I N T E R M E Z Z O
Viene stipulato un
trattato di pace tra il popolo e gli aristocratici di Assisi,
alleati dei Perugini. A seguito di questa alleanza, che ha il fine
di rinsaldare la Repubblica, Francesco, Ubaldo e altri suoi compagni
di prigionia sono lasciati liberi di ritornare nella loro città.
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FRANCESCO |
Godiamo, amici, troppo abbiamo patito; non
abbiano termine feste e divertimenti e per noi liuti e manicordi
intonino melodie, ci invitino alle danze e i nostri conviti siano
allietati da prospere donzelle e generose. Dimentichiamo i soprusi,
le ingiurie, i torti, per noi torni il piacere della libertà e la
gioia. Non abbia limiti il godimento; né qualcuno osi, incauto,
ricordarci le brutture della cella, il diffuso, disgustoso lezzo e
la sua angustia. Voglio compensare il tempo ormai perduto e nessuno
fermi i miei propositi di spillare al padre quanto più denaro posso,
per appagare la mia sete di piacere, quasi un inno alla vita.
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GADDO |
Un coro di osanna si leva dal gruppo verso
Francesco, il mecenate che promette di sollevare gli umori dei suoi
compagni di prigionia e di quelli che, come me, memori delle passate
sregolatezze, gli fanno corona notti e giorni.
Il suo ritorno è segnato da bagordi d’insolita allegrezza; da liete
scorribande e serenate sotto ai veroni di fanciulle di preziosa
bellezza. |
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UBALDO |
Così Francesco smorza il rimpianto dei sogni
giovanili di ardimento, quando immaginava di comparare le imprese
degli antichi cavalieri di Re Artù o dei favolosi paladini di Carlo
Magno. Aveva sognato fama e gloria, invece è reduce da una sconfitta
devastante; da forti delusioni e smarrimento che gli hanno bucato il
cuore e confuso la mente.
In quella cella ripugnante è morta la nostra audacia, non ci rimane
che godere ogni attimo di vita con lo slancio di chi ha corso il
rischio di perderla. |
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Una grave malattia
spezza la catena delle sconcezze, dei festini, dei balli, dei
banchetti protratti fino a tarda ora, quando tutta la città dorme e
solo le cagne in cerca di cibo vagano ululando nei vicoli stretti
dei quartieri. Francesco è colpito in piena floridezza da un male
oscuro ai medici del tempo. |
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UBALDO |
Egli giace in un’inerzia morbosa perduto ai
giorni, dalle albe ai tramonti. Monna Pica, solerte madre in
affanno, lo assiste; gli bagna la fronte con candidi panni di lino;
lo disseta; lo veglia e prega per la sua salvezza il Signore, di cui
e innamorata. Gli parla di perdono, di angeli, di arcangeli e di
Maria Salvatrice. |
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CORO |
L’anima di Francesco è lacerata, piena di crepe
che la attraversano a destra e a manca; la squarciano, la feriscono.
E la notte del terrore spasmodico, incorporeo, frutto della
coscienza del peccato: la notte della confessione e del pentimento.
Un tormento indescrivibile lo agita; suda, vaneggia; con gli occhi
sbarrati insegue visioni. Sconvolto si aggrappa alletto e piange
desolato, finché sorgenti luminose consolano il buio dell’anima, lo
disperdono e disegnano una bianca ragnatela. È la grazia che irrompe
e rigenera, annulla la pena, ricompone, lenisce le ferite; e come
balsamo dà vita e conforta ad un nuovo cammino. |
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Francesco è folgorato da apparizioni mirabili di
cielo e da lampi che lo atterriscono di luce, lo avvincono alla loro
meraviglia ed egli si sente circonfuso da violento bagliore. "Che è
mai questo?" si chiede sgomento. E le voci, i richiami del Signore,
che nell’oscurità del carcere lo avevano ossessionato, e di cui per
giorni aveva temuto il risveglio, finalmente in sostanza d’angeli,
gli rispondono. |
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ANGELI |
Francesco, è ormai inutile la difesa. Dio è alla
tua porta. Quella indistinta sensazione di caducità e di
scontentezza che ha spesso invaso le tue ore, smorzando nel pieno il
tuo piacere, è segno della sua presenza, ancora ignota a te nel suo
potere.
