Romano Fea

 

 

LA RAGAZZA CHE VOLEVA UN’ISOLA

 

9

Ma il giorno appresso la trovammo nell’atrio dell’albergo, abbigliata con un vestituccio a fiori dalla gonna larga, mentre spiegava al diffidente portiere di dover vedere i due giornalisti del nord. La scortammo nella sala di soggiorno e ci rassegnammo a  ripetere la prima colazione per avere il pretesto di offrirla a lei e stare insieme più a lungo. Era civettuola, quasi allegra, ci parve libera e tranquilla come avesse diviso con noi soltanto gaiezze di discoteca ed aeree storielle. Mangiò di buon appetito e Sandor riuscì ad interessarla e farla ridere allegramente con l’imitazione d’un brillante uomo politico e d’un troppo noto presentatore televisivo.

Ella disse: -Poiché dovete partire, vorrei lasciarvi il mio indirizzo. Se un giorno vi trovaste annoiati, potreste mandarmi una cartolina dalle vostre città.-

-Io penso che tu abbia bisogno di qualche consiglio. Forse d’un aiuto. Chiedi liberamente.-

-Bisogno, sì. Di soldi. Tantissimi.- E leggendo nei nostri occhi contrarietà e delusione, aggiunse: -Pochi soldi non servirebbero a nulla. Li dovrei consegnare a mia madre e Pasquale se li godrebbe. Tanti soldi, invece, mi permetterebbero di sfuggire alle loro mani, di andarmene via sola, cessando d’essere vittima del loro sfruttamento e della violenza.-

-Che genere di violenza?-

-Io ho diciott’anni. Da queste parti non potrò lavorare, mai più. Né potrò sposarmi. Nessuno m’accetterà come operaia in manifattura o impiegata d’ufficio per per via della fama ambigua d’indovina e fattucchiera che mi son fatta, ma soprattutto per essere vissuta nella casa con Pasquale. Quello, tutti lo conoscono. Sanno di cos’è capace. Ed hanno ragione. Ma indovinano solo una parte del male che può arrivare a compiere.-

-Un energumeno da denunciare ai carabinieri!- sbottai.

-Sì, denunciare!,- era amara e sarcastica, - qualche mese di galera e poi ce lo ritroveremmo in casa più invelenito di ora.-

-Tua madre non reagisce?-

-Lei no. Lei è arrapata. Quell’uomo l’ha resa schiava. Quattro biglietti di banca le tappano gli occhi e la bocca, come la inducono a cercare Pasquale per darsi a lui. Qui ha trovato casa e cibo. Ha dimenticato mio padre. Non si sforza che di ignorare il malaffare che la circonda, e mantenere le cose come stanno.-

-Vuoi partire con noi, stasera?-

Adesso non era più allegra. Si muoveva colla timorosa circospezione d’una vecchia che ha troppo vissuto fra le disillusioni, gli occhi opachi e fuggitivi, il labbro tremante.

-Ho paura. Adesso non sono pronta.-

Sandor s’alzò e le mise una mano sulla spalla: -Quell’uomo ti fa violenza?-

Come morsicata da un serpente ella saltò in piedi e corse via, fuori dalla sala e dall’albergo.

 

Passammo il resto della mattinata a riorganizzare il materiale registrato nei giorni precedenti e preannunciammo alla sede della radio il nostro prossimo ritorno. Scendemmo a salutare le persone che ci avevano aiutato nel nostro lavoro e, infine, ci ritrovammo nella semideserta sala da pranzo dell’albergo. Con movimenti stracchi il cameriere portava e riprendeva i piatti, senza guardarci o dirci alcunché, come offeso dalla nostra partenza. Mangiammo oppressi da  un curioso malessere  che faceva rade le nostre parole e incerti i programmi per le ore che ci separavano dalla partenza.

