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PITTURA DEL SEICENTO IN BASILICATA: CARLO SELLITTO
 

Il pittore Carlo Sellitto nasce a Napoli nel 1581. È il secondo dei figli di Sebastiano Sellitto, pittore e indoratore lucano nativo di Montemurro, e della napoletana Lucente de Senna.
Il padre è emigrato nella capitale del Regno in cerca di migliore fortuna, abbandonando evidentemente
una realtà provinciale avara di committenze.
Ha assunto il cognome Sellitto della madre al posto del paterno Infantino; torna forse definitivamente
a Montemurro nel 1612 e muore nel 1616. Della sua attività conosciamo poco, ma dovette essere sicuramente ben avviata, in un contesto economico e culturale vivo quale era il napoletano nella seconda metà del '500, quando fiorivano tante personalità artistiche, non solo locali, le cui attive botteghe producevano opere per i conventi e le istituzioni religiose della città. Intorno ad esse, i laboratori artigiani di mestieri oggi dimenticati realizzavano gli arredi e le suppellettili per le stesse destinazioni, indispensabili nel loro ruolo di prodotti delle cosiddette arti minori. La qualifica professionale di pittore e indoratore, riportata dalle fonti, (1) di Sebastiano parla di una duplice specialità, mostrandoci quale fosse in passato la consistenza del lavoro di bottega, le competenze che doveva avere un artista, anche e forse proprio uno proveniente dalla provincia, dunque da una tradizione artigiana e da un gusto che privilegiava ancora in pieno '500, ad esempio, le ricche impalcature ad intaglio e dorate dei polittici. In una bottega d'arte del tempo era necessario saper fare tutto, bisognava essere autonomi per condurre una piccola impresa familiare in cui ciascun membro imparava una parte e la esercitava integrandosi con gli altri, partecipando sin dalla minore età all'attività produttiva, facendo e guardando fare.
La famiglia Sellitto vive in una zona di Napoli densamente abitata da artisti più o meno noti, tra cui, per fare solo qualche nome, Pietro Bernini, il padre di Gian Lorenzo, Fabrizio Santafede e Teodoro d'Errico e la nutrita colonia dei pittori fiamminghi.
Sempre nella zona dello Spirito Santo, nei pressi del palazzo Gravina e del monastero di Donnalbina, abiterà in seguito anche Carlo. Il contatto quotidiano con questo mondo e la consuetudine familiare con il mestiere motiveranno il precoce ma non singolare esordio del ragazzo come garzone presso la bottega del pittore piemontese Giovanni Antonio Ardito e poi in quella del fiammingo Loise Croys dove risulta presente già nel 1591. Tale precisa ricostruzione dei fatti è resa possibile dall'esistenza di una cospicua documentazione d'archivio che consente di seguire le orme del nostro attraverso le vicende salienti della vita personale e professionale (2) .
Del 1607 è l'emancipazione dalla potestà paterna: Carlo conduce ormai autonomamente una sua bottega ed acquista una casa in via Donnalbina. È legato per un certo tempo a Claudia Croys, figlia del suo maestro, ma sposa nel 1613, dopo un periodo di convivenza, la lucana Porzia Pirrone di Montemurro, segno questo del legame esistente con il luogo d'origine della famiglia Sellitto.
I documenti risalenti agli anni 1608, 1611, 1612 e 1613 registrano i pagamenti ricevuti per alcune opere da parte di diversi committenti privati, il matrimonio, faccende economiche familiari. È annotata la morte del pittore, avvenuta la notte tra il 1 e il 2 ottobre 1614 dopo una breve malattia; il testamento di Carlo prevede disposizioni per il fratello maggiore, l'erede, per la moglie Porzia e per le figlie del Croys. Claudia aveva ricevuto in precedenza una donazione. Esiste anche l'inventario dei beni e dei quadri della bottega redatto alla lettura del testamento dagli esecutori i quali provvederanno ad esigere il pagamento delle commesse in sospeso.
Queste dettagliate testimonianze mostrano come il pittore oriundo lucano avesse una feconda attività e fosse inserito nei circuiti dell'arte che contavano nella capitale, forse anche a motivo della sua scelta artistica aggiornata e piuttosto controcorrente rispetto all'ambito di provenienza.
Se Carlo Sellitto nasce infatti a Napoli e non in una provincia del regno, è vero che anche qui sa discostarsi dalla affermata cultura manierista di appartenenza, carica delle tendenze di fine secolo: influssi tosco-romani e fiamminghi, echi iberici e intenti controriformistici, cercando, dopo il periodo
della formazione, di compiere un passo avanti.
Questo consisterà nell'apertura a nuovi modi espressivi, resa possibile dalla sensibilità del pittore per il nascente naturalismo e dalla ricettività rispetto alla prima lezione del Caravaggio a Napoli.
Infatti, confrontando le date delle opere di destinazione pubblica del Sellitto, cioè il ciclo di S. Pietro nella Cappella Cortone in S. Anna dei Lombardi a Napoli, che vanno dall'1608 al 1612 con quelle delle risposte date all'arte di Caravaggio dal più noto Battistello Caracciolo, identificato tradizionalmente quale primo caravaggesco napoletano, vediamo che sono contemporanee.
I dipinti del Sellitto, che fu tra l'altro pittore di ritratti, di nature morte e di scene di genere - opere per noi perdute ma testimoniate dai documenti, inventariate nella sua bottega, evidentemente eseguite contando sulla sua esperienza formativa con i fiamminghi - registrano una rapida adesione al caravaggismo nonostante la sua appartenenza alla corrente manierista di Giovan Bernardo Azzolino e Fabrizio Santafede. In questo è la differenza rispetto ai lucani suoi contemporanei quale è per esempio il Pietrafesa, allievo del Santafede a Napoli, che rimane sostanzialmente un pittore tardomanierista, legato alla cultura composita di fine '500, quella che aveva successo nella Basilicata in cui lavora. Carlo Sellitto, invece, diverge da essa pur mostrando di conoscerla e tornandovi nell'impostazione del disegno delle opere. Per quanto riguarda la scelta tematica dei soggetti e dei modi, questi oggettivano il suo credo naturalistico e la partecipazione al caravaggismo. Vi si può cogliere anche il riflesso della realtà sociale in cui vive, in una Napoli sovrappopolata per il costante flusso immigratorio, con una struttura sociale classista e feudale condizionata pesantemente dal potere dei nobili in cui i borghesi cercano di emergere e distinguersi dagli altri ceti e il popolo minuto, pressato dalle imposte, vive in condizioni precarie.
