Elisia
e
la scatola del tempo

Parte terza:

 

Tu non chiedere

l’esito dei miei, dei tuoi giorni, Leuconoe

- è un segreto sopra di noi -

e non tentare calcoli astrusi.

E’ meglio, ascoltami, qualunque cosa sarà, patirla.

Forse Iddio ci serba molte stagioni ancora,

o forse l’ultimo è questo inverno

che ora le onde del Tirreno riconduce a battere

contro scogli di corrosa pomice: tu sii saggia.

Versa il vino e chiudi in questo cerchio la lunga

tua speranza.

Anche le parole che ora diciamo

il tempo nella sua rapina ha già portato via

e nulla torna.

Godi questo giorno

non credere al giorno che verrà.

 

 

In fondo ad ogni strada vi è sempre un nuovo tracciato; era certo questa una verità inconfutabile, eppure com‘era difficile e doloroso adesso abbandonare quel sentiero ed intraprenderne di nuovi.

Avrebbe ceduto volentieri ogni suo avere, di buon grado avrebbe dato in cambio ogni velleità ed ogni suo progetto di libertà se solo fosse servito a fargli tornare immutato quell‘ultimo periodo della sua vita.

 

Ciò malgrado e ben sapendo quanto irrazionale ed irrealizzabile fosse quel suo pensare, in seguito a quegli eventi l’uomo sentì di doversi apprestare a quella nuova partenza che certo ora non percepiva più indispensabile ed importante come qualche tempo prima.

 

Così per giorni si preparò mentalmente a quegli addii, puntualmente ripercorse strade e luoghi a lui cari: il Caffè, il Teatro, il piccolo giardino e la villa di Edith così tristemente malinconica con le imposte serrate; ed ogni volta, pur in apparenza pronto ad andare, sembrò tornare sui suoi passi e rimandare il tutto all‘indomani.

Con il passare del tempo sempre più sentiva di doversi ricredere anche su quanti gli restavano intorno ed aveva guardato con distacco finora e su quei loro comportamenti che non molto tempo prima, nel suo profondo, avrebbe considerato infantili; quegli stessi modi di pensare ed atteggiarsi nei riguardi della vita che in un passato non remoto più d’una volta aveva schernito e deriso con superiorità e che oggi parevano così simili ai suoi stessi atteggiamenti.

Stranamente però a questo suo ricredersi non corrispondeva un positivo riscontro da parte degli altri che, anzi, sembravano, pur senza premeditazione, evitarlo e scansarlo il più possibile.

 

Il suo viso s era abbruttito, i suoi gesti divenuti scialbi ed insicuri ed i suoi occhi spenti e privi di vivacità nulla conservavano dell‘antica luce e tutto questo pareva così visibile, così leggibile agli altri che ne avvertivano quasi un senso di fastidio spesso trasformato in una, ancor peggio, superba pietà.

 

Forse tutto ciò era vero o forse era solo il frutto della sua immaginazione;fatto sta che quanto più cercasse gli altri tanto più questi sembravano sfuggirgli.

Solo Andrzej e quei suoi amici parevano assecondarlo ed essere gli stessi di sempre, loro che conoscevano la sua arte e che ben ricordavano lo scintillìo dei suoi occhi e fin dove s‘era spinta la sua anima, oggi tornata sotto quelle misere spoglie.

Andrzej più di ogni altro sembrava soffrire per quella situazione e, tra lasciando molte volte anche i suoi impegni, continuava a re stargli vicino con la speranza, mai palesata così come gli imponeva il suo carattere, di arrestare quel vertiginoso e fin troppo chiaro ed evidente declino.

In più occasioni avrebbe voluto ribellarsi e più d’una volta s‘era sentito infuocato da un impulso che lo spingeva a controbattere o addirittura ad accanirsi e schiaffeggiare quanti parevano assurgere a “grandi uomini” dinanzi alle difficoltà di quel suo amico che fino a non molto tempo prima avrebbero riverito e voluto emulare e che ora invece mal compativano e sopportavano, eppure preferì e si sforzò sempre di reprimere quei suoi istinti, consapevole e preoccupato di ferirne la suscettibilità e l‘orgoglio che già sapeva così duramente provato.

