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LE CATTEDRALI DI ANGLONA E TURSI

In this paper the vicissitudes of two important medieval centers like Anglona and Tursi are analysed from an historical-artistic point of view. The episcopal center of Tursi was replaced between the XI and XII century from the new church of Anglona within the process of reorganization of the dioceses afterwards the Norman conquest. Through the analysis of the architectonic and pictorial evidences it emerges the cultural Greek background of these two centers and the contemporary opening towards anglo-norman influences.

Nella valle dell'Agri, abbarbicato sul crinale di un monte fatto di sabbia e di argilla, sorge l'antico abitato di Tursi. Il piccolo centro urbano è caratterizzato da un labirinto di stretti vicoli e scalinate, di case appoggiate le une alle altre, di terrazze panoramiche, di fughe di muri modellati dal colorito bruno della pietra locale.
Un paesaggio lunare di crete e calanchi, arso e solitario, immortalato nei versi di Albino Pierro, unisce l'antica Tursi ad un altro centro che per tutto il Medioevo le contestò il primato, Anglona, oggi documentato solo dal superbo santuario che si erge a breve distanza alla sommità di un colle. La storia di questi due insediamenti e delle rispettive cattedrali ha inizio in un tempo remoto del quale la storia non ci ha restituito che pochi frammenti. La stessa natura dei luoghi, che oggi sembra condizionarne in modo irreversibile i destini, appariva nei secoli del Medioevo completamente diversa.
I fiumi Agri e Sinni, che paiono quasi segnare i confini del territorio, sin dall'antichità erano navigabili (1). Edrisi, un geografo arabo di origine spagnola che per ordine di Ruggero II compilò una descrizione del mondo, ricorda che ancora nel XII secolo le navi trovavano nell'Agri "eccellente ancoraggio", mentre una testimonianza del 1232 riferisce che alla foce dello stesso fiume potevano transitare navi capaci di trasportare almeno dieci cavalli (2).
Ancora esistente fino al secolo scorso era la foresta del pantano di Policoro -"une véritable forêt vièrge" come osserva il Lenormant- che separava la costa ionica dal territorio tursitano (3). In questi territori si era verificata, soprattutto nel corso del X secolo, una massiccia immigrazione greca proveniente dalla Sicilia e dalla Calabria, dovuta, sembra, all'aumento della pressione dei musulmani sulla popolazione cristiana della Sicilia ed alle ripetute razzie degli Arabi in Calabria. La bassa densità di popolazione della Basilicata e gli effetti positivi della messa a coltura di nuovi territori, con il conseguente aumento del gettito fiscale dovuto prevalentemente alla rendita fondiaria, aveva spinto le autorità bizantine ad incoraggiare questi nuovi insediamenti, concentrati particolarmente nella zona del Mercurion, ad ovest del monte Pollino ai confini tra la Calabria e la Basilicata, del Latinianon, nel medio corso del Sinni e in quella di Lagonegro (4).
È probabile che possa identificarsi con Tursi la località citata nella Tabula Peuntingeriara col nome Turiostu o Turioscu, posta sul tratto della via Herculea che collegava l'antica Grumentum con Heraclea (l'attuale Policoro) (5) . La più antica menzione certa è quella del vescovo Liutprando da Cremona che nell'autunno del 968, di ritorno da una missione presso la corte di Costantinopoli, riferisce che le città di Acerenza, Tursi, Gravina, Matera e Tricarico erano appena state elette suffraganee della nuova metropolia di Otranto (6). L'amministrazione bizantina non riuscì però a realizzare del tutto il progetto voluto dall'imperatore Niceforo II Foca. Delle cinque diocesi suffraganeee solo Tursi risultò essere sede vescovile bizantina, probabilmente proprio a causa della più densa presenza greca sul suo territorio, come rivelano i pochi documenti scritti in nostro possesso che rispecchiano una società composta prevalentemente di popolazione ellenofona (7). Sebbene non si conoscano con esattezza i confini della diocesi si può facilmente ipotizzare che essa comprendesse la zona sud-orientale della Basilicata, più una parte nord-orientale dell'attuale provincia di Cosenza (8). Sono pochi i nomi di vescovi greci conosciuti, tutti attestati in documenti dell'XI secolo.
