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SINISGALLI PITTORE
"Bisogna saper leggere i segni. Bisogna saper leggere i sogni "

 

 

Lo studio dell'ultima cronologia Sinisgalliana trae con sé e ci pone innanzi un altro importante aspetto della multiforme esperienza artistica del poeta scienziato: il rapporto con il disegno e la pittura.
Da quello che possiamo capire estraendo dall'Età della Luna (1962, in un primo tempo Sinisgalli, pur cominciando ad alternare con maggiore frequenza la poesia e il disegno e, pur sottraendo sempre più tempo alla "noble art" delle muse, la pone pur sempre al primo posto dimostrando di non saper rinunciare del tutto a far versi: "Una boccata di luce fredda, una boccata di aurora. Ingenuo universo del mattino. Dire e disegnare è più necessario che vivere. Di vivere ne possiamo dimenticare. Il mondo fresco del mattino ci chiede di non morire, di ritardare la nostra distruzione, il sangue se ne va via a pezzi" (1).
Ad un certo punto, però, il disegno sembra progressivamente prendere il posto della poesia. Perché? Due sono le risposte che si possono dare a questa domanda: il progressivo ed inesorabile esaurirsi della sua vena poetica, per cui Sinisgalli sente di non essere più poeta o di non esserlo fino in fondo; ("Esprimerti non ti viene naturale. Sei contorto confuso. Ti costa caro cucire quattro parole. Le cose più semplici diventano complicatissime" -Carte lacere-) ed una ragione esistenziale: la drammatica scoperta del vuoto, del tedio e dell'angoscia.
Contro l'entropia, contro l'inesorabile distruzione del tempo egli aveva combattuto una volta anche battaglie vittoriose, ma ora non solo le parole non bastano più a riempire il vuoto, a vincere la noia, ma risultano inefficaci anche la scienza e la matematica: "Caccioppoli si è ucciso con un colpo alla nuca in una cameretta di un nobile palazzo napoletano (2), eppure con le sue scoperte era riuscito a conseguire una fama universale, ma la verità è che "non ci si difende dalla noia con la matematica, come non ci si difende con la poesia" (ivi).
Ora le parole non lo aiutano più, non bastano, né l'aiutano le scorribande che gli fornivano un tempo la materia poetica, non gli servono più i suggerimenti di Rimbaud, di Campana, di Ungaretti o di Govoni, che lavorando all'aria aperta "raccoglieva nel suo sacco lungo i grandi pellegrinaggi tutto quello che l'universo gli metteva davanti agli occhi" (ivi).
Il poeta, ora che non riesce più a trovare neppure gli oggetti da allineare ("il poeta non deve edificare deve solo allineare") deve fermarsi, ha bisogno di una sosta di riflessione (l'intensificata attività del critico e del giornalista) e di un altro modo di annotazione, ha bisogno di ricercare nuovi segni, diversi da quelli che egli traduceva in parole e ritmi poetici: "Tutta la coscienza che io metto nella mia poesia la perdo istantaneamente appena mi dispongo a disegnare (...) colgo la scarna realtà che mi sta intorno a lampi, a frammenti, a pezzi, come deve succedere ai sonnambuli. Non mi interessa edificare un altro mondo, come tento di fare con le parole". E a questo punto che si consolida e s'intensifica la pratica del disegnatore.
In effetti per Sinisgalli l'attività e l'arte del disegno non nascevano ora, neppure erano propriamente una novità in quanto egli le aveva coltivate insieme con la calligrafia fin dai tempi della scuola: "Certo ho disegnato anche da studente di ingegneria, ma con la riga e il compasso. Avevo fatto qualche buon disegno a Benevento al Liceo Scientifico, mi dicono che alcuni sono ancora esposti nel parlatoio del Collegio de La Salle". Ma egli aveva ripreso a disegnare regolarmente solo nel 1958, dopo le sue prime esperienze di un certo rilievo effettuate prima nella fabbrica del Linoleum di Narni e poi a Milano, dove nel 1934 aveva pubblicato in un libretto sulle macchine una decina di disegni.