Finimmo la bottiglia di Primativo di Manduria e fu Sandor, dopo uno schiocco della lingua contro il palato, a proporre di passare dormendo ‘quel dannato pomeriggio’, che la notte sui lettini del treno sarebbe stata lunga e insonne, invasa di luci e fragori. Un poco mi spiacque, perché la rinuncia a una mezza giornata libera in una città da scoprire mi pare un peccato imperdonabile e l’oggi è indiscutibilmente presente e qui e da celebrare eroicamente, mentre il domani, come l’ieri, è soggetto a dubbi e sospetti, se non a beffarda incredulità. L’oggi non è legato a domani, e neppure a ieri, se non per mezzo d’un filo impalpabile, basato su un concetto filosofico di comodo battezzato tempo.

Tentai, insomma, di convincere Sandor a guadagnarsi la grazia d’una mezza giornata di vacanza mobile, ma con uno sbadiglio ed un sorriso di circostanza egli svicolò mostrandosi irremovibile, ed agitando la mano in segno di saluto s’avviò alla scala verso la sua camera.

Rimasto solo, saltai su un’auto a nolo e passai lietamente quel pomeriggio fra le strade della città vecchia, riuscii a fare una puntata a Montescaglioso, mangiucchiai qua e là le specialità locali, piccanti e golose, incontrai gli amici delle corali e delle orchestre bandistiche coi quali reiterammo promesse di scambi di notizie e di cassette registrate. Non tornai a casa prima dell’ora di cena, ed infatti il ristorante era già tutto illuminato. Inutilmente  il portiere telefonò a Sandor ed io mi sedetti a mangiare.

Sandor arrivò un’ora dopo, trafelato, trascinando valigie e borsoni richiusi, s’indovinava, su un caos di camicie e calzini affastellati di furia. Il treno stava per partire.

 

 

10

 

-Un giorno,- disse Sandor, -abbassai lo sguardo e guardai il mio gatto. Mi fissava con occhi che parevano più grandi ed ambigui del solito. Qua e là il suo pelo s’era immiserito e potei scorgere anche macchie di alopecìa. Fu così che m’accorsi che quel gatto s’era presa la sifilide e dovetti farlo sopprimere.-

-I gatti non s’ammalano di sifilide,- gli dissi.

-Allora fu qualche altra malattia, altrettanto grave e di analoga origine sessuale. Della soppressione si preoccupò un ragazzotto, nostro vicino di casa. Dell’eliminazione del gatto, voglio dire.-

-Niente sifilide ai gatti-.

-Se non sifilide, certo qualche analoga malattia, fors’anche più grave. Forse s’era beccata la peste da qualche topo.-

-Peste non saprei, certo non sifilide,- ripetei, nel pigro e disincentivante rotolìo delle ruote sui binari. Avevamo cambiato di treno a Bari e sistemati in un comodo vagone-letto. La notte era calata da un po’: nel treno semivuoto non s’udivano che rade parole dei passeggeri in piedi nei corridoi, a fumare in attesa del sopraggiungere del sonno.

-In ogni modo quel gatto dovette sparire. Pace all’anima sua.-

-Perché tanta fretta di annientarlo? Non si poteva sentire un veterinario?-

-Era un vecchio gatto: un estenuato mercenario pappalatte. D’un egoismo rivoltante.-

-Mercenario?-

-I suoi pochi doveri, peraltro compiuti distrattamente e di malavoglia, mi sono costati un piccolo capitale tra cure e cibi! Neppure la coda muoveva senza la prospettiva d’un premio! Un veterinario, dici? Evvia, tutti i suoi topi li aveva già acchiappati e in ultimo passava il tempo a lamentarsi e sporcare i tappeti. Tutto aveva avuto di quanto la vita può riservare a un gatto.-

-E così, ecco il pretesto della sifilide. -

-Non fare il furbo, Cigliano. Conosco la tua dialettica delle ore pigre: saresti capace di assumere qualsiasi ruolo pur di far procedere la discussione per ore su crinali assurdi,  ben sapendo che a nulla s’approderebbe.-

-E tu, mio buon amico, che proponi di fare in questo frastuono, se non uno stimolante esercizio dialettico? Forse risprofondare in un maledetto sonno improduttivo, pur avendo già sprecato nel sonno le ricche ore del pomeriggio che il destino ti ha riservato?-

-Dormire, dici? Tutto sommato, non ho poi dormito molto. E tu, che hai fatto oggi?-

-Girato qua e là. Assaggiato leccornie. Illuminato colla mia persona gente desiderosa di stringermi la mano. Arricchito i paesaggi delle Murge col mio aplomb.-

-Quand’è così, son lieto d’essere rimasto a letto.-

La luna illuminava il mare tranquillo che per lunghi tratti brillava sulla campagna tiepida. Sandor sbadigliò e si rivoltò tra le lenzuola, la faccia come d’un chierico al termine del ritiro spirituale.

