Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"

 

 

PARTE II°  -  A IQUIQUE E PICA. LE IDEE NUOVE DEI LUCANI - Maria Schirone
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A Iquique. Dove il deserto incontra l'oceano - 1° A Iquique. Dove il deserto incontra l'oceano - 2° A Iquique. Dove il deserto incontra l'oceano - 3°
A Iquique. Dove il deserto incontra l'oceano - 4° A Pica

SCHEDA V

 

LA MATANZA” LA TRAGEDIA DI IQUIQUE.*

 

Il 4 dicembre 1907 i lavoratori delle Ferrocarriles Salitreros iniziarono uno sciopero a oltranza per l’aumento dei salari e migliori condizioni di vita all’interno delle oficinas, dove non esisteva altra legge che quella imposta dalle Compagnie minerarie, lI 9 si unirono i portuali.

Sembrava uno sciopero come altri. Ma stavolta vi fu una risonanza in tutta l’area estrattiva. Lo sciopero rappresentava il culmine del malessere dei lavoratori per gli abusi che si perpetravano da tanti anni nella pampa salitrera.

Il 10 si estese alla Oficina San Lorenzo. Da qui un corteo di lavoratori si diresse alla vicina Cucina Santa Lucia, che bloccò l’attività. Intanto al movimento aderivano altre officine. Fino al 14 dicembre, erano circa 30 quelle scese in sciopero, I lavoratori, raccoltisi nei punti strategici della rete ferroviaria, si mossero verso lquique per trattare con le autorità e i magnati del nitrato. Il 15 arrivarono in città in gran numero. Vennero fatti concentrare all’ippodromo municipale.

Vi fu un primo incontro tra i rappresentanti dei lavoratori e i padroni, che chiesero otto giorni per valutare le petizioni, ma aggiunsero che non sarebbero state tollerate manifestazioni contrarie all’ordine, alle persone e alla proprietà. Gli operai risposero che non sarebbero tornati al lavoro in mancanza di garanzie.

Queste alcune delle richieste degli scioperanti:

- Soppressione dei buoni di pagamento (fichas) e sostituzione con denaro corrente;

- libertà di commercio all’interno delle oficinas (che erano vere e proprie città con attività e servizi);

- concessione di locali in cui tenere scuole serali per gli operai;

- nessuna ritorsione verso gli operai partecipanti allo sciopero; nessun licenziamento senza preavviso o indennizzo;

- contratto di lavoro firmato dai padroni e dai rappresentanti degli operai.

Intanto i dirigenti operai delle varie Officine dei cantoni del nord formarono un Comité Central Unido e con una petizione chiesero al Presidente Pedro Montt di esprimersi ‘in difesa del popolo oppresso’.

Gli operai furono trasferiti nella Scuola “Santa María”.  In segno di solidarietà anche altri settori cittadini scesero in sciopero: lquique aderiva ai movimento. La città era sede del consolato britannico, che sollecitò al governo centrale richieste di ‘garanzie per l’incolumità degli stranieri’.

Gli operai in sciopero erano sempre più numerosi, nuove colonne arrivavano dalle salitrere; tuttavia non si registravano disordini, come conferma la stampa di quei giorni. “Los huelguistas no cometieron ningún desorden importante, ni amenazaron a la población, los patrones o la autoridad; nipretendieron sustituira ésta...”

Dal 17 cominciarono ad arrivare da Arica e Valparaíso truppe e navi da guerra. Il 20 a sera i militari spararono su altri operai in marcia verso la città. Fu proclamato lo ‘stato d’emergenza’, istituita la legge marziale e la censura sulla stampa; gli operai furono bloccati tra la Scuola Santa Maria e la piazza contigua. Con soddisfazione degl’industriali del nitrato che, resi già più forti dalla presenza di navi e truppe, vedevano ora l’inizio della fine del movimento operaio.

La mattina del 21 giunse dal presidente Montt la proposta di accordare un aumento di salario. Rifiutata con freddezza dalla parte padronale che insisteva perché gli operai abbandonassero subito la città e tornassero al lavoro. La polizia sosteneva esservi un piano degli scioperanti per mettere in atto saccheggi e incendi. Vennero convocati i rappresentanti dei lavoratori per discutere la situazione, ma il Comitato, temendo una trappola, rifiutò, stante la legge marziale con la quale i dirigenti operai avrebbero potuto rimanere bloccati.