In uno di essi, risalente al 1050, riguardante il monastero greco di Santa Maria di Cersosimo, compare un Michele "nostro santissimo vescovo" (9). Certamente greco è il suo predecessore Leone, e Simeone, attestato dal 1065 al 1068, che appone la sua firma in lingua greca su alcuni documenti (10). La città in epoca bizantina era probabilmente un piccolo centro agricolo, che ancora nel '700 è così descritto da Giuseppe Antonini "fertilissime e amene campagne, tutte coverte di rosmarino, di timo e di serpillo, onde il mele è odorissimo, ed i formaggi di ottima qualità. Le semine vi si fanno abbondantissime; ma soprattutto il bambagia, oltre degli ulivi, che similmente vi sono in abbondanza" (11). Di questa fase della storia della città rimane solo un lontano ricordo nel quartiere della "rabatana" (dall'arabo rabad=quartiere). Il toponimo fa probabilmente riferimento ad
una momentanea occupazione della città da parte dei Saraceni, non attestata da alcuna fonte. Una situazione simile a quella che si verificò nella vicina Pietrapertosa, dove il califfo Luca ne occupò saldamente il castello, compiendo razzie e devastazioni nelle città di Acerenza e Tricarico, lì dove è ancora attestato un quartiere arabo chiamato anch'esso "rabatana" (12). Ricordiamo che negli stessi anni venne fatto prigioniero dai saraceni e probabilmente ucciso Mena, terzo egumeno del vicino monastero greco di S. Anastasio di Carbone (13).
Alla sommità dell'abitato sorge l'antica cattedrale dedicata all'Assunta, conosciuta col nome di chiesa della Rabatana, completamente ricostruita nel XVI secolo ed ulteriormente trasformata nel corso del XVIII, che conserva ancora un piccolo ambiente ipogeo, forse un oratorio, risalente probabilmente al IX-X secolo.
Per avere l'esatta dimensione del territorio tursitano nel corso dei secoli centrali del Medioevo bisogna spostarsi fuori dall'abitato e raggiungere quella che potrebbe essere definita la seconda cattedrale della città, il santuario di Santa Maria d'Anglona, sorta sul sito dell'antica Pandosia, sul pianoro di una collina dalla quale lo sguardo arriva ad abbracciare un vastissimo panorama che verso est giunge fino alla piana di Metaponto ed al mare (14). Lo spostamento della sede vescovile avvenne nel quadro della nuova organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno, all'interno di quel vasto fenomeno di modifica degli assetti istituzionali avvenuti all'indomani della conquista normanna (15). L'azione riformatrice della Chiesa romana, tesa principalmente a sottrarre all'influenza greca i territori soggetti un tempo al dominio bizantino, già a partire dal sinodo di Melfi del 1059 aveva determinato un mutamento nella geografia ecclesiastica della regione (16). Nel 1068 papa Alessandro II aveva accelerato questo processo sottraendo i territori di Tursi, Matera, Tricarico e Gravina alla giurisdizione della metropolia di Otranto per affidarli alla nuova diocesi di Acerenza. È in questo periodo che avvenne il trasferimento ad Anglona, nuova sede episcopale latina in un territorio impregnato di cultura e tradizioni greche. È possibile ipotizzare che dietro questa azione ci fosse la spinta promotrice dell'arcivescovo Arnaldo di Acerenza, uno dei prelati più in vista dell'Italia meridionale, strettamente legato agli ambienti della Riforma ed alle grandi famiglie normanne (17). Per entrambi i poteri il territorio della diocesi tursitano-anglonese era di grande interesse. A partire dagli anni della Conquista nella zona del Bradano e del Sinni si erano formate varie signorie legate a Boemondo di Taranto ed ai suoi eredi. Tra l'Agri e il Sinni era la signoria dei Chiaromonte, i cui feudi si estendevano fino alla Calabria settentrionale, mentre la zona tra l'Agri e il Bradano faceva parte della contea di Montescaglioso (18). Dalle carte in nostro possesso è possibile dedurre che la fascia costiera del mar Ionio, nei confronti della quale il territorio di Anglona rivestiva un ruolo strategico verso le regioni montagnose interne, in epoca normanna subì una vera e propria trasformazione territoriale con la costruzione dell'importante castello di Policoro e del ponte che univa le due sponde dell'Agri, iniziato da Ruggero di Pomareda e portato a termine dalla moglie Alberada, domina Colubrarii et Policorii (19) . La costruzione di questo ponte, di grande importanza per la strada litoranea che congiungeva Taranto alla Calabria, una delle vie di comunicazione più frequentate in epoca normanno-sveva, contribuì ad aumentare l'importanza della zona (20). Oltre a ponti, torri e castelli i nuovi signori diedero anche un notevole impulso alla vita monastica appoggiando e sostenendo l'espansione del monachesimo benedettino. Nel 1155 fu fondato il monastero di Santa Maria del Sagittario, mentre alcuni importanti monasteri greci come Santa Maria di Cersosimo vennero donati da Ugo di Chiaromonte alla potente abbazia di Cava dei Tirreni, alla quale furono in seguito devoluti anche i monasteri di Sant'Andrea di Calvera, di S. Onofrio di Camposirti e di San Nicola di Peratico (21). In un territorio così impregnato di tradizione e cultura bizantina il monachesimo greco non decadde. I signori normanni favorirono le istituzioni monastiche locali, che in alcuni casi vissero una fase di nuovo splendore come il monastero dei SS. Elia e Anastasio di Carbone, che sotto la signoria dei Chiaromonte divenne un centro religioso fiorentissimo, o i monasteri di Sant'Angelo a Raparo e di San Nicola di Peratico (22).