-Mica avresti un paio di tappi di cera per le orecchie? Per via del frastuono.-

-Niente sporchi tappi.-

Parve spazientirsi: brontolò, imprecò, si rivoltò, un paio di volte spense e riaccese la luce azzurra a capo del lettuccio.

-E sia,- disse.

-Sia che?-

-Coi tonti occorre essere espliciti. Debbo farti ascoltare una cosa.-

S’arrampicò, mutande e calzini, al ripiano dei bagagli e dette uno strattone alla cerniera del borsone. Estrasse il registratore, lo attaccò al gruppo di batterie, fece slittare il nastro di ossido di cromo fino a quando il numeratore marcò zero. Allora schiacciò il play ed potei udire il suono d’una voce non ignota, fuori luogo nello sferragliare ferroviario: la voce di Annita stava recitando dolci ed incomprensibili versi, versi in seguito  vennero così tradotti:

 

-Nel giardino tra fiori

e meli  grevi di frutti, celiamo

il disagio d’un secco pomeriggio.

Una bimba di tunica breve

offre acqua tinta dolcissima.

 

Lungo il sentiero roccioso

verso il colle  del tempio

ove un mattino la grigia terra

bevve il rosso giacinto

del mio sangue e del  tuo,

oggi una fonte fluisce

d’acque profonde.

 

Hai atteso Pan e Amore

nell’orto sacro, nel boschetto oscuro

inutilmente. Tra rugiada

tu mentre li pregavi non sapevi:

stavano nel mio letto, senza tema.

 

Non indossare, Erma,

più questa spilla d’oro tra i capelli.

 

Nunzio di primavera, usignolo selvaggio,

sempre accendi la morte della notte...

 

 

11

 

Durante il tempo di quell’ascolto, provai ad interrompere il mio compagno, ma sempre egli mi fece insofferenti cenni di mano per indurmi a tacere ed ascoltare in silenzio. Alla fine, offeso, me ne rimasi davvero zitto, traballante sugli scossoni della mia cuccetta, fino a quando, muto l’altoparlante e terminata la traduzione, Sandor parlò. Esitava, il tono era tono strascicato, noncurante, qua e là esasperando una simulazione di cinismo.

- Una ragazza senza limiti. Ebbene sì, me la sono fatta. La pitonessa. Tutto il pomeriggio con lei. Deliziosa ragazza. Ore indimenticabili. Non sto a descrivere ...-

-No. Non capisco. Fatta?-

-Un gergaccio studentesco per dire d’averla presa. Non capisci? Me la sono fatta, goduta. Sì, nel letto dell’albergo. Svegliati! Annita e Sandor in un letto, lo stesso letto! Ragazza fantastica. Piedi piccoli, snelli. Sarei rimasto ad ammirarli per ore. Collo lungo, mani affusolate. Vita sottile e flessibile, imprevedibile in una pastora di quelle ruvide montagne. Non potevo darmi indisponibile. Ora  credo che mi ami, certo mi ammira, come potrai immaginare.-

-Non ti credo. Lascia perdere. La fantasia ti gioca scherzi ignobili. Per me puoi aprire il finestrino e saltare giù dal treno in corsa. Il fresco ti farà bene.-

Se ne stette zitto per un po’, l’occhio fisso sulla lampadina blu. Poi riprese:

-Lasciami parlare! Sono disposto a raccontarti ogni cosa.-

Avevamo tutto il tempo: -Davvero hai registrato quelle cose, quelle composizioni, nella tua camera all’albergo?-