La Chiesa ricopre un ruolo di potere consolidato ed è quanto mai attiva in quest'epoca di Controriforma; il controllo della produzione artistica che censura soprattutto i soggetti religiosi frena dunque anche il nascente naturalismo, rendendolo moderato.
L'attività artistica di Carlo Sellitto quale autore di ritratti è senza dubbio legata alla prevalenza della
committenza nobiliare rispetto alla borghese, ma egli lavora anche per diverse istituzioni cittadine, come il Pio Monte della Misericordia, oltre che per personaggi emergenti dalle recenti fortune sociali o politiche, funzionari e borghesi togati che entrano a far parte della nobiltà.
Quindi il linguaggio innovativo del pittore, mai esasperato, mai rivoluzionario, tuttavia di rottura rispetto alla tradizione figurativa manierista, compiace i gusti di questa variegata committenza.
Tra le opere riconosciute ricordiamo il suddetto ciclo in S. Anna dei Lombardi, il S. Carlo per la chiesa di S. Aniello a Caponapoli e la S. Cecilia entrambi ora al Museo di Capodimonte, l'Adorazione di Pastori per la chiesa dell'Ospedale degli Incurabili, la Visione di S. Candida in S. Angelo a Nilo a Napoli, il Crocefisso in S. Maria di Portanuova e ancora la S. Lucia al Museo Nazionale di Messina e il Bacco di Francoforte.
Siamo a conoscenza anche dell'esistenza di una commissione per una Liberazione di S. Pietro poi eseguita da Battistello Caracciolo a causa della sua morte.
Sembrerebbe esiguo il filo che lega il pittore in crescente affermazione nella capitale del regno alla terra di origine, ma l'esistenza di almeno due sue opere nel territorio lucano ne dimostra la tenacia. Una è l'Immacolata eseguita per il cantore Cesare Curti di Senise, documentata da un pagamento di quarantacinque ducati postumo alla morte del pittore e andata in seguito dispersa, come del resto un'opera del padre Sebastiano che nel 1577 prometteva all'abate Tuzio di Stigliano una cona per quarantaquattro ducati (3) . Un'altra è la tela rinvenuta nella chiesa di S. Luigi Gonzaga ad Aliano, raffigurante la Madonna del Suffragio con un ritratto del donatore, probabilmente un membro della famiglia Vaccaro, come si evince dallo stemma effigiato. Il dipinto è firmato con l'iscrizione "Carolus Selictus me fecit" ed è interessante perché documenta una fase dell'attività dell'artista antecedente al caravaggismo, quella formativa, impostata sul manierismo di fine '500, vicino al Santafede e all'Imparato e all'espressione fiamminga. Al tempo stesso il veristico ritratto inserito nella composizione e la resa materica delle figure si rapportano già alla prima lezione di Caravaggio a Napoli. La critica più recente attribuisce a questo momento di transizione un dipinto anonimo vicino ai modi del nostro ma dato anche all'Azzolino, la Distribuzione dei Rosari nella chiesa dei Santi Luca e Giuliano a Grottole; in antitesi con questa interpretazione, viene collocato in una fase successiva, prossima al classicismo reniano, degli ultimi anni di vita del pittore, stavolta influenzato appunto dalla presenza del Reni a Napoli tra il 1611 e il 1612 e perciò incline al preziosismo cromatico (4) .
La studiosa che formula tale ipotesi individua altresì un'altra opera dell'artista in regione, l'inedita S. Andrea condotto al martirio nella chiesa madre di Pignola, confrontandolo con la tela napoletana del S. Pietro salvato dalle acque nella cappella Cortone, della quale sarebbe contemporanea e quindi risalente agli anni tra il 1608 e il 1612, quelli della piena adesione al caravaggismo.
Un altro dipinto discusso è la Madonna del Suffragio tra i Santi Francesco e Domenico e le anime purganti nella chiesa di S. Antonio a Melfi (5) . Accoglierne l'autografia significa ammettere la presenza di un'altra opera del maestro, stavolta fortemente naturalistica, in regione, dove però la sua arte sembra non aver suscitato un'eco particolare. L'esito innovativo, in un quadro per il resto di concezione tradizionale nella composizione spaziale, è ottenuto dal pittore con l'uso della luce che evidenzia le figure e i loro gesti, sottolineando la drammaticità della scena, mentre in alcuni dettagli sono ravvisabili affinità con un'opera di Battistello Caracciolo improntata alle imprese napoletane di Caravaggio. L'interpretazione iconografica del quadro, strettamente correlata alla committenza religiosa, è sondata ancora dalla Barbone Pugliese (6) .
La significativa vicenda artistica del Sellitto, espressa nell'arco di una breve esistenza, si contrappone per gli esiti raggiunti a quelle degli altri lucani che seguirono un percorso diverso: magari colti ma ben assestati in provincia, legati strettamente agli Ordini Mendicanti e al clero, fedeli all'obbligo di realizzare una pittura devozionale, i protagonisti del Seicento lucano, Ferro e Pietrafesa, dipingono soggetti sacri basandosi sulle stampe, aderendo alle richieste programmatiche dei committenti, sviscerando il composito bagaglio di conoscenze manieristiche.
Carlo, invece, stimolato da un contesto culturale e sociale più vivo, dalla mobilità di un mercato affollato di offerte artistiche in competizione, prende un'altra strada, la via sperimentale, percorrendola
a passi veloci ma ancora incerti, cimentandosi con generi diversi e mostrando di saper rispondere a richieste di volta in volta diverse. Lo fa proprio negli ultimi anni della vita, lasciandoci solo immaginare gli sviluppi possibili di un caravaggesco meridionale della prima ora.
 