I primi vescovi latini della diocesi di Anglona furono Guglielmo, attestato nel 1167, Riccardo, nel 1172 e Roboan tra il 1179-1181, anche se il titolo di episcopus Tursitanus sopravvisse nella cancelleria pontificia fino al periodo di Innocenzo III (23).
L'inizio dei lavori della nuova cattedrale dovette incrementare il popolamento del piccolo centro abitato dove il 20 novembre del 1092 sostò papa Urbano II. Secondo alcuni studiosi tale evento indicherebbe la data di inizio dei lavori del nuovo edificio (24). Negli anni immediatamente successivi in questo cantiere si verificò l'incontro, assai proficuo, fra alcune maestranze normanne, divulgatrici di modelli di chiara marca occidentale, ed artisti profondamente legati all'ecumene bizantina.
Un precedente edificio religioso, identificato di recente dalla critica nella cappella a navata unica con abside semicircolare, posta sul lato sud della chiesa dedicata al SS. Sacramento, assolse alle funzioni liturgiche negli anni in cui la cattedrale era in costruzione (25).
La chiesa di Anglona, nonostante le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli, conserva ancora oggi i caratteri originali dell'edificio costruito a partire dai primi decenni del XII secolo caratterizzato da un impianto
basilicale a tre navate. L'attuale facciata si presenta con un prospetto a coronamento orizzontale, affiancato da una torre campanaria, che in origine era accompagnata da un'altra torre gemella, sul lato opposto, secondo un modello diffuso nei territori franco-germani ed anglo-normanni. Tra gli esempi superstiti in Italia meridionale ricordiamo la chiesa di San Nicola di Bari, la cattedrale di Acerenza, di Cefalù e Monreale, rispetto ai quali la chiesa di Anglona rivela una certa arcaicità.
Alla cultura di ambito anglo-normanno fa riferimento anche il protiro addossato alla facciata, forse originariamente un portico a forma di nartece, come sembrerebbero indicare le tracce di un muro che delimitano un ambiente rettangolare longitudinale (26). La parte esterna di questo avancorpo presenta un arco a tutto tondo modanato, caratterizzato da un motivo a zig-zag nella fascia interna e da una serie di protomi animali e umane, ciascuna realizzata su un singolo concio, nella ghiera esterna. La parete muraria accoglie nella zona superiore una serie di pannelli, diseguali nelle dimensioni, con le rappresentazioni dell'Agnello mistico e dei simboli dei quattro Evangelisti. Sui lati esterni sono due figure di santi non identificate. La struttura e le decorazioni dell'avancorpo di Anglona non trovano confronti in ambito meridionale. Avancorpi di tale genere sono invece diffusi in Francia, Spagna e Inghilterra, soprattutto in ambito normanno. Lo stesso modo di realizzare l'archivolto si ritrova in Basilicata solo nella cattedrale di Acerenza, dove il protiro è costituito da una raggiera di busti di angeli, affioranti da un banco di nuvole, modellati ciascuno su un singolo concio di pietra (27). Se motivi a zig-zag sono abbastanza diffusi nel Meridione (si pensi, per citare solo pochi esempi, al portale della chiesa di Santa Maria la Nova a Melfi, a quello della cappella del castello di Lagopesole ed al portale di Santa Maria degli Angeli ad Atella (28) ) per quanto riguarda il motivo decorativo più esterno, con corna di animali, orecchie, musi ed una piccola testina umana gli unici referenti possibili si trovano ancora una volta in ambito anglonormanno.