Nel suo "Ritratto di Macchine" (1935), tra le altre, vi è questa annotazione che dimostra la non mai interrotta passione per il disegno: "A Roma per un'estate intera; nudo e a persiane chiuse in una stanza che dava sul cortile del lattoniere, squadra e compasso in mano, io disegnavo le mie tavole di macchine". Ma la nostra attenzione non si appunterà certamente sugli antichi e scolastici disegni geometrici, né tanto meno sui successivi "disegni di macchine" (che pure ebbero la loro importanza in quanto proprio in occasione di essi la precisione e il rigore geometrico di Sinisgalli, il suo "esprit de geometrie", ebbero modo di misurarsi per la prima volta con le sue qualità inventive ed artistiche, l'"esprit de finesse ") ma piuttosto su quelli a mano libera, ritratti e personaggi, effettuati apparentemente senza alcuna disciplina, in quanto specialmente in questi ultimi egli ebbe modo di esprimere il suo non comune talento artistico.
Sulla natura dei disegni sinisgalliani così notava E. Luraghi "L'esame dei disegni... dato che Sinisgalli disegnò tutta la vita ed arrivò a morire intanto che si svolgeva una mostra dei suoi inchiostri e pastelli, rivela che la mano libera e la mancanza di preoccupazione arrivano a personali interpretazioni, o meglio a fantasiose invenzioni di un poeta che con i suoi tratti esercitava una trasformazione spesso ironica e a volte perfino assurda dei volti e delle cose che rappresentava, assai più che risultare l'attenta opera di un ingegnere." (3)
Con falsa modestia Sinisgalli era solito chiamare "Scarabocchi" questi suoi tipici disegni astratti, così gracili, così puri, così sinceri per distinguerli da quelli più rigorosi effettuati con la riga ed il compasso.
Essi erano stati, ancor prima che egli scoprisse la magia dei numeri e delle parole, un'autentica rivelazione dell'anima: "L'anima ha spesso paura, ha paura di farsi vedere e si nasconde dietro il muro del silenzio o dentro uno scarabocchio" (4); per questo egli vi aveva fatto ricorso dalla prima infanzia: "Nelle nere case il suono del vento e le campane del Vespro e i vecchi accanto al fuoco piegano la testa sul petto e nel buio un bambino scrive col tizzo scarabocchi a salsiccia". (5)
Ma dopo il tempo dell'infanzia, della timidezza, della negazione del pensiero era giunto il momento della geometria a dargli le sue sicurezze: "Dopo la sregolatezza deve vincere il rigore, dopo lo scempio arriva il tempo della geometria [...] la geometria è l'istinto di conservazione della materia. Può ancora esistere in noi una volontà di durare, di sopravvivere, di non morire? Ebbene questa possibilità è garantita dalla geometria" (ivi) .
Gli era capitato per molto tempo di non pensare alla morte, si era illuso addirittura di "averla scacciata dal suo regno", ma nell'età più matura si era fatta più intensa la voglia di disegnare: "Quando l'uomo non sente più la voglia di vivere, che è voglia di edificare, butta a mare gli strumenti della geometria e torna allo scarabocchio" (ivi).
Il pensiero corre subito alle sue acqueforti realizzate con tratti sottilissimi, autentiche divagazioni dell'anima che in assenza di pensiero corre lungo il filo di inchiostri nerissimi. I disegni di Sinisgalli, per quanto nati come semplici "sfoghi della noia e della rilassatezza" rivelano la sua parte più segreta, anche quella che era rimasta esclusa dai suoi versi: "Penso che buona parte di me stesso, quella non detta e non scritta, sia in trappola dentro i miei inchiostri".