Nonostante questi suoi sforzi però, una sera, disubbidendo al suo stesso istinto ed indispettito dall‘atteggiamento dell‘altro che continuava ad eludere ogni suo tentativo di dialogo, si impose di affrontare quella discussione e lo fece in modo diretto, senza troppi preamboli e quasi rude:

«Dunque è già finito il tuo volo... ? Non più falco, non più airone ma aquilone lasciato libero alle bizze delle correnti e del vento.

Era qui che doveva condurti il tuo viaggio, questo ti sforzavi di essere e divenire, mio novello Icaro ?»

«Lascia stare amico mio...non parlarmi di venti e correnti, non parlarmi di falchi e di aironi. Ti prego non parlarmi di aquiloni o altro. Non siamo destinati a volare ma a camminare ed i nostri piedi come ogni altra parte di noi è bene che restino ben saldi su questa terra» ribadì l’uomo, stupito ed alquanto contrariato dal tono di Andrzej.

«Dio... Dio mio come sei cambiato. Cosa ti è successo, quale sventura ti ha colpito e dov’è finito l’uomo che vidi entrare e riconobbi come mio fratello in quel Caffè...»

«Forse è morto o forse non è mai esistito se non nella tua mente. Pensa è da qualche tempo ormai che faccio un sogno ricorrente: sogno un grosso contenitore ed una mano enorme che provvede sapientemente e con cura a riempirlo.

Dapprima con alberi che in quel palmo stretti paiono minuscoli fuscelli, poi, man mano, con pietre che diventano rocce e montagne, con acqua che s‘avvia in un corso e diventa torrente, fiume e mare e poi ancora con animali strani e mai visti che velocemente si trasformano ed in una rapida evoluzione divengono cavalli, cani, uccelli, fai falle ed altro ancora mentre alcuni di loro si tramutano in uomini e donne, prima bambini festosi e saltellanti ed un attimo dopo stanchi e curvi vecchi.

Estasiato osservo come dall‘alto quel contenitore ed in breve ogni cosa sembra andare al suo posto in conseguenza a ciò che l‘ha preceduta:

gli alberi radicarsi sul terreno più fertile, l‘acqua incunearsi e scendere a valle tra facili insenature, animali ed uomini posizionarsi in comodi cantucci con l‘intento di evitare eventuali pericoli.

Tutto per un attimo pare perfetto così banalmente chiuso in semplice cerchio: un lupo mangia un agnello, un fiore perisce e su i suoi resti rigenera un nuovo germoglio, il male si contrappone al bene e viceversa, il bello al brutto ed al di sopra di tutto la morte che, vigile, salva guarda e sfocia la vita a nuova vita ; eppure, in breve, questa perfezione si frantuma in mille rivoli e da quell‘estasi il mio stato passa ad un‘agitazione profonda e terrificante.

Nel riportare lo sguardo su quell’immagine tutto mi appare invariato, la scena sopra descritta pare ripetersi, semplicemente alcuni uomini dopo essersi staccati dalla massa sembrano aggrapparsi alle pareti di quel contenitore per guadagnarne i bordi e vedere cosa c’è oltre.

A questo punto del sogno puntualmente mi sveglio ed in un bagno di sudore un unico dubbio mi pervade ed occupa la mente:

Chi fa e vive meglio in quel contenitore; quelli che cercano di sfrutta me il contenuto o quelli,

aggrappati alle sue pareti che si sforzano di capire quali oscuri motivi hanno mosso quella mano?

Cosa cerchiamo al di là di quei bordi... cosa speriamo di trovare ed a cosa ci servirà tutto questo, mio affezionato compagno ?»

« Vuoi diventare uno di quelli... ? — lo riprese Andrzej indicando due uomini appena più in là che sembravano discutere animatamente fra loro

Pensi forse che non patiscano le stesse tue sofferenze e per ben più futili ed insignificanti motivi».