Esempi tipici del XII secolo sono a Iffley e a Great Rollright in Inghilterra, a Saint-Contest, a Fontaine-Henry e Marolles-sur-Ourcq in Francia (29). Rispetto alle opere inglesi e francesi, caratterizzate da una rigida ed astratta stilizzazione, le teste dell'archivolto di Anglona sembrano però avere una maggiore plasticità, elemento che ha spinto la critica ad attribuirne l'esecuzione a scultori locali su ispirazione di modelli normanni. Anche per quanto riguarda i rilievi con l'Agnello mistico ed i simboli degli Evangelisti, eseguiti con una certa rozzezza, si possono trovare confronto con alcune sculture francesi quali Saint-Nicolas-de-Brem (Vandea) e Saint-Georges à Montagne (Gironde), dove è presente anche lo schema dei simboli del tetramorfo inseriti in rilievi rettangolari. Singoli pannelli a rilievo sono inseriti anche sulla facciata della vecchia chiesa di Venosa, nell'avancorpo occidentale che secondo l'interpretazione di Ingo Herklotz faceva parte delle logge reali (30), e sulla parete del transetto settentrionale della cattedrale di Taranto. È stata di recente respinta dalla critica la tradizionale attribuzione delle sculture d'Anglona a Sarolo da Muro, autore del portale della chiesa di Santa Maria di Pierno e dei rilievi della cattedrale di Rapolla. Rispetto ad Anglona queste opere si presentano stilisticamente diversi ad eccezione di una certa rozzezza di esecuzione che potrebbe indicare una dipendenza di Sarolo, nella fase iniziale della sua attività, da una tradizione plastica di matrice occidentale ed anglonormanna.
Diverse furono le fasi costruttive della prima chiesa anglonense, che in origine ebbe un'estensione più piccola rispetto all'attuale. Il primo edificio è leggibile in pianta ed anche all'interno dove, all'altezza della quinta campata, sono visibili le due absidiole laterali, successivamente sfondate, ma mantenutesi sostanzialmente inalterate nella loro originaria struttura. La tipologia di questa prima chiesa si rifà al modello benedettino-cassinese, con absidi allineate, molto diffusa in Italia meridionale fra l'XI ed il XII secolo. Lo stesso uso dei pilastri quadrati all'interno richiama alla mente esempi di area meridionale e salentina (31). In una fase successiva si decise di ampliare la zona del coro, sfondando le absidi primitive, probabilmente in funzione della riforma liturgica del 1215. Le absidiole laterali non vennero distrutte ma inglobate all'interno del nuovo ampliamento, probabilmente per conservare le immagini affrescate funzionali al programma pittorico che rivestiva completamente le pareti dell'edificio. La vivacità coloristica dell'interno è ripresa all'esterno nella struttura del nuovo coro. La ricerca dei valori cromatici è ottenuta con l'impiego di mattoni e mattonelle stampigliate con delicati elementi figurativi. Le superfici murarie sono invece ritmate da archetti pensili e lesene.
Sopra l'abside esterno una serie di arcate cieche a quarto di cerchio si appoggiano l'una all'altra convergendo verso il centro caratterizzato da un arco trilobato di sapore islamico. In realtà nel coro di Anglona si incontrano due differenti esperienze culturali. Se nell'articolazione delle superfici e nella scelta dello schema della finestra absidale le maestranze di Anglona guardarono alla vicina Puglia nel motivo a denti di sega su tre file che caratterizza la parte superiore del semicilindro absidale e nella decorazione triloba sul timpano esterno del coro vennero adottati modelli bizantini.