Non temere; la tua anima, persa al verbo del Vangelo, s’avvia a fatica
verso la grazia.
Tu soffri perché ancora non riesci a donarti completamente
all’incontro col Padre celeste; affidati a Lui, abbandonati alla sua
misericordia. Restano ancora angoli oscuri nella tua coscienza; il
peccato con le sue lusinghe ancora resiste, ancora tende le sue
insidie.
Sii forte e si apriranno a te le porte del Paradiso. |
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CORO |
Come quando, mentre s’abbatte sul mare la
tempesta e i flutti si levano alti, scuri minacciosi sotto un cielo
di nuvole nere, una nave è in loro balia e nulla può il timoniere
per tenerla a dritta ed essa sbilenca beccheggia, pende, s’innalza
cade, poi, risale sulla cresta dell’onde. I marinai invano
raccolgono le vele perché il vento non la spinga più forte;
impotenti a domare il potere della natura si affidano taciti alla
preghiera e aspettano. Dopo ore di angoscia cala il vento, torna il
silenzio dopo tanto fragore; essi, allora, timorosi s’affacciano sul
ponte disastrato e una quiete benefica li sorprende e rincora. Così,
finita l’aspra lotta tra le avverse forze, quando sembrava che tutto
fosse perduto e la morte legasse Francesco a se coi suoi orridi
lacci, una letizia soave lo avvolge; lo conquista; allenta i muscoli
tesi nel contrasto ed egli piano affiora dal fondo. |
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MONNA PICA |
Finalmente dorme dopo giorni di furia. Anche la
febbre è scomparsa: è deperito, ma nutro la speranza che la sua
giovinezza lo aiuti a riprendersi al più presto.
Che tutta la famiglia e i servi, le fantesche, gli amici si rallegrino
e godano perché Francesco, grazie alla Vergine Maria, è guarito.
Figlio mio prediletto, fiore del mio grembo, dolce frutto d’amore,
luce dei miei occhi, conforto e diporto della mia esistenza, sterile
senza di te.
Fiori profumati allietino le stanze e tutta la casa e un bel fuoco
vivo splenda nel camino dove la legna crepitante illumini di
scintille la sua bocca nera. Lieto giorno è questo, pieno di attese.
Francesco, il mio giovane figlio, che stava, ahimè!, per lasciarci,
è tornato a noi. |
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Monna Pica si
inginocchia e prega ardentemente di fronte a un‘icona della Madonna
che Pietro di Bernardone aveva portato da un suo viaggio d’affari in
Oriente. |
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MONNA PICA |
Madre mia, Madonna del cammino, Signora del
cielo tra i Santi venerata, dal tuo trono altissimo sei discesa e in
soccorso di Francesco sei venuta. Non hai permesso che nel fiore
degli anni abbandonasse gli affetti terreni ne hai permesso che
patissi il dolore che tu patisti quando il giovane Gesù spirò
inchiodato sulla croce, snodato straziato, ferito tutto lacrime e
sangue. Potente d’intercessione, forte di cielo e di santità
soffristi lo strazio umano perché quella era la volontà del Padre
per la salvezza dei suoi figli sulla terra. Ti dedico la mia vita e
i miei pensieri, mi hai ridato un figlio che era perduto ed ora la
gioia è tornata nel mio cuore.
Ti offro le viole che cosparse di rugiada sbocciano a marzo tra l’erba
rigogliosa, le primule che liete portano la primavera, le rose
disciolte a grappolo lungo le siepi, il colore del cielo di un
tramonto infocato e il colore perla delle conchiglie marine. Le
stelle luminose di una notte incantata, il ciclamino che sbuca dalla
candida neve, l’abete che svetta maestoso coi suoi rami: geometriche
linee perfette in aria sospese. Offro a Te tutte le cose più belle
del creato. Madre cara, coprici d’azzurro col tuo manto; sia esso il
rifugio dalle asprezze della vita. |
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