Il fatto che prima o poi si potesse scoprire la parte più profonda della sua anima gli faceva un po' paura, ma si augurava ugualmente che un giorno "qualcuno capace di leggere nei segni come si leggono i sogni" venisse a svelare la verità.
In effetti al di sotto delle immagini sinisgalliane spesso vi è la presenza di motivi espressivi che vanno al di là della pura e semplice rappresentazione della realtà, pertanto è il caso di parlare di simbolismo anche a proposito dei suoi disegni, come si è fatto per la sua poesia.
Non di rado, infatti, accanto al figurativo, è possibile trovare nelle sue tavole oggetti significativi, come ad esempio il nibbio alato, uccello leonardesco che naviga nel cielo al di sopra di un paesaggio montemurrese. L'uccello è un oggetto simbolo ricorrente nella poesia sinisgalliana, dove la sua immagine alata è spesso associata alla fanciullezza.
La poesia si era manifestata giovanissima in Leonardo come testimonia una breve lirica "Vicoli verdi e viola/Al mattino. Di sera/La ressa delle nottole/fuori dalle cantine/Tra cespi di basilico/ Piantato nei petali/ il bambino poeta/ Spuntavano le ali" (Primavera).
Questo ricollegare il mito dell'infanzia all'immagine alata sta a significare che l'uccello con la sua simbologia serve a qualificare la poesia stessa; del resto non mancavano esempi simili nel passato da Pindaro all'albatro di Baudelaire che egli amava profondamente.
Ora, nel tempo in cui le muse non gli venivano più incontro, Sinisgalli nei suoi scarabocchi affidava ancora una volta all'immagine alata il suo desiderio di libertà, il bisogno di staccarsi dal concreto, lo sconfinamento nel mondo ideale.
Questo sta a dimostrare che i disegni, come del resto la poesia composta nell'arco di una vita rispondevano per Leonardo allo stesso bisogno di "giungere al cuore del suo essere". Per tale via i suoi gracili e astratti scarabocchi finivano veramente per essere "simulacri dell'anima" come e forse più delle parole.
Eppure Sinisgalli non ne parlava con entusiasmo, sembra, anzi, che facesse di tutto per minimizzare le sue qualità artistiche, fino a dichiarare ad un certo punto di non possedere nemmeno l'A B C del disegno, o di essere addirittura partito dal suo grado zero.
Così annotava nel 1962: "Il mio primo sgorbio porta la data 13 Febbraio 1958: sono trascorsi quattro anni. In quattro anni anche un analfabeta adulto riesce a salvarsi in extremis a trasformare la crocetta in una firma leggibile.
In verità i suoi disegni, almeno gli inchiostri dei primi tempi, non dovettero costargli molta fatica, se è vero che aveva già a portata di mano quella che egli definiva la sua officina: "le boccette colorate, le asticciole, pennini secchi, taglienti, pennini morbidi, stilografiche, biro, qualche pennello" (L.S. 1962).
Pertanto non si era cacciato "nell'imbroglio del disegno", come egli dice, propriamente disarmato, inoltre non gli era mancata una quasi nativa manualità di "faber", e la guida dei suoi maestri di calligrafia (6) ai quali aveva potuto aggiungere in seguito anche la lezione degli amici pittori. ("Credo di essere riuscito a carpire qualche segreto, di mano e di intelletto ai miei autori preferiti. Certo che ho scoperto la loro idea del mondo").
Non gli mancava del resto la volontà di apprendere e la dote personale della pazienza per approdare con lo studio a risultati apprezzabili. "Mi sono azzardato a fare piccoli passi da solo, a descrivere semplicemente le mie giornate, le ore di vuoto e di attesa. Ho fatto cento volte il ritratto del cielo che sta davanti alla mia finestra" (ivi).