All'ambito orientale si ispira, inoltre, la soluzione decorativa dell'uso del cotto e delle mattonelle stampigliate, che fa di Anglona un esempio estremamente originale e raro nel panorama dell'Italia meridionale (32). Analoghi esempi sono conservati nel Museo di Potenza, nel Museo Ridola di Matera, nel Museo Archeologico di Reggio Calabria (provenienti dalle chiese di Santa Maria di Terreti e di San Giuliano a Caltagirone), a Gravina di Puglia e nella cattedrale di Barletta, dove mattonelle stampigliate utilizzate come pavimento e risalenti all'XI secolo sono state di recente portate alla luce nella cattedrale di Santa Maria Maggiore. Gli esemplari di Anglona trovano confronto sia in precedenti di area macedone e della Bulgaria tardo-antica e protobizantina (si segnalano anche alcuni esemplari russi esposti di recente alla mostra su Bisanzio di New York) sia islamici (si veda la mattonella conservata al Museum für islamische Kunst di Berlino) (23).
All'interno le navate sono divise da una duplice fila di pilastri a sezione rettangolare che reggono cinque arcate per lato di cui quelle sulla destra sono a tutto sesto mentre quelle sul lato sinistro sono a sesto acuto, rifatte tra il XIII ed il XIV secolo in conseguenza, forse, di qualche evento tellurico o calamità naturale. In tale occasione si perse anche gran parte del ciclo pittorico dedicato alle storie del nuovo Testamento e del santorale che decorava i pilastri divisori della navata, reintegrato fra XV e XVI secolo.
L'imponente ciclo di affreschi, riportato alla luce nel corso degli anni '80 di questo secolo grazie al restauro condotto dalla locale Soprintendenza ai Beni artistici e storici, costituisce l'elemento di maggiore interesse della chiesa. Di questo grandioso ciclo pittorico, che in origine copriva interamente le due pareti della navata, compreso il vano d'ingresso, dove nella controfacciata vi era la rappresentazione del Giudizio finale, ci rimane oggi all'incirca la metà. Il ciclo era integrato dalle immagini degli Evangelisti sui pilastri della crociera, dai Profeti sui pennacchi delle arcate e da numerose immagini di Santi sui pilastri divisori della navata e sulle navatelle laterali. Sul semicatino di destra era raffigurato San Michele Arcangelo, ancora parzialmente identificabile dopo lo sfondamento delle absidi avvenuto in epoca moderna, mentre non più riconoscibile è il personaggio dell'absidiola sinistra, dallo sguardo cupo e penetrante, tradizionalmente identificato in San Pietro (34).
Ancora conservati sono invece gli affreschi della parete destra della navata centrale con storie del Vecchio Testamento. Gli episodi, circa quarantuno, sono accompagnati da una serie di iscrizioni in lingua greca. La loro presenza non significa necessariamente che chi commissionò questi affreschi fosse greco, o che la stessa popolazione comprendesse tale lingua. Bisogna ricordare che la lingua greca o latina era ignota ai più e che spesso le iscrizioni non erano leggibili ad occhio nudo, così come ancora oggi si può osservare. Queste iscrizioni indicano probabilmente solo che tale era la lingua dei pittori che lavorarono al ciclo (35).
Il programma della Genesi nella chiesa di Anglona è estremamente somigliante a quello delle chiese normanne siciliane soprattutto di Palermo e Monreale (36). Gli affreschi rivelano un alto livello di stile e racchiudono brani di intenso valore artistico e poetico che rendono la chiesa di Anglona una delle più alte testimonianze della cultura pittorica dell'Italia meridionale. Si pensi alla bella immagine di Eva nella scena del lavoro dei progenitori o a quella delle nuore di Noé mentre sono per entrare nell'arca, con copricapi che le nobildonne siciliane usavano indossare in particolari occasioni. Si osservino poi, nella scena della costruzione della torre di Babele le articolate figure intente al lavoro, che più di altre tradiscono la loro origine da modelli miniati.
Tutte le scene sono caratterizzate da un intenso gusto narrativo e da una grande attenzione verso gli aspetti naturalistici.