«Certo che no, certo che non lo penso. Semplicemente ho l‘impressione che più di me essi vivano»

«Per il semplice fatto di non cercare e di restare immobili ed incapaci di alzare lo sguardo» «Già : forse proprio per questo semplice fatto» «Ed è per questo che ti sforzi di uniformarti ed assomiglia re quanto più a loro...

Ma non t’accorgi di quanto sono miseri? non vedi quanto insignificante sia quel loro attaccamento a cose futili e passeggere, quel loro lottare per ottenere cose che non saranno mai completamente loro?

E’ per questo, per questo modo di vivere, per uniformarti a questa massa che del fiume segue la corrente lasciandosi, placidamente, trasportare a valle, che abbandoneresti la tua arte e la tua ricerca?»

«Ah mio caro, com‘è difficile riconvertire in parole ciò che realmente siamo e pensiamo. Noi caro Andrzej, ci siamo eretti a dotti e sapienti ed abbiamo sentenziato che far case sia assai meno significante ed importante che costruire pensieri e teorie.

Invero alle prime intemperie ed ai primi geli anche su questo, ti dico, mi sono dovuto ricredere:

quando fuori fa freddo e nevica e soffiano venti gelidi un muratore può essere assai più utile di un poeta o di un pensatore»

«Questo è vero ma vale solo per la nostra carne e questa si sa è destinata velocemente a perire. Cosa succederà dopo, dunque, quando di questa nostra forma non resterà che polvere, quale casa potrà contenere e proteggere la nostra anima ?»

«...L‘anima... ? e chi può dire di possederne una; chi può essere sicuro di questo e cosa significa poi possederne una?

Anima; non è anche questa una vuota parola. Chi vive il presente rischia, è vero, di non comprendere ma chi, come noi, si proietta continuamente nel futuro, pensando solo al dopo, non fa forse peggio?

L’abbiamo mai vissuto l’oggi noi, amico mio ?» «A questo ti ha portato la morte di Edith; è per lei che sei così cambiato ?

Quale colpa vuoi farti scontare, quale pena espiare con questo tuo pensare?

Credi davvero che vivendo di più con lei, oggi ti saresti sentito meglio ?

Voglio raccontarti una storia.

Anni fa, ancora nel pieno della mia giovinezza, ero in giro con una mia compagnia a far spettacoli in piccoli teatri di provincia.

In una di queste nostre tappe, per un problema che non mi dilungo a narrarti, fummo costretti a fermarci per circa tre o quattro giorni in una piccola cittadina ed io fui invitato a sistemarmi presso una famiglia del posto che gentilmente s‘offrì d’ospitarmi.

Già durante lo spettacolo avevo notato, nelle prime file, una stupenda ragazza che poi scoprii essere figlia di quei coniugi così gentili e disponibili ; scoperta che feci a sera quando questa, durante la cena, passò a salutarci prima d’uscire, accompagnata da un giovanotto che presumibilmente era il suo ragazzo.

Dunque, come ti dicevo, già in sala avevo notato quella splendida ragazza ed avevo percepito che mi osservava con un certo interesse e quando passarono per quel breve saluto ebbi la certezza di quella mia percezione poiché dopo alcune frasi e convenevoli d’occasione, questa, proprio nel mentre erano sulla porta pronti ad avviarsi, mi lanciò uno sguardo così intenso ed ammirato, cosi esplicito e pieno di passione da farmi quasi mancare il respiro.

Per tutta la notte ripensai a quello sguardo, insonne aspettai che rientrasse e per molto tempo ancora, ben dopo averne sentito i passi e la voce giù in fondo al portone, rimasi sveglio, immaginando ora di vederla apparire nella mia stanza, ora di presentarmi io nella sua, ora a cosa le avrei detto incontrandola il mattino seguente e mille altre fantasticherie del genere.