Egli nell'età della luna ancora di più vi si impegnava perché aveva scoperto che il disegno e la Pittura gli davano ciò che la poesia non era più in grado di offrirgli: riempire il vuoto e vincere il tedio ("Il disegno ha fatto su di me l'effetto di una droga. Nell'inferno del dolore taciuto in cui ho vissuto negli ultimi anni mi ha dato l'illusione qualche volta di entrare in paradiso. E successo ad altri, in situazioni simili alla mia di liberarsi dall'angoscia e di raggiungere l'estasi con il ricorso agli esilaranti, alcol, mascalina, reserpina ecc. A me il disegno ha portato un po' di pace un po' di gioia" (7).
Il disegno, inoltre, che all'apparenza può sembrare più complicato, gli riusciva in un certo senso più semplice, in quanto era convinto che bastasse avere qualche base in senso materiale-tecnico per costruire più facilmente una tavola che una poesia.
Dirà più tardi in Dimenticatoio che proprio per il tipo della sua poesia, nella quale non mancavano le complicatezze e le geometrie (8) essa non gli veniva più facile come un tempo, che anzi gli richiedeva grandi sacrifici.
Il disegno ormai era venuto a sostituire progressivamente la poesia proprio per le maggiori difficoltà di quest'ultima, che egli ora non mancava di sottolineare con il procedimento analogico a lui familiare, utilizzando ancora una volta una metafora che tradiva la sua antica passione per le donne.
Nel Furor Sinisgalli, volendo giustificare l'abbandono degli studi di fisica iniziati a Roma presso i suoi coetanei maestri che poi sarebbero arrivati alla scoperta dell'atomica, affermava di essere stato distratto da altre ragioni, in primo luogo annovera le donne. Era stato uno dei suoi amici a fuorviarlo portandolo in un bordello per fargli conoscere la donna della magnifica mascella equina e dai capelli rossi che l'avrebbe iniziato "ad un mistero diverso da quello di Cartesio".
L'altra ragione che egli adduceva di aver abbandonato gli studi dei neutroni e della fisica nucleare era quella di essersi dedicato all'arte e alla poesia. Comunque sempre donne erano, in quanto egli alludeva scherzosamente alle Muse, un po' come Boccaccio che in una pagina del suo Decameron non trovava di meglio che ricorrere a questa immagine per dimostrare la sua mondana passione per le lettere.
Una tale metafora "donnesca" è spesso ricorrente nell'esistenza umana ed artistica di Sinisgalli, ed egli la utilizzava, questa volta in modo analogico, nell'intervista già ricordata per dimostrare le differenze che secondo lui vi erano tra il disegno e la poesia. Egli definiva la poesia "una Cattiva compagna" poiché gli richiedeva "una dedizione totale": cioè essa era una donna che non amava dividere il suo partner con altri, anzi esigeva una fedeltà totale, per cui non gli era possibile distrarsi, né abbandonarla mai.
Mentre il disegno, egli diceva, era una donna diversa poiché si contentava di "incontri saltuari" e tollerava anche qualche scappatella: cioè Leonardo dipingeva, disegnava e ogni tanto sempre più raramente ritornava a comporre versi o si dedicava ad altre attività.
In effetti per lui il disegno, riducendosi a un fatto tecnico finiva con l'essere più facile, per cui gli era possibile talvolta fare un bel quadro anche quasi senza concentrarsi col pensiero, o concentrarsi poco e addirittura distrarsi. In questo modo egli riusciva a combattere l'angoscia, a sconfiggere quella noia che né la matematica né la poesia erano riuscite mai ed allontanare del tutto.
Nell'ambito delle espressioni pittoriche di Sinisgalli occorre fare una distinzione tra il disegno e la pittura. Egli era convinto delle difficoltà che la pittura richiedeva, per questo, come tutti i poeti in passato era arrivato talvolta ad invidiare gli amici pittori.
Tale sentimento aveva provato anche Palazzeschi per de Pisis così motivandolo "Lui andava a dipingere all'aria aperta, ed io ero lì, solo e triste, a combattere con le mie parole, e provavo allora una grande invidia per i pittori e la pittura".