Nel pomeriggio le autorità decisero di trasferire e concentrare tutti gli scioperanti nel Club de Sport (Hipódromo) per allontanarli dal centro della città e per forzarli a rientrare verso le salitrere. Gli operai (in numero dai 5 ai 7 mila, con bandiere di varie nazionalità) rifiutarono il trasferimento forzato, dichiarando di essere “vìctimas como trabajadores y siempre defraudados en sus jomales por los patrones y capitalistas”. L’esercito schierò le mitragliatrici, i consoli di Bolivia e Perù cercarono inutilmente di convincere i propri concittadini. Il console peruviano scrisse che “esa pobre gente es pronto iba a ser diezmada por la metralla del Ejercito. . .“. Gli operai dichiararono che sarebbero rimasti uniti a tutti i compagni di lavoro, dando prova di grande solidarietà tra i lavoratori della pampa.

Alle ore 3 e tre quarti del pomeriggio il generale Silva decise di non “comprometer el respeto y prestigio de las autoridades y fuerza púlbica” e apri il fuoco sui lavoratori, che risposero con le pistole. Vi furono sei feriti. A quel punto gli operai furono spinti verso l’ippodromo a scariche di mitraglia. “La escena después fue indescriptible. En la puerta de la escuela los cadáveres estaban amontonados, y la plaza cubierta de cuerpos?’ (così il console USA, il 24 dicembre).

Pare che durante le operazioni militari diversi soldati siano stati fucilati per essersi rifiutati di prendere parte al massacro.

Si contarono poi 2 mila morti. Tra questi, due dirigenti operai a cui il consolato statunitense tre ore prima aveva rifiutato l’asilo politico.

 

* riduzione da. M. Zolezzi Velásquez, La Tragedia de la Escuela “Santa María” de lquique, in Tarapacá: una aventura en el tiempo, Selecciones de Revista Camanchaca, lquique 1994.

 

 

 

Occorreva acqua, latte, pane: generi di prima necessità per gli operai sottoposti ogni giorno alla prova di forza del coliche, il duro strato di roccia grezza che imprigionava il prezioso salnitro. E i lucani si organizzarono per la distribuzione dell’acqua, del latte, del pane. Altri italiani si ingegnavano a vendere ghiaccio e bibite gasate. Attività precarie, se è vero che tutti hanno dovuto, prima o poi, cambiare mestiere, soprattutto in coincidenza delle gravi crisi dei nitrati. Come nel 1933: “E’ stato un momento difficile per il lavoro. Mio padre andò in Perù per cinque anni. Ma non fu buona cosa. Abbiamo perduto due proprietà” (Iris Di Caro).

L’acqua a Iquique arrivava da Arica con le navi cisterne. Qui veniva raccolta in serbatoi e distribuita dai venditori casa per casa. Questo è stato per qualche mese il primo mestiere di Francesco La Sala, arrivato all’inizio del secolo, nel 1911. Poi andò a vendere il pane; infine, dal 1918 (quando sposò Berta) si unì ad altri tre compaesani e insieme presero in gestione un panificio. Racconta il figlio: “Mio padre incominciò con un panificio in un rione povero. Dopo ne comprò uno in centro che diventò il più moderno e grande della città. Il lavoro della panetteria allora richiedeva grande dedizione e sacrificio. Si trattava di un lavoro di 18-20 ore a! giorno, senza domeniche né altri giorni festivi. Il lavoro si svolgeva soprattutto di notte.”

Un lavoro che va bene diventa presto un’occasione anche per parenti e conoscenti che sono rimasti in Basilicata a fare una vita grama. Così si formano le forti comunità di compaesani all’estero e interi paesi si ‘sdoppiano’ altrove. “Mio padre — continua Francesco — quando raggiunse una certa stabilità aiutò molti parenti e compaesani. Fece venire dall'Italia tre nipoti, Silvestro, Luigi e Federico La Sala. Ad altri procurò comunque del lavora “.