Così l‘indomani, con quelle idee che ancora mi frullavano per la testa, di buon‘ora lasciai la mia stanza ed iniziai a gironzolare per casa con la sola speranza d’incontrarla finalmente e questo mio desiderio non andò deluso, visto che, giunto in cucina, la trovai già la, anche lei in chiara attesa e come me provata in viso da quella notte appena trascorsa.

Tralasciando i particolari sul come e sul quando, posso assicurarti che quella nostra passione, essendo tra l‘altro quella fanciulla né ingenua ne sprovveduta, in breve fu consumata.

Ebbene, forse per il suo modo di parlare o per le cose che diceva o per come m‘apparì realmente nel suo complesso, non sai quante volte in seguito ebbi a pentirmi per quell‘accaduto e cosa ancor oggi darei in cambio per conservare intatto il ricordo di quello sguardo così come lo vissi quella prima sera ed in seguito, proprio per aver approfondito diciamo così quella conoscenza, svanito e volatilizzatosi come la stessa mia passione.

Inutile tornare sui propri passi alla ricerca di ciò che abbiamo vissuto un attimo prima ; anche uno sguardo fugace non tornerà mai più lo stesso ed in fondo è meglio viverle le cose e lasciarle in tempo, prima che diventino banali e travolgano anche il loro ricordo più bello»

«Ma la mia storia con Edith non è stata mai banale e non lo sarebbe certo diventata.. .Ah se solo avessi avuto la capacità di fermarmi, di non fuggire.. .oggi forse... »

«Oggi forse non ti mancherebbe come ti manca. E chi dice poi che sei stato tu a decidere di fermarti o fuggire come tu affermi.

Avrei voluto non parlarti di questo ma Edith prima ancora d’ammalarsi si confidò e mi raccontò, sebbene non ve ne fosse bisogno avendo già intuito ogni cosa, di voi due.

Da quel nostro discorso, che fu tra l‘altro interrotto e lasciato incompiuto, venne fuori l‘immagine dite come di un uccello libero e solitario ed è per questo che lei t‘amava; così ti voleva ed in nessun altro modo.

Ed anche loro, quegli uomini che oggi invidi e ti sforzi di imitare, così t‘hanno sempre visto e non altrimenti t’avrebbero ammirato ed ossequiato, temuto e riverito.

Ma quando un uccello si spezza un‘ala e cade al suolo diventa un essere misero e goffo, impacciato ed insicuro nei movimenti e nessuno pare già più ricordare la grazia che i‘accompagnava quando s‘alzava in volo e sfidava il vento.

Ricordi    si trasformano presto in pietre le rose lanciate lungo il passaggio dei vincenti.

Non dimentica rio, non dimenticare queste mie parole, mon ami»

 

Dopo quelle parole i‘uomo non riuscì ed ebbe voglia più di parlare, anzi diventò così insofferente ed irrequieto che ben presto i due dovettero lasciarsi.

Ma anche in seguito a quella sera e per molto tempo ancora, pur non volendolo ammettere ma in fondo anch‘egli convinto delle cose dette dall‘altro, continuò a pensare ed a riflettere su quel loro discorso e quanto più s‘addentrò in quelle considerazioni, trovando le in definitiva giuste o quantomeno non del tutto infondate, tanto più subentrò in lui un senso di vergogna e di pentimento per quel modo d’essersi mostrato; sensazione questa che lo portò a rifuggire chiunque gli restasse intorno e più d’ogni altro quel suo stesso amico.

Iniziò così a girovagare sempre più da solo, attento ed interessato sì a quanto accadeva, eppure, nel contempo, completamente estraniato e volutamente isolato da vivere ogni cosa senza la benché minima partecipazione emotiva e senza mai, neanche mentalmente, prendervi parte.

 

E fu così che pian piano sentì di ritornare sui suoi passi, di riappropriarsi di quella strada e di quel tracciato che s‘era illuso o forse gli era solo parso lasciarsi facilmente alle spalle.

