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CULTI DELLA FERTILITA' NEL II MILLENNIO a.C. A LAVELLO


La mostra dal titolo Culti della fertilità nel II millennio a. C, allestita nel Civico Antiquarium della città di Lavello (Potenza), in occasione della V Settimana della Cultura, pone l'accento su una delle più importanti scoperte archeologiche in ambito protostorico, effettuata negli ultimi anni in Basilicata. L'ipogeo 1036 è databile all'inizio della media età del bronzo, rientrando in un areale geografico, quello del Sud-Est italiano, caratterizzato per un lungo periodo, dal Neolitico finale al bronzo finale, dal fenomeno dell'ipogeismo. Si tratta di strutture sotterranee scavate nel banco di roccia, per la realizzazione delle quali furono necessarie l'impiego di un'imponente forza lavoro ed elevate conoscenze tecniche-costruttive. Gli ipogei erano utilizzati come luoghi di culto, nei quali si svolgevano riti propiziatori, come luoghi funerari per deposizioni anche plurime oppure per entrambi i riti, svolti in momenti e con significati differenti. Nell'ipogeo di Lavello, come in altri già noti, sono state riconosciute sia la frequentazione cultuale, sia quella rituale-funeraria.
Nell'ottobre 2000, durante la campagna di scavi, condotta a Lavello (Potenza), in località Carrozze, è stata individuata ed esplorata una struttura ipogeica (lungh. totale m 14,50, larga. da m 2 a m 4), scavata nel banco di roccia tufacea ed orientata NW-SE.
L'ipogeo è costituito da un lungo dromos (lungh. m 7, largh. media m 1,40) con andamento curvilineo in direzione NW, da un ambiente rettangolare, anticella, (lungh. m 2, largh. 1,60), da una camera principale a pianta ellittica (lungh. m 5,50, largh. m 2,50) e da una cella circolare (diam. m 2), posta a metà della parete destra della camera e ad un'altezza di ca. m 1 dal piano.
Il dromos si articola in due segmenti: il primo più lungo e più largo, il secondo breve è più stretto. Nel primo, lo scavo delle pareti nel banco tufaceo ha risparmiato, lateralmente, un gradino sul quale si sono impostati i muri "a secco" di rivestimento delle pareti; muri che conservano due filari di grandi blocchi calcarei, alternati a pietre e lastre più piccole. Nel secondo, privo di gradino, le pareti sono rivestite da muri, sempre "a secco", con almeno sette-filari di lastre litiche. Tali muretti laterali proseguono in altezza, ancora per qualche filare, rispetto al piano del banco tufaceo scavato ed è, molto probabile, che fossero in origine più alti a costituire, insieme con altre pietre, poste nel mezzo, la copertura d'obliterazione del dromos. Il piano di calpestio del corridoio presenta una forte pendenza in direzione della cella.
Dal dromos si accede ad un ambiente rettangolare, l'anticella, in origine, a cielo aperto, simile ad un "pozzetto d'accesso". Il passaggio dal secondo segmento del dromos all'anticella è segnalato dalla presenza nella copertura di un grande blocco semilavorato, di forma pentagonale ma con un angolo pronunciato, volto in direzione della camera principale, quindi verso NW, e da quattro pietre, due grandi e due più piccole, poste ai lati. Un altro grande blocco, anche questo semilavorato e di forma subrettangolare, era, all'interno, addossato alla parete sinistra dell'ambiente scoperto. Probabilmente si tratta della lastra di chiusura tra il secondo segmento del dromos e l'anticella, lasciata, nel momento di chiusura definitiva dell'ipogeo, non in posizione funzionale. È possibile, quindi, che la struttura, sia stata organizzata per successive riaperture, ravvicinate nel tempo, e che al momento dell'obliterazione definitiva, con l'interro degli ambienti, tale lastra non abbia avuto più la funzione di porta. L'ambiente rettangolare, in asse con la camera principale, presenta le pareti prive di rivestimento e il piano di calpestio è caratterizzato da tre gradini a scendere e uno a salire, scavati nel banco. Dall'anticella, si accede, attraverso un passaggio più stretto e un gradino, piuttosto ripido, alla camera principale, a pianta ellittica con banchine perimetrali e con il piano di calpestio a diversi livelli. La volta della camera principale e quella della cella laterale sono crollate in antico.
All'interno degli ambienti dell'ipogeo, sono documentate diverse attività rituali, ricollegabili alla sfera cultuale e funeraria.
Il rito iniziale, identificabile nella deposizione di una costola di mammalia, all'interno di una sistemazione di pietre posta sul fondo della cella, rimanda ad un atto propiziatorio di fertilità e di consacrazione della struttura.
La presenza, nei livelli soprastanti, di numerosi focolari e di resti ossei relativi a parti selezionate d'animali giovani e sessualmente maturi (bovini, ovicaprini e suini), con una predominanza d'ovicaprini, rimanda a pasti rituali. I coperchi di bollitoi e le numerose tazze di varie dimensioni e tipologie alludono allo svolgimento di libagioni, forse con l'uso del latte come liquido cerimoniale. A tal proposito, indicativo è il rinvenimento, nell'anticella, di un sostegno a clessidra.
