Roberto Zito

 

 

NON PER ME E’ QUESTO TEMPO DI RESURREZIONE


I


Su questa riva lontana io t’aspetto

ed anche qui mi giunge il tuo respiro

soffice
come la schiuma che cresce tra le onde

mosse dal maestrale.

Come un randagio

io bevo e m’inebrio

e di questo acre vino

ne faccio nettare e linfa

per il mio ottuso pensiero.

Solo sui passi incerti
prende corpo l’antico incedere della poesia

ma tra gli ingranaggi del vivere a nulla serve

l’innaturale sforzo se non a rendere la mia

fine più vicina.

Che illusione
                                             - mia vita -
che illusione
voler descrivere e analizzare e trasmettere

ciò che neanche si comprende.

 


II


Ben altre donne ho conosciuto
che nei bordelli e nelle Hall degli alberghi.

Ben altra immoralità
tra il velluto e gli arazzi pregiati che non

quella di chi ti sfila tra le dita pochi

spiccioli di dollaro.

La mia parte migliore è andata per sempre

seppellita tra le pieghe di una normalità che

neanche mi appartiene e della mia anima già

in ognuno è svanito il ricordo del rosso

vermiglio.

Chi sa di Petra
                                - la culla dei Nabatei -
può comprendere in quanti cocci si è infranto

il mio cuore.
In quale vento si disperde
lo splendore custodito nella friabile roccia e

della polvere che plana dalle rovine sulla nuda

terra privata del luccichio degli ori e dei

metalli preziosi.
Ma per gli uomini
per gli stupidi uomini
che dell’amore ne hanno fatto una scienza

e della poesia una branca del superfluo io

non sono che un verme.
L’ultimo e il più inutile degli esseri.
Un uccello deforme e privo d’ali che

s’aggira sui resti della sua casa crollata

sotto i colpi della propria utopia.

 


III


Non per me dunque

è questo tempo di resurrezione.

Il non senso delle parole e la

vacuità delle azioni.
La grande storia
                              - infinita menzogna -

scritta dai tanti
                                              - troppi -

che dispensano certezze e soluzioni.

L’Egitto, la Grecia e l’arte delle origini.

I Faraoni e i Re che
                              - nell’infantile gioco -

presentano i costi necessari.

Giullari, cortigiane e dame

e fanti e grandi sacerdoti.

Non di legno ma di carne e sangue

sono fatti i 64 quadrati dell’immutata

scacchiera.

 


IV


La metrica
è l’insieme
delle norme che regolano

la composizione dei versi.

Ma non serve melodia per rappresentare

il semplice ululare di un cane.

Il frutto acerbo cela nel suo seme il verme

ed in ognuno ben visibile è già la piaga che

lo farà marcire.
Le case crollano pur in assenza di incuria

e più in là madre e figlio
                 - finiti con un colpo alla nuca -

ricordano il giusto prezzo da pagare.

Arde in fretta la fiamma
tra i ceri di un candeliere

e neri scialli
non dissimili da icone di un lontano oriente

si avvicendano in ossequioso omaggio al

chiodo della croce.
È una labile tregua che ci offre il silenzio

avvolto alle gotiche arcate di una cattedrale

ma nel bianco delle pupille già scintilla la

traccia di una nuova vendetta.

Paenitentia / Irrita spess!”

Penitenza / Speranza vana!”

 


V


Crisalidi
gli occhi si schiudono al mondo

e nuovi voli
si portano al ramo del biancospino.

Ma l’insania virtù del vedere non è certo un dono

quando allarga l’orizzonte su miseri scenari.

Concepita da un’infetta ferita la realtà mai

mantiene le sue promesse e dolori lancinanti

s’annidano dietro l’imperituro tempo.

Silenti le ombre si rincorrono sui muri e s’aprono

il solco
                  - tra le abbazie e gli antichi manieri -

all’impercettibile moto dei millenni.

Copernico, Keplero, Gallileo e Newton e Einstein...

e prima ancora Pitagora, Erastotene e Tolomeo...
                                  - da un unico filo legati -

dalla toppa di una serratura hanno innalzato teorie.


Ma quanto più la scienza
s’addentra nei criteri delle sue logiche tanto più

l’involucro ed il suo contenuto diventano il frutto

irrazionale di un giuoco.

Di Durell
e della relatività con le quattro operazioni l’Alice al

di là dello specchio non appare certo meno “vera”

dell’altra...
e nelle profondità degli oceani un pesce mal

concepisce l’autentica natura dell’acqua.

Scienza o poesia che sia
è appena un battito quello racchiuso

nell’arco di un giorno e una notte.

 


VI


Ma è da questo battito

che sono approdato alla tua isola.

Muovendo da questo vuoto

sono arrivato fino a te che neanche

ho conosciuto.

E tu eri li con la tua voce azzurra.

Tu eri li
come un pomeriggio

in mezzo all’estate
e tra le mani
- che neppure conoscevi così intrise di purezza -
contenevi i miei silenzi e i miei dolori.

Di cos’altro potrei parlare
se non della scintilla che fu la stessa di Lazzaro

quando uscì dal sepolcro e dei tuoi occhi che
                                      - inconsapevoli -
si sono aperti a nuovi varchi tra le mie piaghe.

Cos’altro potrei narrare
a questi idioti contabili che mi restano intorno

abituati a far di conto sulle dita di una mano

se non del baratro che si nasconde dietro

l'apparenza di una linea.


Ma oggi
che vadano al diavolo anche loro e me stesso

e le mie parole finite negli abissi e mai riemerse.

Vadano al diavolo le mie domande e le risposte

che non ho trovato.

Oggi non aspetto che te.

Ed anche su questa mia riva lontana tu mi giungi

magnifica e stupenda come solo le opere incompiute

sanno essere.

E con te che io sono in quest’attimo

e da nessun’altra parte.

Con te.
Tra i tavoli di un Caffè.
Con l’odore dei biscotti appena sfornati che si

disperde nell’aria ed in un breve fiato mi riporta

al sapore buono del pane.
 

 

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