Di nuovo s‘avventurò in quella città, gironzolando da un capo ali‘altro senza mete prefisse e senza quasi saperne il perché, solo ogni giorno più attratto da quegli artisti di strada, da quegli emarginati volontari che sentiva, senza neanche ben capirne il perché , così simili a sé stesso e che come lui parevano pervasi da quei duplice sentimento, un misto di attrazione e repulsione, nei riguardi dei resto dell’umanità.

Incontrandone uno, intento a dipingere o suonare in una piazza o anche semplicemente seduto in un Caffè, era in grado di restare per ore ad osserva rio, a scruta me i movimenti, interpretando ed analizzandone ogni mossa o solo il modo d’atteggiarsi ed in quei gesti, in quelle movenze pareva ritrovare, come riflessa in uno specchio, i‘immagine di ciò che sentiva di essere.

Come loro amava la libertà, come loro conosceva ed apprezzava i tempi dell‘attesa, con io stesso ritmo aveva proceduto e rallentato all‘occorrenza ma fatto assai più importante percepiva, accomunandosi chissà in base a quale strana logica a quegli uomini, d’essere destinato a non vivere e mantenere affetti, poiché nessuna passione, nessun legame poteva superare in intensità quel desiderio di conoscenza e di arrivare in fondo a quel percorso.

Come una fiamma incandescente, quel desiderio pareva ardergli in petto e dare vita ad ogni battito del suo cuore, alimentandosi ad ogni soffio di vento ma anche destinato a distruggere ed incenerire tutto ciò che si frapponeva tra lui e quella meta ed in quella percezione, in quella convinzione che gradualmente si impossessò ancora una volta di ogni suo pensiero, l‘uomo sentì di ritrovare l‘antica strada e nuovamente chiaro e leggibile il suo destino.

Poco a poco tornò quello di una volta, poco a poco i suoi pensieri s‘innalzarono al di sopra di quella realtà che io circondava, sempre più lontani da quei mondo e da quei suoi simili che come impazziti parevano ruotare sempre più velocemente in un vortice impazzito.

Ancora una volta aveva dovuto toccare il fondo, s’era dovuto vergognare di sé stesso e delle proprie azioni per poi risalire quella china ed intraprendere di nuovo il cammino.

Ma com’era chiara e limpida ora l’aria che respirava, com‘era nitido e lineare quel percorso che gli si apriva davanti e finiva in lontani orizzonti; i‘avrebbe mai visto così, i‘avrebbe mai altrettanto apprezzato se solo non avesse attraversato quei tunnel?

Sua buona capacità era quella di far tesoro delle proprie esperienze ed anche questa volta usciva accresciuto da quel buio.

Come un cieco che tornato a nuova luce apprezza tutto ciò che gli si pone davanti e ne legge i colori in ogni impercettibile sfumatura, così egli guardava ora alla vita e non più giudicava gli altri, non più scherniva e de rideva quelle loro corse e quei travagli quotidiani pur considerandoli inutili e privi di senso.

Semplicemente si sentiva diverso; non migliore, non più avanti o più in alto, unicamente e semplice, ente diverso da loro.

Gli stessi atteggiamenti degli altri nei suoi riguardi ancora una volta modificatisi in seguito a quel suo cambiamento, non più gli importavano come una volta e nessun sentimento gli suscitava quella attrazione che tutti parevano nuovamente avvertire nei suoi confronti.

Con la mente finalmente sgombera, in uno a quella necessità di mettersi in cammino, tornò il desiderio di rivedere Andrzej che, seppure lasciato malamente in occasione di quell‘ultima loro discussione, pur sempre nel suo cuore conservava come i‘amico a lui più caro.

Così una sera, finalmente pronto, si avviò alla sua ricerca e ripercorrendo, in un itinerario ben preciso, locali e luoghi che non poche volte li avevano visti insieme, approdò infine al Caffè, che le altre rimaneva da sempre la loro meta preferita, ed una volta giuntovi non glifu difficile né fu stupito nell‘intravedere tra i tavoli affollati la figura dell‘altro che individuatolo a sua volta gli si fece incontro e lo abbracciò senza pronunciare una sola parola.