La deposizione di un individuo di sesso femminile, d'età compresa fra i 20 e i 23 anni, sigilla i livelli relativi a tali manifestazioni rituali. L'analisi dei resti scheletrici ha evidenziato (assenza di stress patologico e/o nutrizionale. Gli oggetti di corredo sono: una borchia di lamina di bronzo con decorazione puntiforme realizzata a sbalzo e una tazza miniaturistica d'impasto. Lo scheletro non si presenta in connessione anatomica e le diverse ossa sono "sparse" sul piano di deposizione. Si tratta di un rituale, abbastanza comune, (Gaudo, Rinaldone, Pontecagnano, Tavoliere di Puglia) com'è d'altronde riscontrabile anche per i vasi e i resti d'animali. Si è notato, come sia per gli animali, in particolare per gli ovicaprini e per i suini e sia nel caso dell'inumazione le regioni scheletriche rappresentate siano le stesse: cranio e ossa lunghe, quasi assenti le costole. La presenza, come in contesti già conosciuti delle "parti nobili" del corpo umano, ossia il cranio con la mandibola, attesta il rituale di consacrazione relativo alla chiusura della struttura cultuale.
I livelli d'obliterazione dell'ipogeo sono caratterizzati da una maggiore concentrazione di frammenti ceramici, pertinenti a contenitori rotti e dispersi ritualmente, associati a resti d'animali.
I materiali ceramici, in frammenti e rinvenuti in tutti gli ambienti, sono d'impasto bruno nerastro con la superficie lucidata a stecca; su alcuni contenitori sono evidenti le tracce da fuoco. Documentate sia le forme aperte e sia quelle chiuse: tazze carenate con ansa ad ascia e fondo arrotondato, scodelle troncoconiche e ciotole, contenitori situliformi, olle, ollette anche con decorazioni plastiche a cordoni recanti "tacche" o "ditate" e boccali. Attestati alcuni frammenti d'aghi o spilloni d'osso, una fuseruola e diverse schegge di lavorazione di selce.
La tipologia della ceramica permette di collocare l'ipogeo nella sfera culturale del Protoappennico B iniziale.
Numerose sono le tracce di cenere e carboni, soprattutto nel dromos e nell'anticella, come di focolari, veri e propri, all'interno della camera principale, situati nei due livelli soprastanti quello di fondazione (livello D). Un focolare laterale (livello B) e un altro, più grande, centrale (livello A), quest'ultimo in relazione con la deposizione umana, documentano l'accensione di fuochi, forse di breve durata., dato lo spessore, e riportano, ancora una volta, a pratiche rituali.
I resti botanici, quali carboni di legno, resti carpologici e residui di cenere, hanno costituito un discreto campione d'analisi, grazie ai quali è possibile ricostruire il quadro ambientale:
• Bosco mediterraneo: quercia sempreverde, olivo, tarpino nero, fillirea, ginepro, cerro, corbezzolo, orniello, cistacee, erica;
• Bosco misto deciduo: quercia caducifoglie, tarpino bianco, corniolo, oppio, fusaggine, tasso;
• Ambiente goleale: salice, ontano, frassino, viburno;
• Piante antropiche: pero, melo, sorbo, biancospino, acero, pruno, olmo.
Si nota una particolare omogeneità nelle specie utilizzate e ciò potrebbe indicare una selezione delle piante per pratiche rituali. La maggiore presenza di carboni di quercia all'interno dell'ipogeo, infatti, oltre a soddisfare le esigenze di resa calorica, potrebbe essere legata, al tempo stesso, a pratiche funerarie.
Dall'analisi dei resti carpologici si sono ricavate poche notizie, data la sola presenza di ghiande di quercia (Quercus sp.) carbonizzate. Incerte sono le specie d'appartenenza (rovere, cerro, leccio) e l'attribuzione ai due grandi gruppi delle sempreverdi e delle caducifoglie. Se la loro presenza fosse da interpretare come offerta rituale, le ghiande potrebbero avere un significato simbolico e quindi appartenere a qualsiasi specie; al contrario, se fossero da ricollegare a consumo alimentare (banchetto funebre), potrebbero appartenere alle querce caducifoglie, che producono frutti commestibili per l'uomo, se opportunamente trattati, avendo quelle sempreverdi un contenuto tanninico troppo elevato.
Alla luce di questo primo livello d'analisi, risulta che l'ipogeo 1036 è stato utilizzato, per un periodo non particolarmente lungo, come luogo per lo svolgimento di pratiche esclusivamente cultuali, legate alla fertilità e al ciclo riproduttivo dell'uomo e della natura, in un ambiente, i cui dati, prima analizzati, portano verso quello di tipo pastorale. L'ultima fase di frequentazione è documentata dalla sepoltura "rituale" di un individuo di sesso femminile, come a consacrarne la chiusura e la sua definitiva obliterazione..
 

 

Testo di Antonio Rosucci                   
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999


 

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