Magagna, a cui molte famiglie, tornando dai campi, attingono
acqua da bere; mentre sembravano abbandonate dal 1901: anno di costruzione
della nuova fontana pubblica in prossimità della cappella di S. Vincenzo.
Nel bosco Materi non mancano sorgenti abbondanti e salubri; l'acqua della
Grancia sgorga sempre copiosa. Nelle facciate d'Anzi, é più nelle estese
contrade di Gianconte e di S. Demetrio, l'acqua manca e la mancanza le
rende, specialmente le due ultime, poco o punto abitabili. In vero, da molti
anni non vi si vede sorgere una casa calonica.
La proprietà rustica in gran parte è dello Stato: per gli antichi diritti
demaniali sul Sativo S. Demetrio, per gli acquisti recenti fatti dagli eredi
di Francesco Paolo Materi e dagli eredi di Giuseppe Fittipaldi, e pare che
sia in corso altro contratto di acquisto della proprietà Martinelli. Parte
dell'antico feudo di Battaglia è gravato di canone e simili gravami sono
sulle quote dell'antico bosco Cute a favore del Comune.
I nostri agricoltori sono veri ed assoluti padroni di una parte piccola di
tutto il territorio e ad essa più si affezionano e si uniscono per la vita
et ultra.
I FABBRICATI, tutti 328, compresi quelli del centro, son classificati rurali
ed esenti, da imposte.
Il Comune non ha borgate o frazioni vere e proprie, ma alcuni notevoli
casamenti colonici, come la GRANCIA e il CASONE MATERI, che hanno in
prossimità altre case e capanne, ove abitualmente vivono alcune famiglie di
agricoltori. Sono sparsi a considerevole distanza, data l'ampiezza del
territorio, una sessantina di modesti e rozzi abituri: di essi una
quarantina sono dette masserie, costituite di pochi vani, abitate quasi
sempre, dove si raccolgono e custodiscono scorte di foraggi, di sementi ed
animali, ove si curano piccole industrie suine, ovine, equine, di api e di
polli: sono più frequentate nei periodi di lavorazione, di semina e di
raccolto.
COMUNICAZIONI Vie mulattiere e sentieri vicinali, impraticabili d'inverno,
formano una rada e logora rete di comunicazioni: logora, perchè interrotta
spesso da frane e da avvallamenti, anche nei brevi tratti più battuti fra il
nostro e i paesi vicini, con i quali è stato sempre ed è più attivo lo
scambio di prodotti e il commercio. A questo punto non sarà superfluo
riportare le distanze delle strade mulattiere:
Brindisi Trivigno Km. 6.000
Vaglio 7.400
Albano 11.110
Tolve 13.000
Cancellare 15.600
Potenza 16.600
Pignola 17.800
Campomaggiore 18.000
S. Chirico Nuovo 20.000
Laurenzana 21.610
Acerenza 21.800
Palmira 24.970
Abriola 25.100
Calvello 25.110
La strada rotabile nazionale Appulo Lucana (n. 55) rimane distante da
Brindisi circa 6 Km, cioè dal punto più prossimo: il Casino De Bonis.
La strada provinciale Potenza Pignola Abriola Anzi Trivigno, con diramazione
per Calvello e Laurenzana passa pel bosco di Anzi; è lontana circa 9
chilometri.
La Ferrovia Napoli Potenza Metaponto attraversa il nostro territorio, in
contrada Gianconte, per circa tre chilometri: dal ponte Basento al ponte S.
Giovanni.
Lo scalo di ferrovia è sulla sinistra del fiume, nella contrada Serra del
Ponte e nel territorio di Tricarico: territorialità che porta incresciosi
inconvenienti negli effetti di competenza giurisdizionale.
Lo scalo dista dall'abitato Km. 6 per via rotabile (non ancora completa);
dista da quello di Vaglio Km. 9, da quello di Potenza Km. 17, da quello di
Trivigno Km. 5, da quello di Albano Km. 8, da quello di Campomaggiore Km.
15.
IL CLIMA è mite, variabile in autunno e in primavera. Nei verni rigidi la
temperatura scende non più di uno o due gradi sotto zero; le nevi
raggiungono l'altezza di 50 centimetri ed anche d'un metro e più sui monti,
ove durano una settimana o due; ma nei luoghi bassi; nelle vallate del fiume
e dei torrenti, si sciolgono in poche ore di sole. D'està, nei giorni piú
caldi di luglio, la temperatura raramente sorpassa i 34 gradi nelle
vicinanze del fiume.