Ma l'esperienza dell'avanguardia, l'assidua frequentazione dei pittori e dei loro ateliers aveva posto Sinisgalli, si può dire, in una condizione privilegiata: non pochi segreti era riuscito a carpire posando per essi o solamente osservandoli. (9)
La pittura lo affascinava, perciò era sempre stato attratto dai pittori e dalla loro mirabile arte. Ma era anche consapevole delle notevoli difficoltà sia tecniche che filosofiche che la pittura comportava, ("Questo sforzo che fanno insieme l'intelletto, la memoria e i sensi, questo sforzo di sposare l'immagine all'oggetto ripercorrendo in un attimo la durata di anni, ricapitolando ogni volta tutta intera la vita") per questo Sinisgalli non ha mai realizzato un olio, limitandosi tuttalpiù alla più agevole tecnica dell'acquerello o ai suoi "disegni sputati". "Un giorno capii che una linea tracciata a secco è un limite che separa più decisamente non solo due aree, due campi, ma due universi. Mi venne poi la tentazione di passare il dito umido su quel segno, sono i miei disegni sputati, sui fogli la saliva aveva tracciato la luce e l'aria". (10) Ma anche dopo questa importante scoperta che lo aveva portato a sentire "la differenza tra un disegno e un'immagine" non condusse più innanzi la sua ricerca.
Ai complicati studi e strumenti pittorici egli preferiva pertanto i suoi pastelli che non gli richiedevano accorgimenti particolari, convinto com'era che bastasse un album sotto il braccio e dei semplici pastelli per dipingere e disegnare.
Negli ultimi tempi, in occasione di un lungo soggiorno a Montemurro (1978), spesso è stato visto percorrere le strade con i suoi album e le sue matite in quanto non amava l'aria soffocante degli studi ma preferiva comporre all'aria aperta in "plein air".
Sinisgalli, che alcuni anni addietro era partito "Col disegnare sui margini e sulle mezze pagine bianche dei libri ... Baudelaire, Kandinsky, Pound ( ....) in mezzo ai versi e ai teoremi", ora si trovava a rappresentare i paesaggi della sua terra: le querce, le case, le vigne, le siepi.
Queste cose (45 pastelli) egli era venuto poi ad esporre nei primi mesi del '79 a Matera alla galleria "Il Labirinto" di Rocco Fontana non riuscendo a tradire la gioia e l'entusiasmo per la nuova scoperta del colore che egli diceva di aver tentato da poco e senza precisa volontà soltanto da tre anni, dal principio del 77: "Entrai per caso un pomeriggio da Vertecchi, in via della Croce, a Roma e comperai dei bei rettangoli di cartone grezzo e una magnifica scatola di pastelli (che ancora non sono riuscito a consumare!). Fu allora che ho azzardato l'uso del colore sulla carta. Il colore della punta di un lapis sia chiaro. (11)
A parte le altre mostre (12) avvenute prima del 1977, spesso poco documentate al punto che talvolta non è possibile neppure rintracciare i cataloghi, occorre partire dalle esposizioni della Galleria "Il Millennio" (1980), che Sinisgalli fondò a Roma con la nuora Ida Borri, per avere un quadro complessivo e dettagliato delle sue qualità artistiche.
E proprio nelle Mostre del Millennio che Sinisgalli ha mostrato tutto se stesso, dando prova delle sue non comuni capacità di artista e di pittore, esponendo una serie di ritratti e acquerelli di amici e maestri (Verlain, Eluard, De Libero, Luzi...) autoritratti e tutto ciò che era riuscito a fermare sulla carta ("la vigna di donna Adelina Angerami", "la casa di Sinisgalli", "il fiore del serpente lungo la strada", "gli alberi rossi") durante le sue "scorribande" al paese: ("Sono uscito di casa sempre alla stessa ora, sotto un cielo limpidissimo, un'immensa tenda celeste tirata dai picchi più alti e robusti, il Sirino, il Monte Raparo, il Monte di Viggiano e il Pollino seminascosto ") .