Anche per Domenico Tamburrino73, arrivato a Iquique nel 1906 furono i compaesani a trovare lavoro come distributore di pane; in seguito, nel ‘14, tentò la fortuna nella vicina Tacna, a nord di Arica, ma quando Taena divenne peruviana tornò a Iquique e aprì una panetteria.

Erano venditori d’acqua, latte e pane74 Vittorio e Canio Sciaraffia (1903), Gerardo Petruzzi (1930), Benedetto Napoli (1900), Donato Lancellotti (1916), Gerardo Baccelliere (1910).

Un Gerardo Baccellieri75 (1900) gestì dal 1918 il negozio “La piedra “.

Altre storie significative sono quelle di Michele Viola Pisani, Michele Avigliano Saluzzi, Vito Carcuro Sannella e altri, che riporteremo più avanti, a proposito di Santiago, perché è lì che oggi risiedono coloro che ne sono stati protagonisti, costretti a trasferirsi nella capitale dopo la crisi dell’estrazione mineraria. In particolare, si veda la testimonianza di Giuseppe Donato Simonniello Di Mare.

 

73 In Cile è registrato come Tamborino: Oppido 1879 — lquique 1946. Notizie riferite dalla nipote Edda Tamborino.

74 Tra parentesi l’anno dell’arrivo in Cile.

75 Oppure Baccilleri, secondo le trascrizioni. E’ probabile si tratti del medesimo che risulta partito dalla Basilicata nel 1865. v. appendice.

 

Donato Daponte (1919) vendeva il pane “a cavallo”; Salvatore Viola Pisani (1959) lo distribuiva col carretto: aveva 17 anni, era il suo primo lavoro nella panetteria dello zio Donato e, per aspirare ad altro, studiava di notte. Così racconta sua figlia Valeria Viola:

“Mio padre nacque a Oppido Lucano il 16 febbraio 1942. Penultimo di sette fratelli, era quello con maggiore propensione allo studio. Sua madre avrebbe desiderato mandarlo in seminario perché diventasse sacerdote, ma al momento di entrarci, lui si rese conto che un giorno avrebbe voluto sposarsi e formare una famiglia. Sua madre per poco non ebbe un infarto.

A 17 anni si imbarcò solo verso l’America. Il viaggio non gli parve spaventoso né triste, al contrario, per lui era tutta un’avventura, una opportunità di saziare la sua curiosità. Arrivò al porto di Valparaíso e da lì proseguì via terra per Iquique. Lungo il cammino rimase impressionato dall’immenso deserto; mai avrebbe immaginato di venire a vivere in uno dei luoghi più desolati del mondo. Qui lo aspettava suo fratello Gaetano che già lavorava con suo zio Donato Pisani, il quale era proprietario della panetteria “Modelo”. Fu qui che mio padre trovò il suo primo lavoro come distributore di pane col carretto. Imparò rapidamente a parlare spagnolo, poiché studiò dapprima presso un istituto linguistico e poi all’istituto commerciale notturno [serale?].

Più tardi i due fratelli divennero soci dello zio e aprirono la panetteria “Central”. In quel periodo mio padre andò in Bolivia con un gruppo di imprenditori di Iquique per conto della municipalità; all’Università avrebbe dovuto parlare qualche rappresentante dei panettieri, e siccome fra questi era l’unico ‘rosso’, lo fece lui.. Ciò lo rese popolare tra gli universitari, a cui aveva fatto una buona impressione.”

Giuliano Gigante76, contadino oppidese arrivato in Cile nel ‘26, ebbe l’intuizione di trasferire lì la sua competenza tipicamente italiana, e avviò la lavorazione della pasta fresca: ravioli, fettuccine, spaghetti. Ebbe successo e in breve divenne “empresario panificador”. La crisi economica successiva, insieme a un grave lutto per la perdita del figlio minore, lo mandò in rovina e vendette tutto. In quel periodo fu aiutato da amici cileni, finché recuperò una normalità di vita e con essa il lavoro.

