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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

A Vigne - La Vigna

La vigna della Torre Molfese, una delle ultime ancora in attività alla contrada Torre, ha quasi 79 anni, la età di chi scrive. La data certa di nascita dell’impianto viene da una testimonianza di Francesco Tedesco, amico di famiglia, ora non più tra noi, che mi ha riferito una circostanza in relazione a queste date. Ricorda che lui giovinetto era condotto da un suo parente in campagna impegnato nella piantagione della vigna.
Attualmente sono le macchine che movimentano il terreno e rendono l’opera meno faticosa e fattibile in tempi limitati, ma un tempo, negli anni 40, erano le braccia dell’uomo le sole che compivano l’opera.
Individuato il terreno da piantare a vigna, solitamente si realizzava l’impresa in occasione di qualche evenienza particolare, la nascita di un figlio, un matrimonio o qualche altro evento gioioso da ricordare.
Il terreno doveva possedere caratteristiche di esposizione a mezzogiorno e con fili e canne lo si squadrava e si ponevano i segni dove si sarebbero dovute piantare le barbatelle (si individuavano i filari, le distanze fra loro e tra le singole barbatelle).
Generalmente quando si aveva a disposizione terreno a sufficienza, ogni due o tre file di vigna si lasciava terreno libero, dove si sarebbero piantate leguminose (fave, favette), che permettevano un raccolto supplementare e nello stesso tempo concimavano, con l’azoto incamerato, il terreno.
Con zappa e piccone si realizzavano buche profonde anche un metro, dove venivano deposte a dimora le barbatelle selvatiche. Era necessario porre il selvatico per il primo impianto, dal momento che era non soggetto alla filossera, che tra gli anni 20 e 30 aveva distrutto tutte le nostre vigne.
Appena il tralcio piantato entrava in vegetazione si innestava, secondo le regole di allora, e le varietà erano distribuite a seconda dei desideri del proprietario, ma tenendo sempre conto del fatto che dovevano essere idonee a produrre del buon vino.
A Sant’Arcangelo a quel tempo le varietà che erano in auge erano: Amineae, Lucanum, Giosana.
La vigna è cresciuta, ha prodotto per tanti anni uva di ottima qualità, tanto che in tutta la valle dell’Agri era rinomato il vino di San Brancato e della Torre in particolare.
Molti possessori di vigna, quando questa diventava vecchia (al massimo dopo 20 anni), erano soliti spiantarla a causa delle basse rese.
Chi scrive, ritenendo di conservare un patrimonio che non sarebbe comunque possibile rinnovare, ha curato e cura ancora la vigna con enorme difficoltà, in quanto il lavoro deve essere compiuto con la zappa, dal momento che le piante non sono state impiantate a filo ma a sede incerta, motivo per cui il lavoro non è eseguibile a macchina.
Non ha intenzione di spiantarla, dal momento che i vitigni presenti in essa possano rappresentare la memoria degli immensi vigneti che si estendevano a vista d’occhio insieme agli ulivi per la contrada Torre.
La zona di Sant’Arcangelo, insieme a quelle di Roccanova e Castronuovo, è stata inserita nella zona dei vini a denominazione geografica e già qualche istituto di ricerca ha richiesto allo scrivente di permettere la raccolta di tralci di viti per lo studio genetico delle piante. Una simile richiesta è stata avanzata anche dalla California, dove sono in progresso studi approfonditi sui vitigni di Basilicata.
Il presente articolo è stato scritto in occasione dell’iniziativa che l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige ha preso per valorizzare i vitigni più antichi, su richiesta anche di una Università Americana interessata ritrovare vitigni ormai scomparsi e che certamente sono presenti nella vigna di Torre Molfese.

 

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