Nel ciclo Veterotestamentario sono messi in evidenza gli elementi della tradizione legati ai temi del peccato e della salvazione. Ad Anglona è raffigurato il fallimento dell'uomo sotto l'antica legge e la necessità dell'ordine perfetto di Cristo. Dio salva Noé e la sua famiglia, appare ad Abramo e stabilisce un'alleanza con i suoi figli rinnovando quella con Giacobbe. Nonostante l'uomo continui a peccare (Ebrezza di Noé e Torre di Babele) Dio si rende accessibile attraverso i sacramenti (Ospitalità di Abramo, Abramo e Mechisedek, Sacrificio di Isacco) e la nuova alleanza (Sogno di Giacobbe), prefigurazione della venuta di Cristo (37). Le maestranze che eseguirono queste scene introdussero strutture più realistiche e familiari per rendere la narrazione in modo diretto ed il messaggio divino accessibile a tutti. La vivacità narrativa e coloristica coinvolge direttamente il fedele persuadendolo a sottomettersi alla vita di Cristo ed alla sua Chiesa.
La città di Anglona non arrivò mai a sostituite l'antica Tursi. La residenza del vescovo, il più potente vassallo dei conti di Montescaglioso in un documento pontificio del 1219 è chiamata castrum ecclesiae invece di civitas, mentre nel 1221 compare il termine riduttivo di "casale", indice di un progressivo spopolamento della zona (38). Nel 1320 il capitolo anglonense risulta operare a Tursi intus in choro S. Michaelis (39), mentre il vescovo pochi decenni più tardi sceglie come residenza abituale la popolosa città di Chiaromonte. In realtà una situazione di sottile conflittualità sembra regolare costantemente i rapporti tra i due centri. La vicina Tursi ebbe comunque la meglio sulla sua rivale, che continuò ad esercitare sul territorio un ruolo eminentemente religioso. In epoca angioina la differenza tra Tursi e Anglona sul piano della tassazione è già notevole (40). Nel 1369 una banda di tursitani, che Ughelli definisce Ecclesiae Anglonensis perturbatores, mette a ferro e fuoco la città, risparmiando solo la chiesa (41). L'epilogo di questo difficile rapporto si ha nel 1544 quando papa Paolo III sancisce il definitivo trasferimento della sede episcopale a Tursi, con l'obbligo di conservare il titolo congiunto di Anglona e Tursi (42).
Che la città di Tursi avesse continuato ad esercitare un ruolo politico ed economico di un certo rilievo sul territorio lo rivela tra l'altro la presenza di numerose opere d'arte conservate nella Rabatana, come il trittico con la Madonna in trono con Bambino affiancato da sei storielle laterali con episodi agiografici del Battista e della Maddalena. Eseguito, secondo la Grelle, verso l'ottavo decennio del XIV secolo da un pittore napoletano o pugliese accostato all'autore del ciclo di affreschi nella cappella ipogea della chiesa di S. Francesco ad Irsina e della chiesa della Croce ad Andria l'opera lucana è stata di recente attribuita ad un artista abruzzese chiamato "Maestro di Offida" (dall'omonima città abruzzese da cui prese le mosse) di formazione giottesco-masiana (43). Un secolo più tardi un ignoto scultore scolpisce per la stessa chiesa un bel crocifisso ligneo ispirato ad analoghi esempi fiamminghi di area napoletana mentre in uno stretto giro di anni (1547) la famiglia De Giorgi commissiona, in ricordo del figlioletto morto quindicenne, ad un artista vicino ai modi di Simone da Firenze gli affreschi nella cripta della chiesa con storie della Vergine sulle pareti, profeti, sibille e dottori della Chiesa sulla volta (44). Nella cripta della stessa chiesa si conserva, inoltre, un pregevole presepio, esemplato sul modello del presepe della cattedrale di Matera, eseguito nel 1534 dagli scultori Sannazzaro di Alessano ed Altobello Persio (45).
La nuova cattedrale venne trasferita nel XV sec. all'interno della chiesa dell'Annunziata e nel corso del XVIII secolo, prima per iniziativa di mons. Sabatino poi ad opera del vescovo Quarti completamente rinnovata (46). Fino a poco più di una decina di anni addietro, quando un terribile incendio ha gravemente danneggiato l'intera struttura, si potevano ammirare all'interno un rilievo in pietra raffigurante un'Annunciazione, attribuito al "Maestro di Noepoli" (47), alcune tele di scuola napoletana di Giuseppe De Angeli ed un raro pastello di Teresa
del Po'.