Tutto o quasi tutto, quello che aveva osservato con il suo occhio attento era rimasto sui fogli del suo album: "Salvo verso la fine, quando il verde aveva ceduto al giallo e in mezzo al pietrisco comparivano le stelline delle piante di cicorie e spuntavano i grappoli di more tra gli spineti, mi convinsi che potevo fare a meno di guardare." Il suo occhio, pertanto era attratto non solo e non tanto dalle immagini grandiose del paesaggio (le gigantesche cime dei monti) ma anche dalle piccole cose apparentemente insignificanti (ad es. ranuncoli, cicorie, erbe e fiori selvatici) che solo i pittori di razza sanno ritrarre.
Eppure non tutti oggi sono disposti a riconoscere un valore autonomo all'arte sinisgalliana. Nell'ultima mostra documentaria in margine al convegno svoltasi a Matera nel 1982, durante la quale sono stati esposti i disegni su Montemurro, i pastelli della Valle dell'Agri, i ritratti dei poeti (Ungaretti, Petrarca, Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé) anche un critico d'arte che per lungo tempo ha avuto una grande familiarità con l'ingegnere-poeta, interrogato sul valore di Sinisgalli pittore e sul significato della sua espressione figurativa ha risposto: "Credo che non si debba guardare a Sinisgalli come pittore e come artista. I disegni esposti sono i disegni di un poeta, perché chi guarda a quei disegni come ai disegni di un artista sbaglia... I disegni servono solo a capire il poeta".
Eppure senza negare le interconnessioni tra la poesia e il disegno, inoltre espressamente ricercate e riconosciute dallo stesso Sinisgalli - tormentato fino in fondo dal "demone dell'antologia" e pur sempre tendente ad una cultura pluridimensionale-, secondo noi occorre, per meglio giudicare sia il poeta che il pittore considerare e studiare separatamente le due esperienze per esprimere su entrambe un definitivo e più obiettivo giudizio di valore.
Solo procedendo in tal modo e considerando in senso assoluto l'attività pittorica di Sinisgalli, senza nulla togliere al poeta, è possibile cogliere il valore autonomo di essa anche se ciò potrà spiacere a qualche critico non molto favorevole alla sua arte.
Del resto lo stesso autore, malgrado i risultati delle sue mostre misurati dalle vendite dei suoi quadri e i giudizi favorevoli di molti critici, continuava a dire che la pittura era per lui un semplice passatempo, non certamente una vocazione, una pratica fatta solo per ammazzare il tempo e la noia mortale dell'estate.
Ma anche lui non diceva probabilmente fino in fondo la verità a proposito di quella che sarebbe stata l'ultima tra le sue molteplici attività (quella del gallerista e del pittore) che solo la morte è venuta a troncare, oscurandogli la possibilità di realizzare il progetto di una seconda giovinezza e i sogni di un'altra vita proprio mentre era in atto l'ultima delle sue mostre.



Bibliografia
1) Cfr. L. Sinisgalli, Caccioppoli si è ucciso, in L'immobilità dello scriba, cit., pp. 130-131.
2) Cfr. L. Sinisgalli, Età della, cit., p. 144.
3) E. Luraghi, Sinisgalli e l'industria", in Atti, Matera-Montemurro, 1982 cit., pp.127-128.
4) L. Sinisgalli, Carte lacere, cit., p. 17.
5) L. Sinisgalli, scarabocchi, l'età della luna, cit., p. 85.