-Essì! Fra un abbraccio e l’altro. Non vorrei essere giudicato male. Quella donna m’ha attratto coi suoi carmi, ed il mio passato di studioso dilettante dei dialetti eolici è stato irresistibilmente conquistato dalle sue recitazioni cantate di versi imperfetti ma ricchi di analogie, di risonanze. Come disse Walt Whitman: “...qualcosa di assai lontano da un’esistenza miserabile, qualcosa di mai provato, di estatico, qualcosa di strappato dall’ancora e in navigazione libera.” M’ha ridato le piacevolezze di anni lontani, quando unico mio interesse era vivere idealmente tra i felici poeti delle isole: Alceo, Saffo, Anacreonte di Teos. M’ha fatto compiere di persona una quantità di superviaggi temporali in ambienti di cui ritenevo le tracce ormai confinate e quasi perdute tra le pagine delle crestomazie. E poi quell’attrazione s’è mutata nel desiderio, forse un poco folle, di possedere la donna che sa parlare ed evocare con proprietà dei sentimenti per me irresistibili, ricostruire i passi leggeri della fanciulla eolia. In pochi giorni, od ore, il desiderio si acuì, si fece prepotente, e mi ritrovai a fantasticare sui modi di possedere l’autrice, forse inconscia, di quelle magiche atmosfere. Una sorta d’idea fissa.

Pensai a lungo. E decisi che avrei avuto successo se solo avessi saputo darle ciò di cui più crudamente sentiva mancanza e che forse non credeva possibili: la tranquillità e la possibilità di rapporti profondi e non violenti. Questo decisi di fare, così corrispondendo al suo profondo desiderio di vivere una vita lontana dalle sopraffazioni e chiusure patite nella casa del patrigno esecrabile e della madre traditrice del ricordo paterno. Col trascorrere delle ore i miei pensieri cambiarono colore ed il desiderio del suo corpo divenne ossessivo: ormai possedevo la chiave per possederla totalmente. Così ieri mattina ho agito in modo da farla tornare a cercarmi in albergo. È venuta.

Come vedi non si tratta di cinismo. Oppure trovi qualcosa a ridire? Parla liberamente, la mia pelle è in grado respingere qualsiasi predica moralistica! Ma non dimenticare che l’erotismo è la via più potente per entrare nell’istante, per vivere l’istante immobilizzandolo e così uscendo divinamente dal tempo che fluisce in un oceano di banalità.-

Per Sandor le cose positive sono quelle che corrispondono al suo modo pigro e gaudente di affrontare i giorni della vita. Così mi trovai a dirgli: –Come saprai il mio bagaglio d’aggettivi non è scadente. Eppure non ne trovo di adatti al tuo spregevole modo di essere.-

-Mi spiace. La tua è una lacuna grave per un radiocronista! L’aggettivo è il condimento del discorso! Adesso sono combattuto. Tra una felicità senza limiti ed il germe di qualcosa che forse tu definiresti semplicisticamente rimorso. Mentre si tratta d’un sentimento che tu non sapresti mai provare.-

-Pensa tu! E poi ti salta alla mente il gatto sifilitico. Povera ragazza!-

-Se n’è arrivata tutta sola, con un cestello di prugne per noi. Ecco le prugne, ne ho conservate per te. Assaggiale. Non scherzo, sono dolcissime! Evviva, assaggia! Mica sarai in collera con me? Ti garantisco che la ragazza è venuta nella mia camera ... di propria iniziativa. Me la sono trovata sull’uscio, tutta molle e con gli occhi semichiusi. Tu eri fuori ed io, solo come mi trovavo, ancora combattuto tra il fare ed il non fare, ho assistito alla liquefazione del mio istinto di difesa davanti a quell’oceanica tentazione, sono stato vittima d’un attacco davvero non resistibile. Non ho potuto rifiutare. Ma non c’è stata solo la componente sessuale, ti garantisco.-

-Oibò, che altro vi sarebbe stato?-

-Non immagini? Il fascino, lo charme.-

-Di chi?

