Roberto Zito

 

 

Scendono dai pendii stelle filanti

 

I

 

Scendono dai pendii

stelle filati.

Disteso/
nel buio della notte/

tra gli alberi della pineta/

su di me le lascio scivolare

e giammai vorrei diventasse

mattino questo nero silenzio.

Certo non è di ieri

l’ilare tempo dei giochi!

sono svaniti nell’argilla

i bimbi nascosti nei calanchi/

e non è più la stessa

l’antica rupe che allunga la sua ombra

come un tetro presagio sui sentieri.


Avrei dovuto capirlo/
in giugno quando un mostro meccanico

risaliva la china inghiottendo le spighe di grano/

che le stagioni non durano a lungo.

Avremmo
                 - tutti noi -

dovuto capire l’inganno
celato nei mille rivoli del tempo.

 


II


Ma lasciatemi cosi.

Non disturbate il mio sonno.

Lasciatemi.
Lasciatemi al suolo/

con il solo
mio soffice guanciale

di libri e fogli ingialliti.

Dylan, Charles,Vincent,Amedeo
                       - miei fratelli -
che ne hanno fatto gli uomini

del vostro grido disperato?

Che ne è stato del vostro cuore...

Ricacciato nelle profondità dell’oblio

o lasciato allo scempio dei vermi.

 

In fondo non mi restate che voi.


Io a voi simile/

non per virtù
ma per lo stesso malessere del vivere.

Come voi dovrei bere/
affogare nel nettare di un calice i miei dolori/

ricacciare in gola le mie urla
e vomitare la mia disperazione e le mie viscere.

Come voi/
con le mie mani/

intrecciare la corda
ed issare la mia anima alla cima più alta.

Sovrapposta immagine

quella dei vostri volti

che si confondono ai miei tratti.

Sovrapposta
la mia alla vostra voce.

Tenete duro
          - miei diletti compagni -

tenete duro.


I falò che incendiano le tenebre
aprono il solco a nuove semine
e non è mai così lunga la notte.

Mai così lontana l’alba.

Saltellano tra i rami i miei ricordi/

volteggiando se ne vanno
i miei e i vostri sogni.

Leggiadri
          - nel triplice volo dell’angelo -

come i trapezisti del circo
si rincorrono nell’aria e non toccano terra.

Non toccano terra.

E’ una macchia ocra la luna nel cielo/

una lama aguzza e ricurva la sua falce

e
               - un ghigno o una ferita -

nello scuro azzurro il suo sorriso.

 

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