Quel silenzio creò tra i due una strana atmosfera e l‘uomo, nel tentativo di reprimere quei suoi sentimenti che in quel particolare momento avvertiva ancor più esposti e visibili agli altri, sforzandosi non poco si impose di parlare e sussurrando quasi disse:

«Ancora una volta devo ringraziarti, amico mio» «Per cosa... ?» ribadì Andrzej staccandosi da lui ed invitandolo nel contempo a seguirlo ai tavolo. «Non a quello» indicò i‘uomo nel verso da dove poc‘anzi l‘altro, alzandosi, aveva lasciato alcune persone «Avrei bisogno di parlarti da solo.., ti prego... ecco... quello, quello va benissimo» disse ancora indicando verso un tavolo vuoto posto nell‘angolo.

«Bene» assentì i‘altro «Accomodiamoci pure lì. Dunque di che cosa dovresti ringraziarmi...»

«Non sia quanto bene mi hanno fatto le tue parole dell’ultimo nostro incontro. Non sia quanta luce hanno portato nel mio cuore»

«Non ne avevi bisogno, anche se oggi ti pare il contrario.

Tu lo sai bene qual è la tua strada. Sei un artista ed anch‘io, ma diversamente da te non ho avuto il tuo stesso coraggio.

Sono un clown ormai... un clown e niente più.

Ma cosa portiamo su un palcoscenico, su un pezzo di carta o una tela della nostra ricerca, cosa riusciamo a trasmettere di ciò che realmente siamo e pensiamo?

Nulla / niente che vagamente gli somigli, amico mio.

Lascia stare ogni tristezza dunque, lascia perdere la solitudine - non crucciarti per questo, non riusciresti a viverne senza - e brindiamo a noi, a ciò che abbiamo trovato e lasciato sulla strada e vada al diavolo il resto ed il mondo intero questa sera»

 

«Che cose tremende hai detto, che suono duro producono in me le tue parole ma quanto vere sono... ma hai ragione, al diavolo tutto, bandita sia ogni tristezza questa sera; brindiamo a noi e che vada in malora tutto il resto»

 

Detto questo, l’uomo ordinò del vino e subito dopo i loro bicchieri furono colmi ed una volta alzati, toccandosi, tintinnarono sordi ma Andrzej sembrò non acquietarsi per questo e con lo stesso tono continuò in quello che sembrava tanto essere un suo monologo: «Amico mio che cose stupende sei riuscito a fare, che opere magnifiche sei riuscito ad imprimere su una tela.

Ma non erano che un labile segno, il tracciato di una ricerca che ben più lontano doveva porta rti. Per questo valgono, in questo stà la loro grandezza, nel riuscire a tracciare un percorso di chi cerca una meta.

In più occasioni, ed oggi più che mai, ti ho visto vicino a quella meta, ma riusciresti a dargli una forma o un colore, riuscirebbero le tue parole più belle a descrivermela...

Sono convinto di no ed anche tu lo sai; per questo ti crucci, per questo a volte ti senti impotente come chi apre il palmo della mano e non trova altro che vuoto da trasmettere agli altri.

Nulla potrebbe essere dipinto meglio di quello che trasmettono i tuoi occhi, nulla potrebbe eguagliare ciò che serbi in fondo ai cuore.

Fin dalla prima volta che entrasti qui dentro ho avvertito tutto questo, fin da quando venisti in questo Caffè, quel giorno lontano, il mio istinto mi ha accomunato a te come al più amato dei fratelli.

Anch‘io come te ho cercato, tanto ho penato ed infine, forse vigliaccamente mi sono arreso; non sono che un interprete di ricerche altrui e men che meno riesco a trasmette mie agli altri.

Ma così è la vita; ad ognuno la sua strada, ad ognuno il suo destino.

Va, dunque, amico mio, continua la tua corsa e non fermarti, non girarti indietro, mai, sarebbe la tua fine»

 

A quelle parole l’uomo non obiettò, semplicemente guardò affettuosamente i‘altro e capì che era quello il suo modo di dirgli addio.

In fondo si lasciavano come s’erano trovati.

