II
Dagli stessi uscii
vennero fuori sapienti e buoni...
virtuosi che si diedero alla vita
con la pazienza di chi
(delicato)
intaglia un giglio nel legno di un acero...
e più in là
(solo un passo più in là)
aguzzini malvagi il cui sorriso non s’è mai
infranto
(se non nel nostro più recondito desiderio)
in un ghigno di dolore.
Non riposano forse quei virtuosi e quei malvagi
oggi
nella stessa terra consacrata...?
Non siedono alla stessa tavola di un padre che
non distingue i suoi figli...
i primi più degli ultimi dimenticati nel fondo
del
cuore degli uomini...?
Dovemmo imparare a nostre spese
quanto crudele è il mondo...
accusare sulla nostra pelle gli sbagli di un Dio
che
per errore o distrazione
plasmò la vita ingabbiandola in un circolo
terribile.
Un lupo che mangia l’agnello / un fiore che ben
presto
perisce e che rigenera
sui suoi resti
un nuovo germoglio / il forte che prevale sul
debole /
il ricco sul povero / il bello sul brutto / il
potente sull’uomo
della strada ...e questa morte che non fa
distinzioni
e tutto accomuna.
Dov’è la perfezione
(utopia agognata)
di questa natura da noi così tanto
decantata...?
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