In autunno e in primavera dominano i venti sciroccali ed occidentali o
salernitani, come denominati i secondi dai nostri contadini, e nell'inverno
quelli boreali secchi e rigidi che a volta agghiacciano i corsi d'acqua e
rendono difficile la rottura del terreno con l'aratro a chiodo e con la
zappa.
Le abbondanti nevicate, una volta immancabili ed a scadenze direi fisse, nel
dicembre e nel gennaio, erano financo attese con piacere per l'ammazzamento
dei maiali e la lavorazione delle loro carni: e non erano escluse quelle
estemporanee, in aprile e in maggio. Ma le nevicate a grande stile da molto
tempo in qua scendono a giro incostante di anni.
Il rigore invernale dovrebbe essere invece accentuato dal disboschimento,
che dà maggiore libertà all'irradiamento del calore nella parte denudata di
crosta terrestre.
I nostri vecchi contadini ripetono convinti che le stagioni sono cambiate;
vogliono dire che, i fenomeni attuali non rispondono più al nome ed al corso
delle stagioni. Questo convincimento è risultato di ripetute osservazioni e
comparazioni e non fa una grinza.
LE PRODUZIONI VEGETALI e LE ARMENTIZIE molto dipendono da tali fenomeni
fisici e fattori ciechi.
Un'agricoltura con sistemi razionali non è conosciuta, né potrebbe essere
praticata con molto profitto: è empirica e viene spesso contrariata da
gelate primaverili, da piogge o da siccità prolungate nel periodo della
fioritura e da venti impetuosi nel periodo della maturazione. Ricordiamo
gelate e nevicate d'aprile che hanno fatto seccare financo alberi di ulivo,
adulti e robusti.
LE ROTAZIONI AGRARIE da noi praticate sono biennali nelle prime due classi
di terreno, in quelle più feraci ; mentre sono triennali, con un anno di
riposo, nei terreni di terza e di quarta classe: meno produttivi.
Le rotazioni si susseguono quasi sempre con le seguenti colture: nel primo
anno di grano duro (siciliano); nel secondo anno di grano duro, o per lo più
misto; nel terzo anno di grano tenero (bianco), o per lo più di avena, di
granturco, di legumi o di patate, o di maggese cruda, o di riposo assoluto.
L'ALLEVAMENTO DEL BESTIAME, per quanto ci stia a cuore, è anch'esso
praticato con sistemi empirici, pedissequi di antiche consuetudini nella
tenuta delle stalle e degli ovili; cosicché le cure preventive e
profilattiche, tanto raccomandate da tecnici, incontrano diffidenza ed
incredulità.
L'allevamento di animali suini e caprini una volta così esteso, favorito da
molte boscaglie, è ridotto a piccoli tentativi; anche quello vaccino ed
equino è molto limitato.
Una volta nelle fitte boscaglie e nelle fratte di reconditi avvallamenti le
famiglie di cervi, di cignali, di tassi (chiamati da noi melogne), di
istrici, di volpi, di faine, di martore, di ghiri, di gatti selvatici di
notevole sviluppo e fierezza, e di lepri, si moltiplicavano; e sulle pendici
del Romito e nei dirupi intorno all'abitato, nelle pietrose coste di Fonzo e
in quelle di Ciavarieddo, tra le folte ginestre della Tempa e le crepe e i
monticelli delle Calanche, le pernici reali e le starne (pernix cinerea) si
chiamavano ciangottando all'adunata del tramonto.
Le partite venatorie dei principi, dei duchi e dei baroni, clamorose di
corni e di canee, come le allegre caccerelle di appassionati e devoti
seguaci di Nembrod, avevano un ritorno in trofei di selvaggina sui basti e
nelle carniere rigonfie, che in orgogliosa mostra lasciavan sfuggire zampe e
orecchi e ali e code.
Dei cervi si è perduto da qualche secolo il ricordo. Distrutti alcuni boschi
e altri sfoltiti o dissodati, si erano dileguati i cignali; ma son tornati e
si son moltiplicati col crescere di giovani boscaglie. Le martore, le faine
e i ghiri, non trovando nascondigli nei cavi di vecchi alberi, si saranno
allontanati nei boschi vicini, e nel nostro territorio non hanno più
prolificato: insomma, si trovano raramente e difficilmente.