Note
1 FONSECA C.D., "et habitavit secus flumen..." percorsi fluviali di Basilicata in età medievale, in Le vie dell'acqua in Calabria e Basilicata, a cura di C.D. Fonseca, Catanzaro 1995, pp. 239-277;
2 VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona in epoca normanno-sveva. Terra d'incontro tra greci e bizantini, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di C. D. Fonseca e V. Pace, Galatina 1996, p. 29; si veda, inoltre, Pellettieri A., La Basilicata di Edrisi nel "Libro di re Ruggero", in "Basilicata Regione. Notizie", VI (1993), pp. 29-34;
3 LENORMANT F., La Grande-Grèce. Paysage et histoire, Paris 1881, I, pp. 194ss;
4 Per questi problemi generali si veda VON FALKENHAUSEN V., L'Italia meridionale bizantina (IX-XI secolo), in I Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 47-136; HOUBEN H., Il monachesimo in Basilicata dalle origini al secolo XX, in Monasticon Italiae, III, Puglia e Basilicata, a cura di G. Lunardi, H. Houben, G. Spinelli, Cesena 1986, pp. 160-203;
5 BUCK R.J., The via Herculia, in "Papers of the British School at Rome" XXXIX (1971), pp. 70-86;
6 LIUTPRANDO DI CREMONA, Relatio de legatione Constantinopolitanae, ed. J. Becker, in Monumenta Germaniae Historica, Script. Rer. Germ, Hannover-Lipsia 1915, p. 209;
7 Si vedano i documenti pubblicati in TRINCHERA F., Syllabus Graecarum membranarum, Napoli 1865; ROBINSON G., History and cartulary of the greek monastery of St. Elias and St. Anastasius of Carbone, Roma 1928-30;
8 Tali osservazioni in VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 28;
9 FONSECA C.D., Introduzione, in Santa Maria di Anglona cit., p. 12;
10 IBIDEM;
11 VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 29;
12 GUILLOU A., HOLTZMANN W., Zwei Katepansurkunden aus Tricarico, in "Quellen und Forschungen aus ital. Archiven und Bibliotheken", XLI (1961), pp. 13-20;
13 VON FALKENHAUSEN V, La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 29;
14 In generale ADAMESTEANU D., Topografia e viabilità, in Megale Hellàs. Storia e civiltà della Magna Grecia, Milano 1993, pp. 202-202; sugli scavi di Anglona SCHLÄGER H., RÜDIGER U., Santa Maria di Anglona: rapporto preliminare sulle due campagne di scavi negli anni 1965 e 1966, in "Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Notizie degli scavi", XXI (1967), pp. 331-353;
15 FONSECA C.D., L'organizzazione ecclesiastica normanna tra l'XI ed il XII secolo: i nuovi assetti istituzionali, in Particolarismo istituzionale ed organizzazione ecclesiastica nel Mezzogiorno meridionale, Galatina 1987, pp. 77-103;
16 Idem, Le istituzioni ecclesiastiche dell'Italia meridionale e Ruggero il Gran Conte, in Ruggero il Gran Conte e l'inizio dello Stato normanno, Atti delle seconde giornate normanno-
sveve (Bari, 19-21 maggio 1975), 2ed. Bari 1991, pp. 43-66;
17 KAMP N., Vescovi e diocesi dell'Italia meridionale, in Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, a cura di G. Rossetti, Bologna 1977, pp. 379-397;
18 ENZENSBERGER H., voce Chiaromonte, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1980, XXIV, coll. 597-598; CUOZZO E., La contea di Montescaglioso nei secc. XI-XIII, in "Archivio storico per le province napoletane" CIII (1985), pp. 7-37;
19 HOUBEN H., Il "libro del Capitolo" del monastero della SS. Trinità di Venosa (Cod. Casin. 334), una testimonianza del Mezzogiorno normanno, Galatina 1984, p. 145;
20 DALENA P., Strade e percorsi nel Mezzogiorno d'Italia (secc. VI-XIII), Cosenza 1995
21 FONSECA C.D., Introduzione, in Santa Maria di Anglona cit., p. 13;
22 VON FALKENHAUSEN V., Il monastero dei SS. Anastasio ed Elia di Carbone in epoca bizantina e normanna, in Il monastero di S. Elia di Carbone e il suo territorio dal Medioevo all'Età Moderna, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Carbone 26-27 giugno 1992), Galatina 1996, pp. 61-87;
23 VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 30;
