A Vigne - La Vigna
La vigna della Torre Molfese, una delle ultime ancora in attività alla
contrada Torre, ha quasi 79 anni, la età di chi scrive. La data certa di
nascita dell’impianto viene da una testimonianza di Francesco Tedesco,
amico di famiglia, ora non più tra noi, che mi ha riferito una
circostanza in relazione a queste date. Ricorda che lui giovinetto era
condotto da un suo parente in campagna impegnato nella piantagione della
vigna.
Attualmente sono le macchine che movimentano il terreno e rendono
l’opera meno faticosa e fattibile in tempi limitati, ma un tempo, negli
anni 40, erano le braccia dell’uomo le sole che compivano l’opera.
Individuato il terreno da piantare a vigna, solitamente si realizzava
l’impresa in occasione di qualche evenienza particolare, la nascita di
un figlio, un matrimonio o qualche altro evento gioioso da ricordare.
Il terreno doveva possedere caratteristiche di esposizione a mezzogiorno
e con fili e canne lo si squadrava e si ponevano i segni dove si
sarebbero dovute piantare le barbatelle (si individuavano i filari, le
distanze fra loro e tra le singole barbatelle).
Generalmente quando si aveva a disposizione terreno a sufficienza, ogni
due o tre file di vigna si lasciava terreno libero, dove si sarebbero
piantate leguminose (fave, favette), che permettevano un raccolto
supplementare e nello stesso tempo concimavano, con l’azoto incamerato,
il terreno.
Con zappa e piccone si realizzavano buche profonde anche un metro, dove
venivano deposte a dimora le barbatelle selvatiche. Era necessario porre
il selvatico per il primo impianto, dal momento che era non soggetto
alla filossera, che tra gli anni 20 e 30 aveva distrutto tutte le nostre
vigne.
Appena il tralcio piantato entrava in vegetazione si innestava, secondo
le regole di allora, e le varietà erano distribuite a seconda dei
desideri del proprietario, ma tenendo sempre conto del fatto che
dovevano essere idonee a produrre del buon vino.
A Sant’Arcangelo a quel tempo le varietà che erano in auge erano:
Amineae, Lucanum, Giosana.
La vigna è cresciuta, ha prodotto per tanti anni uva di ottima qualità,
tanto che in tutta la valle dell’Agri era rinomato il vino di San
Brancato e della Torre in particolare.
Molti possessori di vigna, quando questa diventava vecchia (al massimo
dopo 20 anni), erano soliti spiantarla a causa delle basse rese.
Chi scrive, ritenendo di conservare un patrimonio che non sarebbe
comunque possibile rinnovare, ha curato e cura ancora la vigna con
enorme difficoltà, in quanto il lavoro deve essere compiuto con la
zappa, dal momento che le piante non sono state impiantate a filo ma a
sede incerta, motivo per cui il lavoro non è eseguibile a macchina.
Non ha intenzione di spiantarla, dal momento che i vitigni presenti in
essa possano rappresentare la memoria degli immensi vigneti che si
estendevano a vista d’occhio insieme agli ulivi per la contrada Torre.
La zona di Sant’Arcangelo, insieme a quelle di Roccanova e Castronuovo,
è stata inserita nella zona dei vini a denominazione geografica e già
qualche istituto di ricerca ha richiesto allo scrivente di permettere la
raccolta di tralci di viti per lo studio genetico delle piante. Una
simile richiesta è stata avanzata anche dalla California, dove sono in
progresso studi approfonditi sui vitigni di Basilicata.
Il presente articolo è stato scritto in occasione dell’iniziativa che
l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige ha preso per valorizzare i
vitigni più antichi, su richiesta anche di una Università Americana
interessata ritrovare vitigni ormai scomparsi e che certamente sono
presenti nella vigna di Torre Molfese.
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