 

Consapevoli entrambi che non si sarebbero più rivisti, rimasero ancora a lungo l‘uno di fronte all‘altro senza parlare e bevvero, sorseggiando avidi, quel vino che in breve sortì il suo effetto e ne intorbidì i sensi fino a renderli ebbri e privi di ogni volontà.

Ma ben presto quella serata giunse ai termine e i‘uomo capì ch‘era giunto davvero il momento d’andare, così, ancora stordito da quella triste ebbrezza, s‘alzò e salutò i presenti; uno ad uno strinse loro la mano, ad ognuno donò una frase o un sorriso ed infine tornò verso Andrzej e lo abbracciò forte, sotto gli occhi degli altri che non ben capivano cosa stesse succedendo.

Sembrò durare un‘eternità quel loro abbraccio e quando si staccarono, le loro mani si cercarono ancora mentre l‘uomo con voce tremolante disse all‘altro: «Addio, addio amico mio, compagno fraterno; voglia Iddio farci rincontrare »

subito dopo si affrettò al di là della porta e sparì tra le persone nella strada affollata.

 

Lunghi giorni passarono prima ancora d‘avviarsi, lunghi giorni nei quali non poche volte il suo pensiero tornò a quella sera, a quei suo periodo in quella città ed a quei suoi amici.

Specie quell‘ultimo discorso di Andrzej tornava come un tarlo che gli martellava il cervello e nell‘osservare i suoi quadri, nel rileggere le sue poesie ogni cosa detta tornava in fondo veritiera e giusta, quand’anche forse un po’ malinconica.

Cosa avrebbe potuto dire di più, cosa avrebbe potuto trasmettere agli altri più di quanto non avesse già fatto?

 

Finito era un ciclo, chiuso oramai quel cerchio ed oggi non poteva che scrivere o dipingere per sé stesso.

 

Ma aveva poi senso voler riportare a sé stesso in forme e parole ciò che sentiva già suo?

 

Come intontito, con la soluzione a quei suoi interrogativi che simile a neve pareva sciogliersi appena colta tra le mani, si avventurò in quei giorni ruotando come in un vortice impazzito. Incapace di pensare veramente, avulso al sonno ed al mangiare, stremato pur senza far niente, si trascinò stanco lungo il loro corso ma un pomeriggio, nei rientrare a casa, sentì le sue forze venir meno, i suoi muscoli e le sue membra rilassarsi, gli occhi chiudersi e affievolirsi come i suoi pensieri ed in un attimo il mondo sembrò crollargli sotto i piedi precipitandolo in fondo alle scale.

 

A testa in giù, totalmente privo di sensi, quella nebbia nella sua mente sembrò diradarsi ed ancora una volta ne uscì chiara e splendida la figura di Elisia che seduta al suo fianco gli sorrideva raggiante e con voce tranquilla gli sussurrava in un orecchio: «Cosa fai lì per terra, vuoi forse arrenderti ora?

Lascia da parte ogni tristezza e non cercare indietro cose che sai non troverai.

Molto hai già fatto, un lungo percorso hai già battuto, ma non è finita la tua corsa.

Altro incontrerai sulla tua strada; amici che sentirai tuoi fratelli e donne che ti ricorderanno Edith.

Altro vorrai e potrai dipingere, altro scrivere e ben oltre si spingerà la tua ricerca.

Ciò che oggi ti appare verità domani potrebbe essere non vero, ricordalo, domani potrebbe essere non vero.

Svegliati, dunque, mio caro, svegliati e continua la tua corsa.

Altri voli ed altri cieli ci attendono. »

 

Pur destandosi, i‘uomo restò in quella posizione ancora un poco, intontito e con gli occhi al soffitto, poi pian piano si rialzò ed una pace profonda, come sempre gli succedeva dopo quella visione, sembrò impossessarsi di lui.

Ancora una volta fu sollevato dalle parole dell‘altra e finalmente, questa volta senza paure o titubanze, si sentì pronto ad andare.