-Il suo charme, perdiana! Forse tu non riesci ad immaginarmi chinato sulla sua bocca calda e infantilmente morbida: la bocca che canta i carmi che conosciamo. Una bocca in cui nuovi versi fascinosi urgevano, parole e versi finora ignoti quanto invano cercati da quei cani da tartufi che sono gli studiosi di letterature affondate nell’oceano dei secoli...-

-Dunque tu ritieni originali quelle poesie!-

-... poemi ignoti a me e al mondo intero. E infatti, quando stesi Annita nel mio letto e prima ancora che accedessi al suo silenzioso richiamo, ella già mormorava qualcosa su qualcuno che non doveva indossare una spilla d’oro. Qualcosa del genere

 

Non indossare, Erma,

più questa spilla d’oro tra i capelli.”

 

-E tu, dopo aver azionato il registratore,  le sei saltato addosso come un animale!-

-Come un cavaliere adorante. Ma quando smetterai d’essere assurdo, inumano? Mai t’ha solleticato la curiosità di giudicare te stesso? Ti ritieni forse pulito come un uovo? Inossidabile? Hai forse scordato i tuoi trascorsi? Ti devo ripetere quanto di te vanno mormorando i colleghi: che con tutta la tua ciancia evidenzi una lercia mutanda di  moralista dilettante ed ipocrita; e questo spiacevole fenomeno s’è magnificato da quando hai divorziato ed il magistrato ha sancito la colpa di tua moglie. Col tuo moralismo da fumetto della prima generazione tu possiedi l’insolita virtù di far crescere noia e nausea in tutti i disgraziati che ti stanno attorno. Insomma, come vuoi che io abbia preso quella ragazza? Come? Ma con tenerezza, dolcezza, simpatia. Con un germe d’amore in soprappiù. E basta. Poiché così si deve fare nella vita!-

 

Dal vicino scompartimento giunse un significativo bussare di viaggiatori speranzosi di dormire. Sandor interruppe grida e gesti nevrotici, riavvolse il nastro nel registratore, sistemò nervosamente il cuscino, si sdraiò nella luce accecante della cabina e chiuse gli occhi.

-E Ursula?- dissi. Non riuscivo a scacciare il pensiero ch’egli provasse il mio stesso sospetto di star recitando una parte in una commedia scritta da chissà chi.

-Che c’entra Ursula!- sibilò dopo un sobbalzo, - vorrei vederti ritrovare la mente tanto libera da ammettere che quanto accaduto fra le lenzuola dell’albergo di Matera non può avere la menoma attinenza col mio perdurante,  anzi accresciuto, desiderio di coltivare in pace mia moglie ed i miei figli. Ursula! È mia moglie, e basta.-

-Capisco. Un cespo di verdura fruttifera da coltivare. E io?-

-Tu c’entri ancor meno di Ursula. Tu sei mio compagno, peraltro gradito, in alcuni  lavori e incontri. Non altro. Non puoi pretendere di interferire colla mia eventuale esigenza di coltivare, di far fruttificare...-

-Tutto facile, vedo. E Annita, come la vedi in questo paradiso agreste?-

-Annita. Si fa presto a dire Annita! Di quella ragazza tu non sai quasi nulla e pretendi di concionarne sulla scorta di nozioni fantastiche, di illazioni pretestuose. Che cosa puoi saperne tu, vagante per le Murge fra orde di sindaci, maestri di cori e bandisti, insensibile come sei alle esigenze altrui?-

-Forse hai ragione tu. Avrei dovuto proteggerti, ieri pomeriggio. Braccia larghe a sbarrare porta della tua camera, impedendo l’accesso a chiunque e così riposare la tua mente ed il tuo corpaccio tardigrado. In realtà tu sei definitivamente impazzito. Forse hai subito qualche poderoso stress, forse Ursula ti tradisce e vuoi vendicarti? Forse pensi che il tuo pomeriggio con Annita sia stato un virile sacrificio compiuto a testa alta e con sprezzo del pericolo? Per aiutarla a compiere le sue rivalse nei confronti della madre, del patrigno e del destino crudele? Mal che vada beccandoti la sifilide? Ascolta me: lo sregolato Sandor è finito in un’avventura di cui ora teme le conseguenze e va illudendosi di felicità, ma sotto sotto cercando ragioni per rassicurarsi. -

Il treno affrontò una curva ondeggiando poi continuò la corsa fragorosa sulle nostre tempie martellanti. Sandor riprese a parlare con calma forzata, come se fino a quel momento non ci fossimo scambiati attacchi ed insulti, in questo confermandosi superficiale, pasticcione, ma per nulla rancoroso.

