U Metetore - Il Mietitore
Il tempo della mietitura iniziava a S. Vito (15 giugno) e si protraeva
sino a S. Paolo e S. Pietro (29 giugno). Vi erano mietitori che venivano
da altri paesi e non era raro vedere gente dormire per strada sulla nuda
terra, a giugno, con uno zaino che fungeva da cuscino, in un angolo
della piazza vicino la farmacia. All’alba venivano svegliati dalle
campane ed andavano a fare i loro bisogni corporali sotto il mattatoio e
la faccia se la lavavano al fontanino di fronte la chiesa, poi si
recavano alla ricerca del lavoro. I mietitori di professione venivano
ingaggiati a squadre durante l’inverno, alcuni leccesi, che ogni anno si
spostavano nella nostra regione per lavorare. Portavano in un piccolo
tascapane tutto l’occorrente per il lavoro ed in particolare la falce.
Il mietitore vestiva un grembiule, “sinale”, di pelle o canapa per
evitare che le ariste potessero penetrare a contatto della pelle.
Introduceva al braccio sinistro “u vrazzale” di stoffa o pelle e alle
dita venivano inseriti “o cannielle ”, cilindretti di canna che
servivano per proteggere le mani dal taglio accidentale della falce.
A llu male metitore li ntroppicano o cannielle. Al cattivo mietitore gli
sono d’impaccio i cannielle.
Il mietitore con la mano destra impugnava la falce e tagliava un
“manipolo” che sorreggeva con la mano sinistra e con tre o quattro
falciate formava “o sciermite”, che annodava con lo stesso mietuto, che
lasciava in terra. O sciermite venivano raccolti dal legante sino a
formare “na gregna”, cioè un covone. Più covoni formavano “na meta”.
Il mietitore, da sole a sole, cioè dal sorgere del sole al tramonto,
curvo a mietere, protetto da una paglia in testa e una maglia di lana
(sic!) di pecora, era sempre assetato a causa del grande sudore. L’
acqua contenuta “nda gumula”, un contenitore di creta, era posta
all’ombra sotto una pianta, quasi sempre sotto “u calapricke” =
perastro. Quale volta “si passava” anche il vino; il vino nda lanta sul
posto di lavoro passava ogni due ore, a iaska era il fiasco del vino dal
cui becco veniva assunto da ciascun mietitore. In questo modo vi era un
apporto di zuccheri che teneva alte le forze, il corpo e l’animo dei
mietitori. Il vino non doveva mai mancare.
Si mangiava in queste fasi;
• “u muzziconə” era costituito da pane, pomodoro, formaggio, cetriolo;
• “u matin” era costituito da pane, aglio, lardo;
• “a fell pane”, insalata di pomodoro, cipolla ed altri vegetali
preparati in piatti di terracotta;
• “u menzejuornə”, verso le ore dodici, si faceva un pranzo; il cibo era
composto a base di pasta, zuppe di verdure: zucchine, carciofi, frittate
ecc. ed un quarto di litro di vino consumato nta lanat sul luogo di
lavoro. Dopo pranzo si riposava per circa un’ora.
• “a murenne” pane, formaggio e vegetali (pomodori, cipolla, aglio,
molto aglio, ricotta salata, lattuga.
La cena aveva diversi nomi; era composta da cibi vari e sostanziosi. Si
concludeva la serata con canti allusivi, profani, balli pudici “pə non
fa parlà a vucc du munnə”, per non alimentare i pettegolezzi; qualcosa o
molto di concreto si faceva in clandestinità, con discrezione, lontano
da occhi indiscreti.
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