6) Leonardo era un patito della bella scrittura. La calligrafia che egli ebbe poi modo di perfezionare nella scuola tecnica da lui frequentata fu sempre per lui un'autentica disciplina coltivata anche nell'età matura. Ciò è testimoniato da un volume intitolato 'le Vanterie dell'arrotino' che contiene fra le varie esercitazioni calligrafiche poesie riscritte in vari modi e caratteri. A Sinisgalli piacevano i lavori di precisione, egli amava molto lavorare a tavolino, dimostrando una disposizione artigianale più che artistica. Nelle sue carte egli esalta ripetutamente l'abilità dei fabbri e dei bottai. La loro manualità lo aveva sempre affascinato fin dai tempi in cui il padre lo aveva mandato a bottega. Anche da vecchio egli amava ripetere che "da certe cotte non si guarisce mai", pertanto anche in Sinisgalli poeta e artista sopravvive si può dire l'artigiano, ma in senso buono, nel senso che egli fece di tutto per applicare sempre in ogni sua esperienza la precisione e il rigore costruttivo applicato dai nostri artigiani nelle loro opere. Si può dire, però, che Sinisgalli fosse un artigiano speciale: un fabbro che ebbe modo di esaltare le sue qualità per mezzo della cultura e l'acquisizione dei dati superiori.
7) L. Sinisgalli, Intervista a Rocco di Poppa, Silarus, 1980.
8) Leonardo ha impegnato non solo il calcolo e la "ratio" nella sua di poesia, ma, li ha utilizzati anche nella sua attività di critico per analizzare l'opera di altri, come ad esempio quella di Giacomo Leopardi.
9) Questa amicizia, nata da una continua frequentazione generava non di rado, come testimonia D. Cantatore, una particolare solidarietà "La pittura e la poesia venivano unite nei discorsi che si svolgevano in una camera di Via Rugubella al n. 9, celebre per gli artisti che ritenevano lo studio, De Pisis, Marini, Savinio e in cui era anche il mio studio. Spesso Leonardo posava per dei ritratti che sono rimasti appesi alle pareti della sua camera: in un certo senso pur essendo lui più giovane di due anni, lo consideravo come un fratello maggiore, mi era di conforto... mi dava consigli, lo sentivo comunque presente nel difendere le mie idee con gli altri, nel suggerirmi argomenti e forma per certi miei scritti. Con lui potevo sfogare le mie amarezze, sapeva cogliere motivi di speranza, di incoraggiamento. D'altra parte lo stesso Sinisgalli poeta ammetteva la lezione degli artisti "Abbiamo imparato molto della frequentazione comune con gli artisti. Credo che i nostri versi, i versi scritti in questi ultimi venti anni, abbiamo raccolto di riflesso i barbagli del loro fuoco".
10) L. Sinisgalli 1992.
11) L. Sinisgalli, Intervista a R. di Poppa, cit., p. 22.
12) RIPETIAMO QUI IN BREVE LA CRONISTORIA DELLE SUE MOSTRE PIÙ NOTE:
Maggio 1962, Personale di disegni e manoscritti presso la Galleria "Apollinaire" di Milano dal titolo I miei inchiostri.
14 Dic. 1962, Personale di 23 ritratti alla Libreria "Ferro di Cavallo" di Roma.
26 Febbraio 1974, Personale di ritratti, di disegni e incisioni presso la Galleria di Carlo Cordano "Bonne a Tires" di Milano col titolo "chi sogna di disegnare".
1978-79, Matera, Mostra-esposizione di 45 pastelli, (riprodotti poi in nero e a colori in un catalogo ora introvabile) presso la Galleria "Il labirinto" di Rocco Fontana.
1980, fonda a Roma con la nuora Ida Borri la Galleria d'arte "II Millennio", inaugurata il 19 Febbraio dello stesso anno con una mostra dei suoi pastelli che riscuote un mirabile successo (23 opere vendute sulle 40 esposte).
1981, 2a Personale di inchiostri, acquerelli e pastelli alla Galleria "Il Millennio". Questa mostra ancora in corso quando giunse inaspettata la notizia della sua morte avvenuta la notte del 31 gennaio.

 

Testo di Marino Faggella                 
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1996

 


 

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