-Dì, Cigliano, ricordi la sera in cui trovammo Annita in piazza a Matera, colla parrucca bionda mentre tentava maldestramente di prostituirsi?-

-Ovvio che ricordo.-

-Bene, quella sera era ancora ... illibata.-

-Questo t’ha propinato, fra una stretta e l’altra?-

-Sì, e per quello continuava ad insistere sul suo essere di molto costosa.-

-E poi? -

-Bene, a quell’esperienza era stata spinta dalla madre, la quale aveva promesso al suo uomo una certa somma dovuta con urgenza a fronte di chissacché. Bene, noi pagammo ad Annita quel danaro, come rammenterai. Annita consegnò tutto alla madre la quale lo girò all’amico. L’uomo, che sotto sotto sapeva tutto, volle sentirsi illustrare la provenienza del danaro e strizzò la madre finché questa dovette chiarire. A quel punto il Pasquale gridò allo scandalo, alla maledizione planetaria che sono le femmine ed al disonore famigliare e personale subìto correndo a raggiungere Annita nella sua camera. Furibondo per quello che il suo rustico senso della convenienza considerava un insanabile affronto, saltò sul letto e dopo averla picchiata, ‘battuta’ mi disse Annita, senz’altro la violentò, solo assistito dai demoni della voglia invincibile che s’era cresciuto dentro da chissà quanti anni.Forse fin da quando la ragazzina era arrivata in quella topaia tenuta per mano dalla madre.

La stuprò mentre la madre aspettava in corridoio, zitta e sottomessa! Per Annita quella fu la prima volta. Me l’ha assicurato e non ho ragioni per dubitare. E tu riflettici! Da quella notte ella dovette risubirlo anche più volte ogni giorno, mentre l’energumeno continuava ad insultarla con gli epiteti più ingiuriosi per una donna, nel bestiale silenzio connivente della madre la quale per certo andava racimolando, in quegli spettacoli di violenza, atroci compensi per l’affronto subito nell’essere soppiantata dalla figlia nel desiderio di quell’uomo.-

Ero rimasto senza parole, e persino il fragore delle ruote sui binari pareva sospeso.

-Dopo quei fatti, potrai capire, nella vita d’Annita non rimase più nulla di accettabile. Non la madre. Non la protezione d’una vita famigliare. Non un futuro. Passò giornate d’incubo e, rammenterai, noi la trovammo con le guance gonfie di pianto.-

-Ti venisse un accidente!-

-A me?-

-A te che hai potuto approfittare d’una ragazza in tale stato! E mostri di non renderti conto dell’orribile bassezza dei tuoi gesti! Certo non le avrai rivelato d’essere sposato e d’avere due figli!-

-Ammettiamo che io possa non aver pensato a questo particolare. Infatti non ci ho pensato. Ma tu, intanto, smetti di fare il moralista. La ragazza è arrivata da me, disperata. Forse, per la sua semplicità di pastora trapiantata, io ero unico al mondo pronto e disponibile a darle la speranza di un poco d’umanità, nell’istituire un colloquio, un rapporto serio. Renditi conto dei suoi sentimenti: era appena caduta in un baratro di paura, vergogna, ignominia. Si trovava ad un solo passo da un gesto esiziale: suicidio, omicidio. Cercava un riscatto, la poveretta! Non pensare che io abbia approfittato di lei perché indifesa e debole. Ho passato quelle ore con lei regalandole ...-

-Non ti vergogni?-

-... qualche ora di tenerezza, di pace famigliare. Le ho donato momenti di abbandono, depositando fiori di tenerezza sulle piaghe delle violenze, carezze di riconoscenza per la sua fiducia, e gratitudine e  per la sua straordinaria dote di arricchirci con le sue poesie.-