Le lontre vivono ancora nelle scogliere sulle sponde del fiume.
Il tasso è rimasto e si è ridotto nelle fenditure profonde delle rocce, ove
vive al sicuro; neppure i segugi o i bracchi più ammaestrati riescono a
scovarlo. Vive nella stessa tana da buon camerata l'istrice, ma è molto raro
e in realtà non è conosciuto dai nostri campagnoli: attesto la esistenza di
esso tra ì blocchi enormi di Borges e quelli delle Grotte, perchè vi ho
osservato le orme nella neve.
Anche le lepri si contavano tempo fa sulla punta delle dita dei pastori, e
dico dei pastori, che sono stati in ogni tempo le spie più spietate di quei
timidi roditori. Delle pernici reali si era anche perduto il ricordo; ma
queste graziose bestiole son tornate fra noi.
E con la visione di S. Uberto, che è sempre viva nella mia passione e nei
miei sogni (la realtà mi si allontana vieppiù con gli anni e con le ragioni
di ufficio), esorto i giovani dilettanti ed impazienti a rispettare la
selvaggina nei periodi di divieto. Tale rispetto serberà loro la più grande
fra le emozioni, riposta nell'attimo d'un colpo secco ben diretto:
certamente non di musica sentimentale per i tolstoiani né per gli zoofili
paralitici.
PRODOTTI PRINCIPALI DI ESPORTAZIONE sono: grani misti; legnami di quercia e
di cerro, e fino a trenta anni addietro anche legnami di farnia e di noce;
carbone vegetale; lana e formaggio pecorino e pelli.
Nel 1921 furono requisiti 800 quintali di grano e ne furono offerti altri
1000. La produzione granaria si può calcolare a poco più di 2000 quintali.
Nelle annate più recenti di abbondanza tale cifra è stata di molto superata.
I nostri grani misti, per qualità e peso specifico, e i nostri formaggi
pecorini, particolarmente quelli della Serra del Ponte e del Sativo S.
Demetrio, per aroma e sapore, sorto molto pregiati.
IMPORTAZIONI S'importano generi alimentari: maccheroni, riso, conserve,
salumi, cioè, pesci salati; olii vegetali e minerali; vino e liquori; generi
di tessuti e cuoiami; saponi, ferro, calce, legnami di abete, di pino, di
castagno; molti oggetti manufatti, di argilla, di ferro, di rame, di stagno,
di zinco e di nichelio; monili di oro e di argento, però va scemando con
l'acquisto l'uso.
LAVORAZIONE DI MATERIE PRIME è completamente scomparsa; non rimane che
quella della pietra arenaria azzurrognola per muratura.
Non una sola massaia fila o tesse più la lana, il lino, il cotone.
Una volta vi era nella casa Tre Santi una modesta fabbrica di sapone niuno
ha mai pensato a ripristinarla. Eppure sarebbe remunerativa.
Nei mestieri si nota scarsa attività: rimangono ancora abbastanza redditizii
quelli di macellaio, di bettoliere, di muratore, di scarpellino, di
calzolaio, di sarto, di fabbro, di ramaio e di stagnino.
Per i bisogni del paese mancano: un barilaio, un cappellaio; un tintore, un
parrucchiere, un salumaio.
Niun MERCATO SETTIMANALE niuna FIERA ANNUALE, si svolge localmente.
Ricorreva e si celebrava una volta la fiera del Rosario, nella prima
domenica di ottobre: ora è nei soli ricordi.
Come pel passato, le fiere più frequentate da noi sono quelle di Gravina, di
Irsina, di Tolve, di Potenza, di Anzi, di Trivigno e di Laurenzana, per
acquisti e vendite di animali.
I grani, le lane, le pelli, i formaggi, i prosciutti, le uova, i polli e le
frutta, nelle buone annate, sono incettati e portati sulle piazze di
Potenza, di Torre Annunziata, di Napoli, di Taranto, di Lecce, di Bari e di
Roma.
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NOTE
1) Leggere l'opuscolo; «Gli stemmi della
Provincia e dei comuni di Basilicata 1884»
2) Ogni tomolo è di are 41,15.
3) Vedere la pianta topografica in fine del libro.
33) E un veicolo che precede la scoperta della ruota.
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