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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

Adacquatura - Irrigazione degli orti

Era questa una operazione che iniziava nella primavera, ma diventava impellente nell’estate; consisteva nel prelevare acqua dalle condotte scavate nel terreno che costeggiavano i giardini ed innaffiare di sovente le pianticelle di differenti ortaggi, che alcuni mesi prima erano state piantate. I fossi, scavati nel terreno, che portavano acqua, chiamati acquare, erano soggetti a frequenti smottamenti, per cui era necessario sovente la mano dell’uomo. In questi canali era facile trovare gamberi di acqua dolce meglio conosciuti come Astacus Astacus. Infatti i giardini di S. Arcangelo, famosi per le pesche, o perecuoche, pu pizzele ed i fichi, o fiche, ma anche per gli ortaggi, erano irrigati con acqua prelevata dal fiume nei pressi del ponte Agri, capolevata, e diramata per tutto il comprensorio attraverso i canali scavati nel terreno; erano simili al sistema vascolare dell’uomo, una vera e propria rete che permetteva alle coltivazioni di ricevere l’acqua necessaria alla loro crescita.
Era imperativo per l’ortolano del mio paese programmare per tempo l’epoca della semina, ma specie dell’adacquatura. Tutto quanto viene riportato l’ho appreso dai racconti che da bambino ascoltavo dalle testimonianze di zio Andrea mannarone, zio Eugenio martella o più recentemente da Salvatore ed Andrea. Il nostro orto si trovava alla Fontana di Acciaio, topograficamente situato alla fine della rete irrigua, per cui riuscire ad avere acqua nei periodi nei quali più necessitava, era una impresa veramente sovrumana. Anche se venivano stabiliti dei turni ben precisi, che gli allora vigili campestri facevano faticosamente rispettare, vi era sempre qualcuno che, trascurando le regole, rompeva gli argini e prelevava per intero l’acqua che scorreva nei canali. Altra operazione che veniva programmata era la pulitura dei canali, che il comune con la supervisione dei vigili campestri riusciva a realizzare; vi era un vigile campestre, Manolio, il quale con il fucile da caccia in spalla e vistosi baffi dirigeva i lavori di pulitura dei canali, che il terreno franando tendeva ad ostruire.
Questi, profondi anche un metro e mezzo, portavano centinaia di litri di acqua, dal momento che in prossimità della presa dalla corrente del fiume la velocità di scorrimento dell’acqua era abbastanza elevata; naturalmente se i prelievi erano tanti la portata diminuiva e gli ultimi giardini, come era il nostro, facevano difficoltà a riceverla.
Generalmente si operava la notte, in quanto erano pochi quelli che preferivano dormire piuttosto che pensare ad innaffiare il giardino.
Il conduttore del giardino, chiamato in dialetto u parziunale, armato di zappa iniziava a risalire l’acquare, per essere certo che, ad una determinata ora della notte stabilita con gli altri campagnoli, non fossero aperte delle bocche lungo il percorso, per cui l’acqua doveva giungere in quantità sufficiente ai luoghi posti nella parte più meridionale dell’impianto.
Vi erano spesso bisticci anche violenti, dal momento che qualcuno non rispettava i patti e voleva a suo piacimento prelevare il prezioso alimento per le piante ortive in rapida crescita.
Generalmente gli orti erano di piccole dimensioni, per cui il prelievo d’acqua necessario ad irrigarli era limitato, non così per il nostro orto, per innaffiare il quale, con oltre due tomoli di superficie, necessitavano da quattro a cinque ore di acqua a tutta cannella.
La luna piena che illuminava la notte d’estate aiutava l’operatore che, quando doveva operare una chiusura o un’apertura del canale, si toglieva le scarpe, le calze ed anche i pantaloni, entrava nel canale pieno d’acqua e con la zappa compiva l’operazione che ripeteva più volte.
Era un lavoro che necessitava pazienza e tanto buon senso, dal momento che i litigi erano frequenti e spesso si giungeva perfino alle mani.
Nella stagione adatta molte anguille potevano prendere la via degli orti e finivano poi nel tegame del contadino, che, quando regolava il governo dell’acqua sul terreno, si accorgeva del regalo che l’acqua del fiume gli aveva portato.
Altra leccornia che poteva capitare erano i gamberi di fiume, anche quelli scomparsi, dal momento che i canali interrati sono stati prima sostituiti da canali di cemento e poi da tubi sotterranei, che fuoriescono in determinati punti dei giardini (bocche di presa) e permettono con sicurezza ed a volontà di prelevare acqua al bisogno.
Ricordo che una sera dopo aver raccolto la frutta, mentre con mia madre e Rosa, la nostra colf, ci apprestavamo a rientrare in paese, zio Eugenio mi dette un cartoccio con all’interno qualcosa che si agitava; mi tranquillizzò dicendomi che erano due anguille che invece della strada del fiume avevano preso la strada del giardino per essere gustate fritte. Mi disse in dialetto: purtalle a lu patrune accussì o prove pure ille (portale al padrone cosi le può gustare anche lui). Il padrone in questione era mio padre, il quale avrebbe ricambiato il dono con una buona bottiglia di vino, che u parziunale avrebbe consumato con il provvidenziale pesce che l’acquare gli aveva portato.

 

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