-In più hai avuto la freddezza di avviare il registratore anche in tale frangente! Su da noi, in Piemonte, vige una definizione per chi compie e poi racconta, compiacendosene, comportamenti come i tuoi!-

-Sarà una brutta parola, suppongo.-

-No, non brutta, ma indicativa: porco. Nulla di meglio che immondo, osceno, biblico suino.-

-Tu mi ritieni un porco?-

La domanda sottintendeva una richiesta di diffuse spiegazioni; m’impancai in una dimostrazione che ben presto dilagò al di là del previsto: -Figliolo, tu sei di nobile origine polacca ed i tuoi onesti nonni sono emigrati in Austria quasi un secolo fa; ti ho in simpatia e confesso che, come collega, non sei quanto di peggio potesse capitarmi. Ma le tue ultime imprese mi pongono alcuni irresolubili problemi personali quando su di te cerco di mantenere il precedente giudizio di giovane avveduto e leale. La tua avventura è sozza, ripugnante, discutibile anche per il più liberale ed accanito difensore. La tua eventuale onorabilità sfuma in un universo d’ipocrisia. Chi sei tu, veramente? Un ragazzotto impacciato ed oppresso dal proprio corpo troppo cresciuto? Un mostro? Un semplice porco? Dovrò ripensarci ed ho un bel numero di ore e scossoni a disposizione.-

Mi resi conto d’aver calcato un poco la mano, ma il medico pietoso fa la piaga puzzolente. Spensi la luce e mi sdraiai, mentre il treno navigava nell’oscurità a fianco del mare placido e buio, raramente venato di luci misteriose.

 

 

12

 

Alla stazione di Bologna ci separammo. Il treno di Sandor partiva pochi minuti prima del mio ed io accompagnai l’amico alla vettura in attesa. Un poco imbronciato, dal finestrino mi chiese di rivedere il mio giudizio sul suo comportamento. Lo invitai a riparlarne a tempo opportuno. Il treno stava già muovendosi e Sandor, affacciato al finestrino, mi stava salutando con la mano quando l’istinto di giornalista mi individuò un vuoto di notizie, e gli domandai se avesse scambiato gli indirizzi con Annita. Egli mi sorrise con aria saputa e gridò che sì, ma ovviamente non aveva potuto darle l’indirizzo di casa sua, bensì il mio. Proprio così, disse: Sandor Patzsch presso Cigliano, ed il mio indirizzo di Torino.

Fu come ricevessi un calcio nello stomaco, poi presi a correre lungo il treno, riuscendo a riavvicinarmi alla vettura dalla quale Sandor seguiva i miei sforzi con la divertita curiosità d’uno spettatore di stadio d’atletica, e potei gridargli un’ultima frase:

-Allora sì, Sandor, sei un porco! Un vero, maestoso porco!-

 

La prima lettera di Annita arrivò il sabato successivo ed io, tenendo la busta in mano come la coda d’una lucertola, telefonai in Austria. Mi rispose Ursula, alla quale spiegai il fatto con le dovute perifrasi.

-Una lettera di quella ragazza di Matera?- mi domandò, precisando ciò che io avevo lasciato nebuloso.

Ammisi che sì.

-Per brevità potresti leggerla a me, io prenderò appunti. Forse tu non ne sei al corrente, ma io so tutto di Annita.-

-Tutto che cosa?-

-Tutto. Quanto le è accaduto col patrigno, la madre degenere e avida, il suo incontro con Sandor. So anche della leggerezza di mio marito nel lasciare il tuo indirizzo alla ragazza!-

-Veramente? Pensi che dovrei aprire la corrispondenza di tuo marito?-

-Apri, apri e leggi! Che vuoi che accada? In qualsiasi momento Sandor è trasparente e leggibile come un quaderno di pensierini delle scuole elementari.-

Trassi la lettera dalla busta e lessi poche, incerte frasi di Annita: ricordo e simpatia, oltre alla speranza di rivedere Sandor, ‘insieme all’amico Cigliano’, al più presto.