I lucani hanno svolto anche altre attività ‘di servizio’. Giovanni Schettini, 62 anni, di famiglia lagonegrese, ha fatto il commerciante, prima come dipendente, poi in proprio con la madre e il fratello nei settori dei tessuti e della ferramenta. Suo è il negozio “EI Tigre”, in città. E’ tornato in Basilicata nell’85 e ne ha riportato un’immagine sostanzialmente positiva, tranne che per il lavoro: i suoi cugini sono disoccupati, mentre a Iquique il tasso di disoccupazione è prossima allo zero (v. scheda VI).

Nel commercio, piccolo e di generi vari, spesso cambiati in successione a seconda delle esigenze, hanno lavorato anche le famiglie oppidesi di Evangelista Caronna (1923), Guglielmucci Daponte e Lioi (1950); Donato Giannone Cistarelli (1905), Rocco Lancellotti (1926), Nicola Schettini (1932), Canio Sciaraffta padre (1903; il figlio porta lo stesso nome); i Lioi Lancellotti (nati in Cile, commercianti in tessuti); Pepe Paiumbo e Lancellotti Matino (1903); Paolo Di Caro De Rosa (1893, parrucchiere e profumiere) e don Vito Carcuro, iquiquenño di origini genzanesi.

Una singolare attività è la cocheria. A Iquique, in Colle Zegers al numero 1721 c’è la Cocheria “Saluzzi”, fondata da Domenico Saluzzi nel 1916. Un maneggio di oltre quaranta cavalli selezionati in grado di prestare servizio pubblico e privato. A gestirlo oggi sono i nipoti Saluzzi-Merenda che sottolineano con orgoglio la “bella figura di carrozze e cocchieri alle feste di matrimonio”.

Benedetto Napoli, di cui abbiamo più volte riferito, cominciò a lavorare come “scarpaia” (ci dice il figlio Canio), prima di avviare anch’egli la vendita del latte, nella lecheria “La Hacienda” di Antonio Sciaraffia. La lecheria contava 220 vacche che producevano più di tremila litri di latte al giorno.

Un’altra lecheria lucana è stata “Los cuatro banderas”, aperta nel 1914 da Antonio Daponte, arrivato nel 1908.

Il mestiere di “calzolaio” si registra più frequentemente tra i lagonegresi.

Vincenzo Belardi arrivò in Cile da Lagonegro nel 1925 per raggiungere lo zio materno che gli offriva un’opportunità nella sua fabbrica di scarpe. Il biglietto glielo pagarono tutti i familiari. Anche suo figlio Nunzio, nato a Iquique e oggi quasi settantenne, una volta cresciuto aiutò il padre come calzolaio, prima di trovare un impiego negli uffici delle ferrovie cilene. E calzolai furono pure Nicola Schettini (1932), padre di Juan e nonno di Mariella, ventottenne iquiqueña. Nicola, contadino, arrivò con la moglie nel ‘32 chiamato dal fratello Biagio. La nonna non nascondeva di soffrire molto per l’adattamento in un paese lontano e desolato. Per questo cercò un’occupazione e la trovò nel settore tessile. I figli, come Pasquale, e i nipoti, come Mariella, pur essendo nati a Iquique hanno conservato la doppia cittadinanza77. Pasquale è tornato a Lagonegro 15 anni fa per conoscere o rivedere i familiari. Mariella oggi è impiegata alle linee aeree della LanChile. Ha frequentato la scuola italiana di Santiago ed è innamorata dell’Italia e della Basilicata, che ha visto una sola volta, due anni fa, e per lei rappresenta un mito.

 

76 N. Oppido 1895. Testimonianza di Rosa Giganti Greco, una delle cinque figlie, nata a Iquique.

77  E’ doveroso segnalare che, per quanto riguarda la cittadinanza, quasi tutti si sono espressi nei termini di una opzione di fronte a cui si sono trovati, prima o poi. Molti hanno rinunciato a lavori statali pur di mantenere la cittadinanza italiana (D. Martiniello, A. Inserrato). In ogni caso gli italiani oggi esercitano il diritto di voto a tutti i livelli, sia per le elezioni amministrative che politiche. La limitazione per chi non possegga la cittadinanza cilena, riguarda le candidature.

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