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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

U Sattore - L’Esattore

Era una importante personalità nella società rurale di S. Arcangelo in quanto esigeva le tasse che un tempo si pagavano tramite le esattorie; l’importanza che rivestiva era anche legata al fatto che era uno dei membri della commissione che giudicava la iscrizione o meno nell’elenco dei poveri delle persone che per il basso reddito potevano ottenere l’assistenza medica gratuita da parte del medico condotto.
Giuseppe Panio era l’esattore di S. Arcangelo ed aveva sposato Giovanna Amorosi di Stigliano, la quale era una abile cuoca specie nel preparare i dolci. La coppia era senza figli, ma la loro casa era riempita dalla prole dei numerosi amici.
Abitavano in una bella ed antica casa (l’unica che aveva all’interno una cappella privata) ed era situata lungo il corso principale del paese; era una grande festa quando andavamo a visitare zia Giovannina, dal momento che a noi bambini durante quelle ore tutto era permesso.
Erano proprietari di una masseria al Monte Cellese vicina a quella di nostra proprietà, che all’inizio dell’estate raggiungevano per mezzo di
un traino di Pasquale Spani identificato con il soprannome di “Tamasche”, in quanto a quei tempi era l’unico mezzo di trasporto disponibile.
Generalmente decidevano di recarsi al Monte (come facevano la maggior parte delle famiglie) alla chiusura delle scuole, cioè da Giugno a Settembre, ed il viaggio avveniva a bordo di un capiente traino equipaggiato con sedie che permettevano alle persone di compiere il viaggio in comodità, dal momento che si dovevano percorrere 10 chilometri per i quali si impiegavano da 4 a 5 ore. Dato che la coppia dei coniugi era in notevole sovrappeso bisognava in paese trovare un posto idoneo a favorire la salita sul mezzo di trasporto; lo stesso doveva avvenire all’arrivo.
Il viaggio passava in fretta, dal momento che le persone che accompagnavano la coppia, oltre la cameriera, parlavano durante il viaggio delle novità del paese
C’era un posto ben preciso all’arrivo nella masseria dove sarebbero dovuti scendere dal traino zia Giovannina e zio Peppino; era chiamato il poggio e serviva per questo scopo. Nelle serate molto calde sul poggio si incanalava l’aria che al tramonto rendeva il posto ventilato, l’ideale per coloro che soffrivano il caldo.
La casa di abitazione nella masseria era formata da tre stanze ed era illuminata di sera da gas metano e aveva tutti i confort che una casa di campagna degli anni 50/60 poteva permettersi. L’acqua da bere era fornita da un pozzo poco distante, mentre l’acqua per la pulizia degli ambienti e per la biancheria era fornita da una cisterna situata nella corte della masseria. Infatti l’agglomerato dei fabbricati allora esistenti (attualmente diroccati in quanto un incendio ha distrutto gli edifici che sono stati abbattuti), era di due proprietari, Panio e Castronuovo, questi erano contigui e si servivano di una corte in comune.
La masseria Castronuovo di proprietà del Prof Giovanni Castronuovo, eminente clinico medico dell’Università di Napoli, era stata fornita, anche se per breve tempo, di acqua corrente, in quanto veniva prelevata dalla sorgente Conca, situata nel fosso omonimo e, con una potente pompa attraverso una conduttura costruita con tubi di eternit, portata alla masseria. Questo avveniva negli anni 40 quando il professore veniva a villeggiare a S. Arcangelo ma l’esperimento durò una sola stagione in quanto l’enorme pressione che esercitava la pompa mandava spesso in frantumi i tubi, per cui la poca acqua della sorgente si disperdeva per i campi.
Negli anni 50/60 per la vicinanza le masserie che erano di Castronuovo, di Panio, di Molfese, la mia famiglia, di Scardaccione, Avv. Francesco (chiamata il Casino), e del Prof. Decio Scardaccione (chiamata Palermo) formavano una comunità molto affiatata, sia per il gran numero di persone residenti in campagna e sia per l’amicizia che dimostravano fra loro nelle grandi e nelle piccole necessità.
Questo mutuo aiutarsi a vicenda raggiunse l’apice quando nella zona del Monte era presente un “brigante” del luogo, ch,e datosi alla macchia, taglieggiava i proprietari per procurarsi cibo e generi di prima necessità. Fu in quella occasione che la coesione dei vari nuclei delle masserie consigliò al fuoriuscito di cambiare aria.
Alla morte della moglie l’esattore non volle più dormire nella camera da letto e si ricavò un angolo appartato nella capiente sala d’ingresso, con un letto ed un tavolino, dove aveva posato un giradischi con un solo disco, l’Ave Maria di Schubert, che avrebbe dovuto accompagnare la sua dipartita. Data la solitudine avrebbe voluto in un momento molto importante ascoltare una voce che lo avrebbe aiutato nel trapasso. Non conosco se ciò è avvenuto secondo i suoi desideri, dal momento che altre sue volontà, per quanto riguarda la proprietà, sono state completamente disattese.

 

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