Note
1) Per Sebastiano Sellitto vedere: U.Prota-Giurleo, Pittori montemurresi del '600, Montemurro, 1952, pp. 15-17; E. Schiavone, Sellitto, nome d'arte? in Incontri, mensile dell'Associazione Lucana di Roma e del Lazio, IX, nn. 5-6, maggio-giugno 1982, pp.4-5;
2) La ricostruzione completa della vita e delle opere del pittore si trova nel catalogo della mostra napoletana del 1977, in cui sono pubblicati tutti i documenti. Cfr. Mostra didattica di Carlo Sellitto, primo caravaggesco napoletano, Napoli 1977;
3) Carlo Sellitto... op. cit., pp. 59 e 144; Grelle A., Arte in Basilicata, Roma 1981, p. 88, nota 164 bis;
4) A. Grelle, op. cit., p. 205; N. Barbone Pugliese, Contributo alla pittura napoletana del Seicento in Basilicata, in Napoli Nobilissima XXII, 1983 III-IV, p. 90;
5) Grelle A., op. cit., p. 108, N. Barbone Pugliese, op. cit., p. 90; R. Ruotolo in La pittura a Napoli da Caravaggio a Luca Giordano, Milano 1983, p. 130;
6) N. Barbone Pugliese, Ibi-dem.



Bibliografia
U. PROTA-GIURLEO, Pittori montemurresi del '600, Montemurro 1952.
E. SCHIAVONE, Sellitto, nome d'arte?, in Incontri, mensile dell'Associazione Lucana di Roma e del Lazio, IX, nn. 5-6, maggio-giugno 1982, pp. 4-5.
AA. VV., Carlo Sellitto, primo caravaggesco napoletano, Mostra didattica, Napoli 1977.
A. GRELLE, Arte in Basilicata, Roma 1981.
N. BARBONE PUGLIESE, Contributo alla pittura napoletana del '600 in Basilicata, in Napoli Nobilissima, XXII, 1983 III-IV, pp. 89-92.
R. RUOTOLO, in La pittura a Napoli da Caravaggio a Luca Giordano, Milano 1982, p. 130.
V. PACELLI, in Civiltà del Seicento a Napoli, Catalogo della Mostra, 1984, pp. 446-450.
F. PETRELLI, in Storia dell'arte, n. 54, 1985, pp. 209-214.
AA. VV., La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1988, tomo II, p. 886.

 

 

Testo di Antonella Miraglia                 
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1998

 


 

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