-Tutto è a posto, - disse Ursula allegramente, -non si parla di padri truculenti, di vendette ed  onore offeso. Dirò tutto a Sandor, quando torna. Per l’appunto mi sembrava piuttosto cupo, traurig, in questi giorni. Il mio povero indaffarato Sandor.-

Tutta la freddezza derivante dalla mia esperienza, che ora sento di dover sospettare piuttosto chiusa e forse provinciale, esalava al cospetto di una tale galattica serenità. In fondo, ahimé, dovevo ammettere di conoscere ben poco del modo di pensare e vivere delle persone viventi fuori della mia cerchia. Malgrado gli anni della mezz’età e la frequentazione di gente d’ogni tipo, taluni esemplari umani riuscivano ancora a sorprendermi. Sorpresa sovente sgradevole ma anche utile per la mia conoscenza della natura umana. Ecco comportamenti capaci di prevenire le crisi coniugali! Un atteggiamento olimpico! Donna fantastica, quell’Ursula!

La seconda lettera-espresso di Annita giunse dopo una decina di giorni: in scarne parole preannunciava l’arrivo della ragazza, in viaggio nel treno notturno, per il mattino successivo. Malgrado tutto, questa volta non mi sentii di telefonare a casa di Sandor, col rischio di dover dire alla pur impassibile Ursula, che una ragazza innamorata di suo marito e bisognosa di protezione ed aiuto, stava personalmente arrivando in visita dopo essere fuggita di casa.

Provai col numero del telefono portatile di Sandor, e questa volta fui fortunato. Lo avvisai di tutto, addebitandogli i necessari provvedimenti e stavo per troncare burberamente la comunicazione quand’egli m’interruppe sgridando la mia furia e mostrandosi meravigliato per il mio comportamento che definì per nulla amichevole e ‘carente di pietà verso quella poveretta. Che doveva essere fuggita di casa tra mille sotterfugi e pericoli, dopo essersi procurata, chissà come, il danaro necessario per il viaggio ed ormai da molte ore se ne stava su qualche vetusto carrozzone, sballottata su sozzi sedili di plastica, esclusivamente per raggiungere noi due, uniche persone al mondo che le abbiano manifestato simpatia e segni di collaborazione.-

-Noi?- gli gridai, incredulo per  l’infingardaggine diffusa via etere.

-Noi, certo, chi altri? Rammento benissimo quell’ultimo pomeriggio: parlò di te con simpatia...-

-Di me? Amico, tu mostri di non essere un creatura pensante, ma un baule di caramelle mal digerite appoggiato su un paio di scarpe maniacalmente lucide!- e senza dargli modo d’ntervenire lo diffidai formalmente, invitandolo ad essere puntuale il giorno successivo alla stazione di Torino; -All’arrivo del treno preleverai la tua amante, senza neppure farmela vedere, per portarla a casa tua e presentarla alla tua consorte ed ai tuoi figli come una poetessa di duemilaseicento anni orsono. Dopodiché ne farai ciò che potrai, sbrigandotela da solo. Per quanto mi riguarda, la questione è chiusa fin da ora. Se non l’hai inteso dal tono, ti avviso che sto per chiudere la comunicazione.-

Per nulla imbarazzato, l’amico la mise sul faceto: - In quanto piemontese tu sei un po’ francese, non è vero? Otto volte su dieci i francesi mangiano alla francese; le altre due volte mangiano un’omelette. Per l’appunto, debbo comunicarti formalmente che domani non potrò assolutamente esentarmi da un servizio per la nostra amata emittente radio presso i minatori di grafite in Stiria, per cui ...-

Lo interruppi con imprecazioni e maledizioni, ma fu lui a chiudere proditoriamente il collegamento e  rendermi impossibile di riottenere la comunicazione. Solo a notte inoltrata potei pescare Ursula, la quale mi confermò che il marito era già in viaggio  per la Stiria.

Tra rabbia ed apprensione passai la notte in bianco ma, con subalpina precisione, il giorno successivo alle ore nove ero alla stazione di Porta Nuova, in piedi sul salvagente. La figurina della chiromante-indovina lucana si materializzò accanto a me, il viso fresco e sorridente come non fosse giunta col treno ancora fremente in capo al binario e non avesse sulle spalle una nottataccia.

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"La ragazza che voleva un'isola":
 

H O M E

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