 

Il giorno successivo ogni cosa sembrò essere a posto, eppure prima ancora d’avviarsi, uscito di casa, come già aveva fatto qualche tempo prima, ripercorse, in un atto di commiato, i luoghi a lui più cari.

 

Dapprima si portò nei pressi della villa e vi rimase per lungo tempo ad osservarla, rivivendo nei suoi ricordi ogni momento trascorso con Edith.

 

Ma quando una nuova malinconia sembrò ancora una volta insinuarsi tra i suoi pensieri, in un gesto istintivo, tirò fuori dalla tasca quella medaglietta ricevuta in regalo ed a voce alta ne lesse l‘incisione:

               “Volare e vivere/vivere e ricordare”

e come per incanto ogni nube sembrò sgombrare dai suo cuore, tanto che alzando gli occhi gli parve di intravedere la figura dell‘altra che ai di là del cancello lo salutava e gli sorrideva da lontano.

Subito dopo s‘avviò ma prima di sparire tra i vicoli le sue labbra si schiusero ed ancora una volta una dolce nènia accompagnò i suoi passi:

 

“cavallo che fugge nel vento/

 cavallo che fugge nel vento/

 cavallo che fugge... nel vento“.

 

Da lì, in breve fu presso il teatro ed ancora una volta, come per la villa di Edith, si fermò e ne osservò l’imponente architettura, intravedendo all‘interno alcune persone ed intuendo, come in una percezione, la stessa presenza di Andrzej; subito dopo s‘avviò verso il Caffè e, vedendolo vuoto attraverso la grande vetrata, s‘inoltrò al suo interno.

 

Entrato, s‘accomodò nella sala e bevve un liquore e più volte si guardò intorno, più volte senti voci e suoni, più volte rivisse quel ballo con Edith e gli incontri con Andmzej, infine però realizzò di doversi incammina re ed una volta pagata la ragazza dietro il banco e consegnatole un biglietto da recapitare ad Andrzej si portò sulla porta ed in breve si dileguò tra la folla.

Di lui non si seppe più nulla, nessuno seppe mai dove fosse finito, nessuno di quegli amici lo rincontrò mai sulla sua strada, semplicemente Andrzej avuto quei biglietto io fece incidere su pietra e lo posizionò di fianco alla tomba di Edith.

 

Funambolo
su corda tesa
dall’una all’altra sponda

ho attraversato il fiume.

Minuscolo è il mondo visto dall’alto/

formiche gli uomini che procedono

e svaniscono, pian piano, nella nebbia.

Sguardi fugaci/
ammirati hanno apprezzato le mie gesta

ma raramente il loro cuore m’ha cercato.

io più di loro li ho invidiati/

marinaio che segue la tempesta

e volge il capo alla terra in lontananza.

Movenze meccaniche di chi non può sbagliare/

un passo dopo l’altro/ in continuo equilibrio/

da sempre ho cercato la mia strada

ma sono stanco oggi e
                                         (spossate)
le mie membra non più hanno voglia di lottare.


“allentare la presa e lasciarsi cadere”

“rilassare i muscoli e lasciarsi andare”

Desiderio impercettibile/
realizzato prima ancora d’essere pensato.

Vento gelido si staglia sul mio viso

e con terrore aspetto la mia fine.

Presto il suolo accoglierà il mio corpo

e sarà scempio di vermi e di avvoltoi

la mia carne martoriata.

Un giro e un altro ancora/

un giro, un altro e un altro ancora.
Danza macabra nell’aria tersa del mattino.

Un minuto e un altro ancora/

un minuto, un altro e un altro ancora.
Precipitare verso il basso ed attendere l’impatto.

Strana sensazione
ruotare su se stessi in un vortice impazzito

con la fine che tarda a venire.


Strana sensazione davvero
                                      (amico mio)
aprire gli occhi e accorgersi
                                           (stupiti)
che
                        (risalendo la corrente)
non la morte ci brama ma un volo infinito.

Non la morte ci brama ma un volo infinito.

 

 

<<< parte seconda

 

 


 

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