24 Si veda la breve vicenda critica dell'edificio in PACE V., Santa Maria di Anglona. Itinerario della sua vicenda storiografica, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 17-25;
25 D'ONOFRIO M., Struttura e architettura della cattedrale. Vicende costruttive e caratteri stilistici, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 43-52, in part. p. 45;
26 ROMA G., S. Maria D'Anglona. Struttura architettonica e decorazione pittorica, Cosenza 1989, p. 32; KLAUSSEN P. C., Il portico di S. Maria di Anglona. Scultura normanna nell'Italia meridionale del XII secolo. Santa Maria di Anglona e la SS. Trinità di Venosa, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 53-59, in part. p. 55;
27 DEROSA L., La chiesa medievale. La scultura, in La cattedrale di Acerenza, a cura di P. B. D'Elia, C. Gelao, pp. 51-68 (in corso di stampa);
28 DEROSA L., Il convento di Santa Maria degli Angeli e la cultura artistica di età angioina ad Atella, in AA.VV. Dal casale alla terra di Atella, Venosa 1996, pp. 115-162;
29 KLAUSSEN P.C., Il portico cit., pp. 53-55;
30 HERKLOTZ I., Die sogenannte Foresteria der abteikirche zu Venosa, in Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno, a cura di C.D. Fonseca, Atti del Convegno Internazionale di Studio (Potenza-Melfi-Venosa, 19-23 ottobre 1985), Galatina 1990, pp. 243-282; KLAUSSEN P.C., Il portico cit., pp. 55-57;
31 D'ONOFRIO M., Struttura e architettura cit. pp. 45-46;
32 MURATOVA X., Sulle piastrelle in terracotta della chiesa di Anglona, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 119-120;
33 KORAC' V., Sur L'architecture de Santa Maria di Anglona, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 115-117; per la mostra su Bisanzio si veda PACE V., in "Gesta" XXXVII (1998), p. 106;
34 FALLA CASTELFRANCHI M., Santa Maria di Anglona fra Roma e Palermo, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 94-95;
35 VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 32; FIACCADORI G., Le iscrizioni del ciclo pittorico di Santa Maria di Anglona, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 99-102;
36 KESSLER H.L., I cicli biblici a Santa Maria di Anglona, in Santa Maria di Anglona cit., pp. 61-71; S. TOMEKOVIC', Le programme hagiographique de Santa Maria di
Anglona et la place des Saints dans les décors de l'Italie Méridionale "Byzantine", ivi, pp. 77-88; PACE V., Il ciclo di affreschi di Santa Maria di Anglona. Una testimonianza italomeridionale della pittura bizantina intorno al 1200, ivi, pp. 103-110;
37 KESSLER H.L., I cicli biblici a Santa Maria di Anglona cit. pp. 69-70;
38 Catalogus Baronum, ed. E. Jamison, Roma 1972, n. 145,152; per quanto riguarda il documento del 1221 si veda VON FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 31; per il documento del 1221 UGHELLI F., Italia Sacra sive de Episcopis Italiae, 2 ed. a cura di N. Coleti, Venezia 1721, VII, coll. 68-69;
39 IBIDEM, coll. 86;
40 FALKENHAUSEN V., La diocesi di Tursi-Anglona cit. p. 31;
41 UGHELLI F., Italia Sacra cit., col. 69;
42 Per queste notizie si veda LISIMBERTI P., Tursi, in AA.VV., Cattedrali di Basilicata, Lavello 1995, p. 100 con bibl.;
43 GRELLE A., Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, Roma 1981, pp. 40, 161-164; ABBATE F., Storia dell'arte nell'Italia meridionale. Il Sud angioino e aragonese, Roma 1998, pp. 75-76, 87;
44 GRELLE A., Arte in Basilicata cit., p. 75; D'ELIA M., Un profilo dei Beni Artistici e Storici della Basilicata, in La Lucania e il suo patrimonio culturale, Roma 1991, p. 47;
45 GELAO C., Altobello Persio e "chompagni": i presepi di Matera Altamura e Tursi con un intermezzo a Gallipoli, in GELAO C., TRAGNI B., Il presepe pugliese arte e folklore, Bari 1992, pp. 63-75; si veda inoltre Restauri in Basilicata 1993-1997, Matera 1998, pp. 22-27;
46 BRUNO R., Storia della città di Tursi, Ginosa 1977, pp. 118-119;
47 GRELLE A., Arte in Basilicata cit., p. 61.

 

    Testo di Luisa Derosa
 tratto da  "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999


 

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